Autore: Redazione
30/11/2017

Le audience profilate stanno determinando la fine dei target socio demo? Analisi della rivoluzione in atto

In occasione dell’edizione 2017 di IAB Forum, Beintoo ha tenuto un workshop per esplorare in modo approfondito il mondo dei dati, in particolare dello shift che vede crescere l’importanza di quelli comportamentali e un calo dell’utilizzo di quelli socio-demografici

Le audience profilate stanno determinando la fine dei target socio demo? Analisi della rivoluzione in atto

«I mercati sono fatti da esseri umani e non da segmenti demografici». Con questa citazione del Cluetrain Manifesto, Beintoo, mobile data company che si occupa di pubblicità geo-comportamentale, ha aperto un dibattito sul ruolo che i dati stanno assumendo nel digital advertising e soprattutto sulla loro natura in continuo divenire. Ospiti di Beintoo per il workshop organizzato in occasione di IAB Forum e moderato dal ceo, Andrea Campana, sono stati Roberto Dragone, head of Programmatic and Data Mediamond; Adriana Ripandelli, chief operating officer Mindshare; Marco Storti, head of Digital Marketing & Sales Sky Italia. Solo il 20% degli utenti in target conserva una reale predisposizione per l’acquisto dopo sessanta giorni dalla manifestazione di un interesse e due soggetti della stessa età, dello stesso sesso e della stessa città possono avere intenzioni, interessi e abitudini diametralmente opposte e differenti. Focus dedicato al comportamento Quelli precedenti sono solo due esempi che spiegano perché, i dati socio demografici non rappresentano sempre l’opzione più rilevante per un advertiser che si accinge a pianificare una comunicazione. Nel Q3 2015, i dati socio-demo sono stati utilizzati dagli advertiser per il 50% rispetto ad altre tipologie di dati, percentuale che scende al 35% se si osservano le tendenze del 2017. «Il dato basato sull’intenzionalità esiste già da molto tempo, ma quest’anno sta aumentando la sua preponderanza e, infatti, si è registrata una ripresa della display che aveva subìto un crollo proprio perché un po’ penalizzata dal semplice dato socio-demo», ha spiegato Dragone. «Ci troviamo in una rivoluzione in cui si è passati da una modalità tipica dell’offline, in cui si accettava il dato socio-demo per approssimazione perché non c’erano alternative. Poi è arrivato il momento in cui si sono resi disponibili dati comportamentali e in contemporanea anche il digitale si è evoluto con una dignità propria e sempre di più i clienti si sono orientati all’utilizzo di questo tipo di dato, senza dubbio molto più pertinente e che solo adesso può essere integrato in un sistema di tracking, analytics e così via, che permette di usarlo in modo efficiente», ha continuato Ripandelli. Più da insider e meno di scenario il commento di Marco Storti, che ha commentato: «A livello di targetizzazione stiamo sfruttando i dati per tracciare nel modo più preciso possibile la customer journey, non tanto per capire chi sia il consumatore, che resta un passaggio comunque fondamentale, ma come egli si comporta sui mezzi in cui fruisce i contenuti per offrire promozioni e offerte contestuali con la user behavior. Ciò che non deve mancare affinché il dato sia in equilibrio è l’attenzione alla privacy dove l’utente deve essere informato, rappresentando l’autentico ago della bilancia». Criticità e futuro Naturalmente, i dati comportamentali, presentano alcune criticità e al pari di quelli socio-demo non sono la risposta a tutti i problemi degli advertiser. «Il dato sociodemo non verrà certo cannibalizzato da quello comportamentale, ma penso che ci sarà una commistione sempre più efficiente delle due e delle altre tipologie di dati disponibili», ha proseguito Dragone. «Una criticità dell’utilizzo dei dati comportamentali, essendo per definizione infiniti è che non sono standardizzabili come quelli socio-demo, quindi è necessario un livello di standardizzazione sufficiente da permettere benchmark tra campagne, tra aziende, tra publisher e così via. Inoltre, l’origine del dato è un altro aspetto critico; è assolutamente necessario che sia certificato e abbia una qualità e una freschezza che ne attesti il valore e ne giustifichi il prezzo. Penso non ci sia una magica soluzione, ma si può fare molto per rendere meno critici tali aspetti», ha sottolineato Ripandelli. «Il futuro - ha concluso - è utilizzare questi dati anche per pianificazioni non digitali».