In occasione dell’uscita dei dati annuali e del secondo semestre 2019 direttore Roberto Sergio ribadisce le proprie perplessità sull’impianto attualmente in uso e auspica un cambio di rotta
Prosegue la battaglia di Roberto Sergio, direttore di Rai Radio, per una ricerca sugli ascolti radiofonici che produca dati stabili e quindi attendibili. L’indagine RadioTER sull’anno e sul secondo semestre del 2019 diffusa ieri indica per l’ammiraglia Radio1 un ascolto medio giornaliero di oltre 3,6 milioni di persone, in calo del 3,6% anno su anno, mentre Radio2 è stabile a quasi 2,6 milioni di ascoltatori e Radio3 ne raggiunge 1,3 milioni, con un calo dell’1,8% sul 2018. Isoradio a 829mila ascoltatori cresce del 2,2%. Già il giorno precedente alla pubblicazione di RadioTER, Sergio aveva annunciato che in mancanza di un cambio di rotta sulla metodologia della ricerca, attualmente basata sul metodo CATI delle interviste telefoniche, la Rai avrebbe valutato di non partecipare alla ricerca nel 2021. «Il dato appena uscito del 2019 – spiega Roberto Sergio – è l’ennesima dimostrazione che siamo di fronte a una ricerca non idonea a fotografare la realtà degli ascolti in Italia. Da analisi interne, si evidenzia una risalita clamorosa delle radio del gruppo Rai nel quarto trimestre dell’anno, in particolare Radio 1 e Radio 2. E’ a questo che mi riferivo quando parlavo della “lotteria dei dati”. Bizzarro, poi, che chi perde un milione di ascoltatori dall’inizio della rilevazione a oggi, canti vittoria. I dati che rileva TER sono il risultato delle campagne di comunicazione, della notorietà dei brand e di altri elementi esogeni. Non rappresentano l’ascolto vero delle persone». Sergio rivela che nell’ultimo trimestre 2019 gli ascolti sono stati «molto positivi, ma con questo sistema aleatorio a ogni trimestre cambia tutto. E’ strano, considerato che l’offerta editoriale è stabile. Se quindi dovesse emergere che l’andamento degli ascolti dipende dagli investimenti pubblicitari e non da quelli sul prodotto, avremmo la prova che questo è un sondaggio e non una ricerca credibile».
I motivi del dissenso
Secondo la Rai, il fatto che la rilevazione sia basata sul ricordo rende impossibile ricostruire i comportamenti di ascolto e attribuire correttamente i singoli quarti d’ora, in particolare per le emittenti con programmazione articolata e ricca di contenuti. Non premia la qualità dei programmi, ma solo il livello di memorabilia delle radio. Altra critica è all’assetto societario, che esclude il mercato pubblicitario dalla governance a differenza di tutte le altre indagini. La Rai nutre molti dubbi anche sulla rappresentatività campionaria della ricerca, fortemente compromessa dalle difficoltà che si incontrano nel raggiungere gli intervistati. Il bassissimo tasso di successo che presentano normalmente le interviste telefoniche (circa 10%) si abbassa ancora di più nel caso di RadioTER, vista la capillarità delle matrici di campionamento e la complessità del questionario. Basti pensare che, se si considerano le interviste cadute, i contatti fuori quota e le telefonate non andate a buon fine, possono servire fino a due milioni di telefonate per totalizzare le 120.000 interviste necessarie.
Criticità dell’attuale metodologia
Inoltre, si rilevano sistematiche difficoltà nella copertura del campione, con ripercussioni che interessano anche il core target della radio: le fasce strategiche della popolazione fra i 18 e i 34 anni. Ne è una prova il numero di contatti necessari per il raggiungimento del campione. Rai ritiene inaccettabile una procedura di ponderazione i cui livelli di efficienza sono costantemente al di sotto del 50%, influenzati dalla necessità di tener conto di variabili fondamentali, come le professioni e le classi di istruzione, non controllate in fase di campionamento. Con il risultato che per le classi più elevate della popolazione i pesi si dimezzano al momento della ponderazione, mentre viceversa si moltiplicano sui profili più bassi. «È un’aggravante: la ponderazione per classi di istruzione e professione subordina la ricerca a classificazioni obsolete che non considerano i nuovi percorsi formativi e l’evolversi negli anni del mercato del lavoro. Nulla cambierà nel 2020, perché importanti interventi migliorativi che abbiamo fortemente caldeggiato sono stati respinti in sede di consiglio» commenta Sergio.
Gli istituti di ricerca nel mirino
Rai ha espresso una posizione critica anche rispetto ai disallineamenti tra GFK e Ipsos che hanno trovato riscontro in andamenti di ascolto talvolta “schizofrenici” e in processi operativi che, riconducendosi a policy industriali diverse, presentano differenze irrisolvibili: diversi criteri di generazione dei numeri telefonici, software differenti per la gestione delle interviste, diverse modalità di somministrazione del questionario e di approccio verso gli intervistati (trascurabili gli accorgimenti che gli Istituti si apprestano ad adottare in vista dell’Indagine 2020). Rai chiede pertanto il supporto dei soci per modificare sostanzialmente la metodologia per il bene delle radio italiane. In particolare, con l’avvio di un test sul territorio che consenta di valutare l’introduzione a medio termine del meter, in maniera graduale e comunque combinata con il sistema vigente di rilevazione. I costi che dovranno essere sostenuti per lo sviluppo delle sperimentazioni necessarie, potranno essere in buona parte assorbiti grazie ad un auspicabile contenimento delle spese che comporterà il ricorso ad un solo istituto.