Autore: Redazione
03/11/2020

Tutti contro Google, che si difende e guadagna. La sfida arriva anche da Apple

Il Dipartimento di Giustizia degli Usa, la Commissione Europea, e anche l’Autorità Antitrust italiana: il colosso statunitense accusato da più parti per la posizione troppo dominante. Ma il conto economico premia la holding Alphabet, che avvia l’azione difensiva. Mentre l’azienda guidata da Tim Cook sembra pensare a un motore di ricerca alternativo, di sua proprietà

Tutti contro Google, che si difende e guadagna. La sfida arriva anche da Apple

Tutti contro Google. Per il colosso statunitense il momento non è dei migliori, soprattutto sul fronte delle normative: sia negli Stati Uniti che in Europa le autorità preposte si stanno muovendo per tentare di limitare quella che viene considerata, per differenti motivazioni, una posizione eccessivamente dominante sul mercato da parte della società proprietaria del motore di ricerca più utilizzato nel mondo, oltre che della piattaforma YouTube e di tantissimi altri servizi.

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Digital Service Act

Quella che alcuni osservatori hanno definito come una vera e propria offensiva nei confronti della multinazionale californiana di Mountain View è stata avviata dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, che lo scorso 20 ottobre ha citato in giudizio la società accusandola di proteggere illegalmente il suo monopolio sulle ricerche in rete e sulla pubblicità ad esse collegata. Poi è entrata in campo la Commissione Europea, che sta progettando di introdurre in tempi brevi una regolamentazione più stringente su contenuti illegali, trasparenza sulla pubblicità e disinformazione, il cosiddetto Digital Services Act. Più nel dettaglio, Google verrebbe accusata dalle autorità americane di aver stipulato accordi con una serie di produttori di telefonia affinché il proprio motore di ricerca continuasse a comparire come scelta di default sulle diverse apparecchiature. Accordi che avrebbero contribuito a garantire alla multinazionale americana una posizione ritenuta, appunto, dominante sul mercato. E il Dipartimento ha messo nero su bianco accuse dirette e pesanti: “Per molti anni - viene sostenuto - Google ha utilizzato tattiche anticoncorrenziali per mantenere ed estendere i suoi monopoli nei mercati dei servizi di ricerca e della pubblicità correlata a tali servizi, pietra fondante del suo impero”. Presso BigG, ovviamente, non si ha la stessa visione. Al contrario, si tratterebbe di libere scelte effettuate dai singoli, non condizionabili da eventuali interventi sulle impostazioni dei cellulari; e Kent Walker, che siede a capo dell’ufficio legale della multinazionale, in un post ha sottolineato che “le persone utilizzano Google perché scelgono di farlo, non perché siano costrette o non riescano a trovare alternative”. Sempre secondo Walker, la causa in essere “non aiuterà i consumatori, anzi, farà in modo che spuntino alternative di ricerca di scarsa qualità, favorirà un rialzo dei prezzi e renderà più difficile per le persone ottenere i servizi di ricerca che desiderano”.

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Thierry Breton, Commissario Europeo per il mercato interno

 

Lobbying aggressivo

Ma il fronte americano non è l’unico da cui provengono insidie per l’azienda statunitense. Segnali inequivocabili, come già detto, arrivano anche da quello europeo, tanto da aver indotto la stessa Google a pianificare una campagna di lobbying molto aggressiva nei confronti delle autorità di Bruxelles. E nel mirino di BigG ci sarebbe, soprattutto, una persona: il francese Thierry Breton, Commissario Europeo per il mercato interno, uno dei maggiori sostenitori della necessità di introdurre nuove, e più severe, regole sul mercato digitale. La controffensiva della società americana dovrebbe durare almeno due mesi e avrebbe come obiettivo quello di rimuovere i vincoli ritenuti “irragionevoli” rispetto al modello di business di Google e, al contempo, ridefinire lo storytelling riguardante la prospettata azione di regolamentazione. In più, ci sarebbe la volontà di costruire obiezioni e reazioni all’azione avviata da Breton, indeboliendo il sostegno al progetto nelle sedi diplomatiche dislocate nella capitale belga. In pratica, un’operazione che tende a imitare le pratiche di difesa già messe in atto negli Usa.

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Tim Cook

 

Una “mela” insidiosa

Ma non è solo dalla sfera politica e sul piano normativo che si profilano minacce per Google. Anche dalla industry sembrano provenire attacchi alla sua leadership. Apple, ad esempio, viene definita dagli osservatori sempre più impegnata nel tentativo di sviluppare un motore di ricerca alternativo proprio a Google. L’azienda guidata da Tim Cook avrebbe intensificato gli sforzi in questa direzione proprio in concomitanza con la pressione esercitata dall'Autorità Antitrust statunitense. Così, anche il recente aggiornamento del sistema operativo mobile iOS 14 potrebbe indicare che Apple sia al lavoro per realizzare un proprio motore di ricerca. Nelle modifiche introdotte, in effetti, è stata inclusa la possibilità di visualizzare direttamente risultati di ricerca e link ai siti web quando un utente digita una query dalla schermata iniziale di un iPhone, ovviamente senza prevedere l’utilizzo di Google. Questi cambiamenti dimostrerebbero un rinnovato e più deciso interessamento della società di Cupertino allo sviluppo di un motore di ricerca autonomo, idea che, del resto, si era già prospettata circa tre anni fa, quando Apple aveva deciso di assumere John Giannandrea, già responsabile di Google Search, acquisendo un’importante risorsa per procedere nella sperimentazione. Inoltre, il costante lavoro di sviluppo del web crawler Applebot, che ha visto in tempi molto recenti un netto aumento dell'attività, ha alimentato ulteriori speculazioni sull'intenzione di Apple di competere davvero anche nel settore dei motori di ricerca.

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Avviata l’istruttoria

Infine, non va dimenticato che anche in Italia gli organismi competenti si stanno muovendo nei confronti di Google. Infatti, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato un’istruttoria nei confronti del colosso, ipotizzando un abuso di posizione dominante. Secondo l’Antitrust, la controllata della holding Alphabet avrebbe violato l’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea circa la disponibilità e l’utilizzo dei dati per l’elaborazione delle campagne pubblicitarie di display advertising, lo spazio che editori e proprietari di siti web mettono a disposizione per l’esposizione di contenuti pubblicitari. “Nel cruciale mercato della pubblicità online, che Google controlla anche grazie alla sua posizione dominante su larga parte della filiera digitale - si legge nella nota ufficiale - l’Autorità contesta alla società l’utilizzo discriminatorio dell’enorme mole di dati raccolti attraverso le proprie applicazioni, impedendo agli operatori concorrenti nei mercati della raccolta pubblicitaria online di poter competere in modo efficace”. In particolare, Google “sembrerebbe aver posto in essere una condotta di discriminazione interna-esterna, rifiutandosi di fornire le chiavi di decriptazione dell’ID Google ed escludendo i pixel di tracciamento di terze parti. Allo stesso tempo, avrebbe utilizzato elementi traccianti che consentono di rendere i propri servizi di intermediazione pubblicitaria in grado di raggiungere una capacità di targhettizzazione che alcuni concorrenti, altrettanto efficienti, non sono in grado di replicare”.

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La raccolta pubblicitaria

L’Antitrust, poi, ricorda come “la raccolta pubblicitaria online nel 2019 ha registrato in Italia un valore di oltre 3,3 miliardi, che rappresenta attualmente il 22% delle risorse del settore dei media, e il solo display advertising vanta un fatturato superiore a 1,2 miliardi. Per importanza, la raccolta pubblicitaria online costituisce, in termini di valore, la seconda fonte di ricavi del settore dei media”. Attraverso i cookie inseriti insieme a banner, pop-up o altre forme di messaggi pubblicitari visibili durante la consultazione di un sito web è possibile per inserzionisti, agenzie e intermediari pubblicitari acquisire dati rilevanti per le scelte di consumo degli utenti e personalizzare, così, le successive campagne, orientando il posizionamento dei messaggi sui contenuti di interesse di ogni singolo utente. “Oltre a questi dati rilevanti - ha ribadito l’Autorità -, Google dispone di molteplici strumenti che consentono di ricostruire in maniera dettagliata il profilo dei soggetti cui indirizzare i messaggi pubblicitari”, ovvero il sistema operativo mobile Android, “installato sulla gran parte degli smartphone utilizzati in Italia”, il browser Chrome per mobile e desktop, i servizi di cartografia e di navigazione Google Maps/Waze e molteplici altri servizi erogati attraverso Google ID (gmail, drive, docs, sheet, Youtube). Le condotte che saranno investigate dall’Autorità - è sottolineato nella nota - sembrano avere un significativo impatto sulla concorrenza nei diversi mercati della filiera del digital advertising, con ampie ricadute sui competitor e sui consumatori. La mancata concorrenza nell’intermediazione del digital advertising potrebbe ridurre le risorse destinate ai produttori di siti web e agli editori, impoverendo, così, la qualità dei contenuti diretti ai clienti finali. Inoltre, l’assenza di un’effettiva competizione basata sui meriti potrebbe scoraggiare l’innovazione tecnologica per lo sviluppo di tecnologie e tecniche pubblicitarie meno invasive per i consumatori”.

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Sundar Pichai, CEO di Alphabet e Google

 

Numeri significativi

Infine, sul fronte prettamente economico, Alphabet - che possiede Google - sta fornendo agli investitori più di un motivo per considerare positivamente il proprio titolo, visto che gli utili e le vendite sono tornati a livelli più coerenti con quelli del periodo pre-pandemia. Molto bene il fatturato, balzato del 14% dai 40,5 miliardi di dollari del terzo trimestre del 2019 a 46,2 miliardi, meglio dei 42,9 miliardi attesi, stando alle stime dei principali analisti. La quota di utile netto si è attestata a 11,2 miliardi di dollari, rispetto ai 6,96 miliardi del terzo trimestre del 2019. L’utile per azione si è fissato a 16,40 dollari, rispetto agli 11,29 attesi. “Abbiamo assistito a un trimestre solido - ha commentato Sundar Pichai, Chief Executive Officer di Alphabet e Google - che è anche una testimonianza dei grandi investimenti che abbiamo realizzato nel campo dell’Intelligenza artificiale e in molte altre tecnologie. Il fatturato totale del terzo trimestre riflette un’ampia crescita, sostenuta dall’aumento delle entrate pubblicitarie legate a Search e YouTube, così come la costante solidità di Google Cloud e Play”.

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Ruth Porat

 

Il commento ai dati

Mentre Ruth Porat, Chief Financial Officer di Alphabet e Google, ha ribadito gli obiettivi del gruppo: “Rimaniamo assolutamente concentrati nel portare avanti i giusti investimenti per supportare un valore che sia sostenibile nel lungo termine”. Insomma, i timori relativi a un forte regresso in ambito advertising non hanno trovato conferma nei dati reali: nel trimestre terminato lo scorso 30 settembre, la società ha riportato un fatturato pubblicitario di 37,10 miliardi di dollari, da confrontare con i 33,80 miliardi dello stesso periodo dell’anno precedente. In particolare, la crescita del fatturato pubblicitario di YouTube si è rivelata in crescita significativa, con un rialzo del 32% su base annua. E Alphabet, oggi, rimane una delle holding più ricche del mondo. Vale non meno di 1.040 miliardi di dollari, da sola circa un ventesimo di tutto il Pil degli Stati Uniti, e può contare su riserve di liquidità non inferiori a 120 miliardi di dollari. Un patrimonio che può tornare utile per spingere il proprio messaggio a chi di dovere: solo nel 2019, la società avrebbe speso circa 12,7 milioni di dollari per fare azioni di lobbying negli Stati Uniti. Una cifra magari non rilevante rispetto al giro d’affari dell’azienda, ma comunque importante se parametrata agli standard di Washington; tanto da garantire a Google uno dei primi posti nella classifica dello scorso anno delle società che hanno investito di più per attività di lobbying.