Autore: Redazione
01/03/2021

Come ti faccio suonare i brand: la ricetta di MUSA

L’agenzia di music branding milanese prosegue il suo cammino nel segno del rinnovamento, un percorso strategico che viene ora confermato da un inedito claim. Tra marketing e sociologia, la musica domina, come racconta il fondatore e amministratore delegato Luca Seminerio.

Come ti faccio suonare i brand: la ricetta di MUSA

Luca Seminerio

Un tempo si correva il rischio di essere guardati con sufficienza, quando addirittura non rimbrottati quando si avanzava il concetto che, sì, la musica è un qualcosa di serio, da trattare con riguardo, interesse e passione, non solo come mera tappezzeria, come sottofondo, come muzak ambientale (con buona pace per gli esperimenti del professor Brian Eno). Si stava meglio quando si stava peggio, anche perché oggi, scivolando in una serata conviviale sullo stesso argomento si rischia persino l’indifferenza. Da qui nascono gli inciampi, gli errori, gli attacchi di miopia acuta, gli sbagli concettuali riguardanti gli spartiti da consegnare alle strategie di comunicazione e marketing. Al grido di battaglia “metti quello che vuoi, l’importante è che suoni bene e che sia famoso”, anche la migliore lavatrice, quella che lava, asciuga e stira, potrebbe andare incontro al record di invenduto. Fortuna che, ogni tanto, si stagli all’orizzonte qualche mente illuminata, come Luca Seminerio, che su marketing e comunicazione con la musica come ingrediente basilare ci ha costruito una nuova corrente di pensiero.

Ora si suona!

Qualche mese fa il cambio di registro della sua creatura, quell’Areaconcerti, nome ormai troppo limitativo, che si trasforma in Musa, che sa di musica e letterature antiche, di fonti ispirative e di leggerezza, intesa come divertimento, però consapevole. Ma era solo il primo passo di una costruzione sempre in divenire. Ecco quindi arrivare un nuovo claim, a chiarire ulteriormente un progetto che profuma di continuità e di novità insieme: “Facciamo Suonare i Brand”.

Come pensate di fare?

«Partendo da un presupposto: la sociologia che si muove insieme alle note. L’ambito musicale, o per meglio dire il suo seguito, è composto da tribù, ciascuna delle quali con valori precisi e condivisi. Gli esempi immediati non mancano: l’indie è legato alla libertà di essere, ma anche a certi temi quali l’eco-sostenibilità; il rap invece suona come una vera e propria rivalsa. E quindi, da qui abbiamo mappato tutti i generi, ne abbiamo estratto i touch point utili per dialogare con i singoli target, li abbiamo sperimentati e poi, per finire, siamo passati alla misurazione».

Cosa dovrebbe cambiare nella mentalità comune?

«Le marche si muovono in maniera tattica, noi spostiamo l’asse in chiave strategica. Ancora un esempio: il brand Fred Perry, con il quale operiamo da tempo, si lega a certa musica elettronica, intesa anche come ricerca, scoperta, oltre a un vissuto eco-sostenibile. Il touch point potrebbero essere eventi con artisti di quel genere, mentre un’attività di branded content è stata “Talking Sofa”, ossia far accomodare personaggi di quell’ambito nel nuovo store milanese del brand e farli disquisire su diversi temi».

E come la mettiamo con chi chiede sempre e solo view ed engagement?

«Che non le raggiungi se non fai un determinato percorso, perché quello che conta veramente, sopra ogni cosa, è la credibilità che riesci a trasmettere. Non devi fare tabula rasa e ripartire da zero, ma proseguire sul tragitto per te più consono e naturale. L’unicità, la riconoscibilità, non devono essere mai tradite. Occorre capire su quale mattonella può ballare un marchio, si tratta di un linguaggio strategico, che ha relazioni di tipo continuativo. Su questi argomenti abbiamo impostato il corso di specializzazione in Music Marketing and Branding di IED Milano, in partenza a marzo».

Quale è l’errore più comune?

«Far leva solo su un genere mainstream, quando invece il proprio posizionamento risiede nelle nicchie. C’è l’idea di dover occupare tutti gli spazi a tappeto, ma non funziona in questo modo. Devi piuttosto raccontare una storia, devi fare delle scelte, il brand deve schierarsi, non rincorrere la classifica di Spotify».

L’orizzonte è roseo?

«Più di prima sta diventando normale costruire un tone of voice musicale, un punto di partenza dal quale far decollare il proprio posizionamento, i propri valori, la propria brand identity. La musica non è scenografia, ma è l’essenza».