Autore: Redazione
21/12/2016

Il 2016 di Facebook, un anno da protagonista costellato da tante criticità

Lo sviluppo della società è stato esplosivo, ma i punti di domanda sono aumentati proporzionalmente alla crescita: misurazione, antitrust, notizie false sono solo alcuni dei fronti caldi per l’azienda social di Menlo Park

Il 2016 di Facebook, un anno da protagonista costellato da tante criticità

Il Guardian ha definito il 2016 come l’anno in cui Facebook è diventato un “cattivo ragazzo”. Se, infatti, da un lato la società è cresciuta tantissimo, con le entrate pubblicitarie - che rappresentano quasi la totalità dei ricavi - proiettate attorno ai 23 miliardi di dollari e un deciso balzo in avanti del titolo a Wall Street, i problemi si sono moltiplicati proporzionalmente all’aumento della penetrazione sul mercato.

Per il Guardian, quest’anno Facebook ha dovuto fare i conti con le difficoltà relative allo svolgimento della propria mission, vale a dire rendere il mondo un posto più aperto e connesso. Le questioni aperte sono diverse: dai temi della censura sulla piattaforma a quelli del colonialismo digitale, dalle notizie false ai rapporti con gli editori fino agli errori nel calcolo delle metriche. E poi la regolamentazione, specialmente quella europea, si è fatta più stringente tanto che nel vecchio continente, Italia compresa, Facebook ha dovuto fermare la pratica di condivisione dei dati per scopi pubblicitari dalla controllata WhatsApp a Facebook e Instagram. Addirittura l’antitrust ha inviato alla società uno statement of objection a Facebook: per Bruxelles il social network ha fornito informazioni non corrette e fuorvianti all’Unione in merito all’acquisizione di WhatsApp avvenuta nel 2014 e ora rischia una multa multimilionaria, superiore all’1% del fatturato annuo.

Sullo sfondo uno scenario non certo idilliaco evidenziato dalla stessa azienda in occasione della presentazione dei dati trimestrali al 30 settembre: il newsfeed è ormai pieno di annunci ed è difficile pensare un aumento della quota degli stessi. Anche per questo la società si sta muovendo rapidamente, con l’obiettivo di monetizzare la sua “family of apps”, come la chiamano in America, costituita da asset quali Instagram, Messenger e WhatsApp. Senza contare la minaccia Snapchat, l’app più popolare tra uno dei target più preziosi, quello dei giovani.

Il problema delle notizie false

Tra i vari problemi che affliggono il social ci sono le notizie false su cui è intervenuto lo stesso Mark Zuckerberg per riaffermare l’impegno della società nel combattere questa piaga. Anche Papa Francesco ha definito le notizie false un “peccato”. Qui i problemi non riguardano solo l’America: negli Stati Uniti, infatti, si è scatenato un ampio dibattito in merito all’influenza del social sulle elezioni presidenziali. Secondo molti, la condivisione di vere e proprie bufale avrebbe avuto conseguenze rilevanti sulle scelte del voto, distorcendo la realtà.

Il tema è reale anche in Italia: stando a uno studio di Agi con Pagella Politica, l’articolo più condiviso sul tema del referendum è stata una bufala pubblicata da italiani-informati.com, sito che solitamente veicola informazioni non veritiere. La notizia, che ha ricevuto oltre 230mila interazioni sui vari social, svelava come fossero state trovate 500mila schede già segnate col “Sì” nel fantomatico comune di Rignano sul Membro. “Non è facile, poi, capire in quale misura le bufale possano condizionare il comportamento degli elettori”, hanno spiegato gli autori della ricerca.

La questione per Facebook rimane e, anzi, dal referendum ha coinvolto anche il nuovo Governo del premier Paolo Gentiloni. Come riportato tra gli altri Repubblica.it, in pochissimo tempo è diventata virale la bufala per cui il neo primo ministro avrebbe dichiarato “Gli italiani imparino a fare sacrifici e la smettano di lamentarsi”, pubblicata dal sito satirico Libero Giornale, che in pochissimo tempo è stata condivisa da migliaia di persone.

La prima azione intrapresa da Facebook è stato il blocco della fornitura di servizi pubblicitari a questa tipologia di siti - lo stesso è stato fatto da Google - ma fermarne la diffusione appare una cosa impossibile. Il social ha chiesto la collaborazione dei suoi utenti, dando loro la possibilità di segnalare le notizie false per poi farle verificare da un pool di giornalisti. Resta da capire in quale caso la società debba intervenire e quando no, garantendo la libertà d’espressione sulla piattaforma. Quello che sta accadendo sembra suggerire che Facebook non è una piattaforma tecnologica agnostica ma una vera e propria media company. Lo stesso Zuckerberg ha sottolineato che se Facebook non scrive articoli è ormai diventato qualcosa in più di un mero distributore di notizie. Con tutte le difficoltà del caso. A complicare il tutto c’è un progetto di legge tedesco, il quale prevede multe superiori ai 500mila euro per quelle piattaforme social che non rimuovono le bufale entro 24 ore dalla segnalazione delle stesse.

Metriche, una gatta da pelare

Un altro dei fronti caldi del social è legato alle metriche di reportistica. Tutto ha avuto inizio a settembre con il primo calcolo sbagliato in materia di conteggio dei video. Poi gli errori si sono allargati a macchia d’olio toccando altri ambiti, i video live, Instant Articles e i referrals, per citarne alcuni. Facebook ha sempre sostenuto che queste metriche hanno a che fare con i report e non hanno una correlazione diretta con gli investimenti delle 4 milioni di aziende che scelgono la piattaforma per pubblicizzarsi su scala globale. Non intaccherebbero insomma la qualità del dato nel processo di profilazione dell’audience. Eppure gli operatori della filiera si servono delle metriche per comprendere le azioni e il comportamento dell’audience sulla piattaforma.

In questo caso Facebook ha reagito cercando di aumentare la trasparenza nei confronti del mercato - è prevista l’apertura a nuovi partner esterni oltre agli attuali comScore, Integral Ad Science, Nielsen e Moat. Ma i segreti degli algoritmi di Facebook rimarranno tali: la società non fornirà mai un accesso pieno e completo al suo tesoro di dati ma solamente parziale e i paletti per una discussione con il mercato li ha messi anche il Country Director Luca Colombo a colloquio con DailyNet.

Per il manager i cookie e i panel sono «superati» mentre la misurazione deve essere cross-device. E se Audiweb concorda sul tema dei cookie, le rilevazioni della società presieduta da Marco Muraglia continueranno a essere panel-dipendenti, seppur il contributo dei big data sia in continua crescita. Un altro sforzo compiuto da Facebook è stata la creazione di un Measurement Council, anche a livello locale, che raccolga i principali protagonisti del segmento attraverso incontri periodici funzionali a definire delle regole condivise da tutti.

Tuttavia il sentimento più diffuso nell’industry vede in Facebook una piattaforma chiusa, un walled garden. Sicuramente una visione incompleta, che non scalfisce l’importanza dei dati della società e non minaccia gli investimenti sulla piattaforma, come sostenuto pubblicamente da più aziende investitrici come BlaBlaCar, la cui marketing manager Maria Fossarello, nel corso dell’ultimo A-Day organizzato da 4w MarketPlace insieme a Editori Digitali, ha dichiarato che i problemi legati alle metriche sono reali ma non interferiscono con le decisioni di spesa sulla piattaforma né ora né probabilmente in futuro. Per adesso, quindi, il tema delle metriche non sembra poter bloccare gli investimenti sulla piattaforma. A meno che non emergano nuovi errori e che gli stessi tocchino direttamente gli investimenti pubblicitari sul social network.

Il tema della regolamentazione

Oggi Facebook è una società matura, nonostante abbia poco più di dieci anni. Ha una capitalizzazione di circa 345 miliardi di dollari e dovrebbe generare profitti per 6 miliardi. Ma come nel caso di praticamente tutti i giganti dell’hi tech a stelle e strisce, l’Unione europea ha alzato il livello di guardia nei suoi confronti.

La vicenda WhatsApp è solo la punta dell’iceberg di una serie di scontri tra l’azienda e le autorità garanti della privacy di tutta Europa. Il commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager ha affermato a Bloomberg che “il dato in quanto tale è una delle cose più importanti perché è una nuova linea di business”.  Ecco perché Facebook deve stare attento a maneggiare le informazioni dei suoi affezionati utenti. Per esempio, secondo Reuters, Bruxelles starebbe preparando una proposta di legge per estendere ai servizi di messaggistica come WhatsApp le stesse regole e limitazioni cui sono sottoposti gli operatori telco in materia di privacy e protezione dei dati sensibili dei consumatori.

È lecito pensare che in futuro, almeno fin quando Vestager sarà commissario, la morsa dell’Unione europea continuerà a stringersi e che i rapporti tra Facebook e autorità potrebbero intensificarsi, mano a mano che la società continuerà ad ampliare il proprio raggio d’azione. Spostandoci in America, l’elezione di Trump a presidente ha generato grandi preoccupazioni all’interno dell’ambiente hi tech. Intanto il chief operating ogfficer Sheryl Sandberg ha partecipato settimana scorsi all’incontro tra il presidente e alcuni rappresentanti della tecnologia, tra cui anche Jeff bezos. Certo è che la situazione si è fatta più complicata anche Oltreoceano e che stanno emergendo nuovi interrogativi.

Facebook e i rapporti con gli editori

A ridosso della discussione sulla natura di Facebook, se piattaforma agnostica o media company, ci sono gli editori tradizionali, la gran parte dei quali fa fatica a coprire i costi redazionali in un contesto di migrazione delle audience sui canali online e mobile. Facebook è amico o nemico degli editori? È questa la domanda più comune. Difficile dare una risposta. Da un lato Facebook consente di raggiungere nuove audience, allargando la platea di utenti e fan delle testate editoriali. Insomma è un luogo davvero prezioso per chi deve veicolare i propri contenuti. Dall’altra è anche un luogo, non il solo, dove monetizzare è difficile.

La partita vera si gioca sul mobile: ormai i contenuti sono liquidi e viaggiano tra gli smartphone delle persone. Gli accessi alle home page dei siti d’informazione continuano a crollare mentre i touchpoint sono in continua espansione. Su questo canale il tema centrale è legato alla monetizzazione: per il Politecnico il mobile nel nostro Paese vale oltre 700 milioni di euro. Per gli editori FCP-Assointernet la raccolta su smartphone e tablet è stata di poco più di 33 milioni nei primi dieci mesi dell’anno. La concentrazione non è un mistero e circa 650 milioni, solo su mobile, finiscono nelle casse di Google e Facebook. Merito sì delle due società e dei loro investimenti per aumentare l’influenza in questo contesto. E la strategia è premiata dagli spender. Tuttavia l’attuale situazione non giova agli editori, vera e propria ossatura dei nostri newsfeed.

E quelli con gli inserzionisti

Non meno complesse sono le relazioni con gli inserzionisti. Ormai Facebook è diventato un must have nelle pianificazioni pubblicitarie, vuoi per la qualità del dato, vuoi per l’audience enorme a disposizione, grazie a oltre 1 miliardo di accessi giornalieri e e poco meno di 1,8 miliardi su base mensile. Le minacce più importanti provengono però proprio dalle metriche e dalla misurazioni.

Anche Martin Sorrell, numero uno della più grande holding media al mondo, WPP, ha parlato degli errori di misurazione. Per Sorrell “arbitro e giocatore non possono essere la stessa persona”. Una dichiarazione che sottende una richiesta di maggiore apertura e partnership con società in grado di restituire valori reali utili a tutto il mercato.

Un’altra questione è legata alle trasformazioni intervenute nella fisionomia commerciale di Facebook. La società ha annunciato la cessazione delle attività di ad serving della piattaforma real time bidding FBX, così come quelle di LiveRail, la firma dedicata al lato offerta acquisita in precedenza per una cifra stimabile attorno ai 500 milioni di dollari. Nel frattempo, il gioiellino di Mark Zuckerberg ha ampliato le capabilities di Facebook Audience Network, aprendole al desktop e a nuove fasce di utenza. E anche per Atlas ci sono state novità: la società acquisita da Microsoft non fornirà più servizi di ad serving ma si concentrerà sul fronte della misurazione e degli analytics, con il team che è passato senza licenziamenti all’interno della divisione marketing sciences.