Uno strumento che risponde alle esigenze degli inserzionisti di conoscere le proprie audience andando al di là dell’identità personale, basandosi principalmente su interessi e appartenenza a determinati cluster, nel rispetto della privacy
a cura di Luca Panella, Managing Director Italy Ogury
Troppo spesso ci si interroga sul futuro del Digital Advertising ponendosi le domande sbagliate, trascurando aspetti fondamentali come, per esempio, il vero grado di conoscenza degli interessi del proprio target e le metriche più efficaci per misurare la viewability. Che la soluzione sia o meno basata sugli identificatori, ciò che conta davvero è che i brand comprendano gli interessi della propria tribe. L’unico modo per riuscire a raggiungere il giusto pubblico è ingaggiarlo attraverso annunci di prodotti e servizi per esso rilevanti. Non ultimo, i brand devono rivedere il concetto di viewability, da non considerare come una semplice voce da spuntare nei propri KPI, bensì come metrica che dipinge un quadro accurato delle performance pubblicitarie. Tra le innumerevoli soluzioni oggi disponibili sul mercato, le aziende devono essere in grado di riconoscere quale può fornire il risultato più sostenibile. Allo stesso tempo, l’esperienza del consumatore, l’engagement attraverso i dispositivi più utilizzati e il rispetto della privacy devono rimanere la priorità.
Chi sei realmente?
Quanto accuratamente conosci gli interessi della tua audience? La prima domanda che le marche devono porsi è relativa al loro core target: quanto conosco gli interessi dei miei consumatori al di fuori delle mie properties? Che si tratti di app o siti web, è fondamentale sapere a chi ci si sta realmente rivolgendo. Storicamente le aziende ad tech hanno sempre fatto affidamento sugli identificatori e gran parte dell'industria si è costruita sul loro utilizzo. Con l'inasprimento delle norme sulla privacy dei dati, il numero di informazioni accessibili è destinato a ridursi. Nel 2018 l'Europa ha fatto da apripista con l'introduzione della GDPR, dopodiché altre giurisdizioni hanno seguito l’esempio, come Brasile, California, Nuova Zelanda. Non dimentichiamo che la GDPR richiede che per i consumatori debba essere facile tanto rifiutare quanto offrire il consenso, e i regolatori esigono sempre più spesso che questi termini vengano rispettati. La conseguenza sotto gli occhi di tutti è che i tassi di opt-in sono oggi inferiori al 50%. Per risolvere questa spinosa questione, molte aziende si stanno adoperando per offrire “nuove” soluzioni basate su dati sicuri, contestuali e semantici, che però mancano di audience intelligence. Al contempo, altri operatori restano aggrappati al vecchio modo di fare targeting, affidandosi cioè ai dati personali. Queste tecnologie non soddisfano però le aspettative degli inserzionisti perchè offrono un’analisi insufficiente, parziale e frammentata, in quanto relative alle informazioni disponibili soltanto all’interno dei propri touchpoint. E il circolo vizioso non accenna ad arrestarsi.
Messaggi e visualizzazioni
Le difficoltà non sono dettate solo dal fatto di raggiungere il pubblico giusto. Gli standard del settore su ciò che viene considerato come “visto” sono chiari solo parzialmente. VCR è la principale metrica che i brand e gli inserzionisti devono considerare quando si tratta di prestazioni video. Ma qual è il punto di misurare questo indice per i video parzialmente visibili o addirittura riprodotti fuori dallo schermo? Sui dispositivi mobili, i brand possono avere l'illusione di ottenere un VCR elevato, ma senza una riconoscibilità completa del video questo dato risulta falsato. Il loro messaggio non ha alcuna possibilità di essere visto, né ricordato dall’utente. Il mercato della pubblicità digitale ha intrappolato gli inserzionisti con standard inaccettabili che non sarebbero mai stati presi in considerazione in altre forme di pubblicità, come la tv o l’OOH. È come se metà dello schermo del tuo televisore fosse coperto: se riesci a vedere solo parzialmente quello che sta accadendo, probabilmente sarai meno coinvolto. Se si tratta dello schermo di un dispositivo mobile, che è solo una frazione di quello di una tv, il problema è ulteriormente accentuato. I brand hanno necessità di smettere di basarsi su metriche che danno una visione falsata delle performance e non permettono di ottimizzare il loro budget pubblicitario. Il vero KPI che dovrebbe contare per le campagne è il Fully On-Screen Rate per una durata del 50%. Questa è la percentuale di impression in cui il 100% dei pixel è visibile per almeno metà della durata del video. Tutto ciò permette di ottenere una misurazione più significativa delle prestazioni video e garantisce ai brand che le visualizzazioni ottenute siano effettivamente a schermo intero.
Costruire una strategia sostenibile
La soluzione per i brand è presto detta: selezionare una modalità che consenta una conoscenza completa degli interessi della propria audience, capace di fornire ottime performance e proteggere la privacy dei consumatori. L'idea di utilizzare i dati relativi a un gruppo più ampio piuttosto che a un unico individuo non è una novità. Coniando il termine “Personificazione”, nel 2015 Gartner definiva la profilazione di consumatori con esperienze digitali basate non sulla loro identità personale, ma sull’appartenenza ad un segmento o cluster. Il concetto di personificazione è alla base di un nuovo tipo di tecnologia chiamata Personified Advertising, che è cresciuta significativamente da quando sono stati annunciati i cambiamenti relativi all'IDFA (Identifier For Advertising) e che a differenza di altre soluzioni, utilizza dati relativi all’interesse delle audience per classificare le impression. Questi dati si basano su informazioni raccolte in anni di monitoraggio della mobile journey attraverso app e siti web per fornire una comprensione approfondita dei loro interessi. Questo patrimonio informativo è unico e viene costantemente aggiornato e convalidato attraverso sondaggi.
Gli insight che cambiano le carte in tavola
Questa efficace combinazione di informazioni non ha eguali e può rivelare insight fondamentali. Un esempio? Gli appassionati di fitness mettono al primo posto tra i propri interessi la carriera, oppure i lettori di Rolling Stone sono più interessati ai viaggi rispetto al resto della popolazione. Tali informazioni non solo aiutano i brand a migliorare le proprie performance, ma offrono un impareggiabile vantaggio competitivo. A farla da padrone è sempre il targeting basato sugli interessi della audience. Nello scegliere la soluzione migliore tra tutte quelle oggi disponibili, gli advertiser devono valorizzare informazioni nuove rispetto ai consumatori. Ed è qui che il Personified Advertising entra in gioco, rispondendo alle sfide attuali. Ottenere ottime performance e incredibili insight rispettando i consumatori è ancora possibile, ma non solo. A trarne beneficio sono tutti gli attori coinvolti: dai centri media ai brand che rappresentano, dagli editori agli utenti, che visualizzano contenuti pubblicitari non invadenti e realmente interessanti.