Autore: Redazione
11/05/2020

Blogmeter, una società con tre anime per risolvere le esigenze del mercato

L’evoluzione di un gruppo che parla la lingua della tecnologia, della ricerca e della consulenza. Da software house a esperti social a un nuovo appeal. Le parole del direttore generale Angelo Palumbo

Blogmeter, una società con tre anime per risolvere le esigenze del mercato

Angelo Palumbo

Squilla il telefono e dall’altro capo della linea c’è Angelo Palumbo, proprio lui il direttore generale di Blogmeter, straniero nel mondo attuale, spaesato come tutti (perché nessuno è allenato al Covid), neo abitudinario delle forme casalinghe, ma mica domo, probabilmente perché attore protagonista dei cambiamenti, tutt’altro che superflui, avvenuti all’interno della “sua” azienda nel corso dell’ultimo anno e mezzo. E anche consapevole che, al di là delle prevedibili difficoltà che andranno a colpire il mercato nei prossimi mesi, si spera pochi, ma è consigliabile non scommettere su andamenti più o meno positivi, il gruppo da lui diretto sarà prevedibilmente stretto d’assedio da un mondo imprenditoriale eufemisticamente curioso di comprendere gli andamenti di mercato, i risvolti prossimo venturi, tra dati di fatto, previsioni, speranze, forse utopie. Palumbo che, poco più di un anno fa, si era seduto sulla sua attuale poltrona e si era chiesto, e aveva domandato ai suoi colleghi, come una sorta di presentimento: «Chi siamo, cosa sappiamo e cosa invece non conosciamo di noi e cosa trasmettiamo lì fuori?». E a quel punto era partita la ristrutturazione di un brand, di un’azienda, di una filosofia.

Insomma, cosa vuol dire oggi Blogmeter?

«Dalla sua fondazione, era il 2007, sino al 2018 è stata una società a gestione imprenditoriale con una connotazione da software house esperta nei social. Dal 2019 il suo azionista ha deciso di cedermi le redini della gestione operativa e insieme al Leadership Team abbiamo lavorato su un nuovo Posizionamento. Da quel momento ha preso il via un’altra storia, di tipo manageriale. Ci siamo guardati negli occhi, ci siamo fatti delle domande, abbiamo cercato di capire il senso della nostra presenza sul mercato ed infine abbiamo condensato le idee in una direzione comune. Blogmeter oggi non è più solo un’azienda tecnologica – capace di analizzare miliardi di documenti sul web - è anche una consulting & data driven company, specializzata nell’interpretazione dei dati la cui naturale evoluzione è stata quella di affermarsi anche come un istituto di ricerche di mercato. Blogmeter è il protagonista italiano nella social intelligence e si esprime in 3 business unit: tecnologia, ricerca e consulenza».

Che vuol dire entrare in nuovi segmenti di mercato?

«Oggi abbiamo un’identità chiara e sappiamo di cosa ha bisogno il mercato, ogni settore ha le sue peculiarità e i nostri clienti, brand noti presenti in tutte le categorie merceologiche, hanno esigenze complesse crescenti a cui noi forniamo risposte soddisfacenti, che danno indicazioni concrete. Parliamoci chiaro, anche se siamo ricercatori solo dal 2016 ed anche se il nostro nome non ha lo stesso blasone di istituti multinazionali più noti, i nostri report sono di primo livello e nel corso dell’ultimo anno abbiamo acquisito un appeal inedito. Chiaramente abbiamo sentito la necessità di comunicare bene il nostro posizionamento, sia internamente che esternamente, ed ecco perché nel 2019 il team si è arricchito della nostra marketing manager e nel 2020 tra le partnership di rilievo la recente con TwentyTwenty e il Gruppo Noesis».

Un percorso che quindi è ancora in mutamento?

«In evoluzione, facciamo tanta ricerca e sviluppo sia internamente che con partner esterni, i nostri analisti ed i nostri ricercatori studiano continuamente i trend di mercato ed analizzano le abitudini dei consumatori, per questo ragioniamo su prodotti e servizi nuovi, attraverso i nostri lab. Grazie a questo diventeremo un polo italiano del Martech, aggregando tecnologia, dati e marketing, magari anche attraverso operazioni di M&A».

I numeri vi hanno premiato?

«Sì e anche in maniera determinante: i ricavi 2019 rispetto al 2018 crescono di una percentuale double digit ma anche gli indicatori di marginalità sono migliorati: l’Ebitda 2019 sui ricavi operativi è del 18% rispetto all’1% del 2018.».

Rinnovamento, maggiori conoscenze, focus più approfonditi: è questo il significato di performance così migliorate?

«Blogmeter è un piccolo gioiello: è un’azienda organizzata e controllata che sa pianificare, sa comunicare, usa strumenti evoluti per il marketing, il controllo di gestione, il crm, i processi. Questo ovviamente ha un impatto notevole. Ma ritengo che quello che più determina le nostre performance è la nostra cultura aziendale: avere le persone al centro, sia fuori, sia internamente all’azienda. Non ultimo, lo dimostra il repentino adattarsi alla realtà dello smartworking, che non ha provocato alcun sbandamento o trauma, tutt’altro, la produttività è aumentata. È cresciuto il legame interno, tra i miei 40 colleghi, i veri 40 protagonisti di questo difficile momento storico, li rispetto profondamente. Stiamo diventando solidi come una quercia grazie all’apporto di tutti».

Però ecco arrivare la sfida del Covid-19, cosa sta succedendo? Qual è la visione di Blogmeter?

«Abbiamo il team che gestisce i clienti sul pezzo e un dipartimento di new business che ha in pipeline quasi 100 proposte ma fuori c’è un indubbio tentennamento, il momento è difficile e i contratti non sono immediati. È chiaro che saremo ben presto chiamati a chiarire il panorama. La nostra leadership nel campo social, ambito nel quale esprimiamo, come consumatori, parecchie delle nostre emozioni e contenuti, ci mette in una posizione privilegiata».

Chi sono i vostri maggiori clienti? Come stanno rispondendo al momento?

«Non vorrei apparire presuntuoso ma siamo i numeri 1 per quel che concerne la quantità dei dati, il numero di fonti, la qualità dei contenuti sull’Italia e quindi i nostri clienti sono soprattutto italiani. Ma non nego che ci piacerebbe andare oltralpe ed aprirci ad una dimensione internazionale, quest’azienda è sempre più pronta. È chiaro che ora le priorità sono altre. Ossia aiutare, sostenere, analizzare il panorama per clienti che hanno avuto maggiori difficoltà come il Turismo ed il Fashion. Non è un mistero che la moda sia in grande difficoltà per via della pandemia, si è smarrita un’intera stagione. Ma abbiamo delle schiarite: in Cina ci giungono voci di una piccola ripresa del Fashion».

Sono cambiati gli obiettivi per il 2020…

«Non c’è dubbio, bisogna essere realistici, il budget ex ante Corona Virus ci aveva portato a stimare ricavi maggiori del 50% rispetto al 2019; oggi fare anche poco meglio rispetto all’anno scorso, conservando una sana marginalità, lo considererò un successo».

 

 

blogmeter__silvia_gaia_valisi_head_of_researchinsights

Silvia Gaia Valisi

 

Italiani e social, il Covid report

Il mondo è chiuso e la porta si chiama social, come dimostrano i dati dell’ultima ricerca di Blogmeter. Tra intrattenimento e informazione, tra inedite realtà casalinghe e il ruolo rinnovato degli influencer. Le parole dell’Head of Research & Insights della società, Silvia Valisi

Un pomeriggio di un giorno qualunque, uno dei tanti in questo folle 2020, con lo schermo del computer divenuto il migliore amico. Ma prima che qualcuno ci creda sul serio e programmi uscite mano nella mano con il proprio pc, sarebbe meglio dare un ascolto a chi se ne intende. Dicevamo, il solito pomeriggio, operativo o annoiato, o entrambi, ed ecco arrivare il salvatore della patria, Blogmeter. Un nuovo report, un aggiornato punto della situazione, una fotografia attuale degli italiani alle prese con i social, mentre fuori infuria la bufera invisibile. Lo abbiamo seguito in diretta, ne abbiamo scritto. Ma la curiosità non ci abbandona un attimo e così abbiamo voluto approfondire con l’Head of Research & Insights della società, Silvia Valisi.

In giro si dice che il virus ci cambierà in meglio. In attesa del futuro, che cosa ci sta lasciando di buono al momento?

«Ci sono dei lasciti positivi da parte del Covid: una maggiore comprensione dell’ambito social e in generale dell’organizzazione lavorativa in remoto, oggi più nota come smart working. Il set lavorativo che cambia è divenuto uno dei trend del momento, con l’abitazione, la dimora che prima era un rifugio dall’attività giornaliera che si sta trasformando in nuovo hub lavorativo. Mutano così anche le terminologie, i modi dire e, insieme a smart, ecco esplodere il delivery, che presuppone la costruzione casalinga della vita che un tempo si svolgeva fuori. È un qualcosa che si sta radicando, soprattutto in Lombardia e a Milano, i fiori all’occhiello del progresso nazionale con vista internazionale, ma che oggi vivono un certo rigore misto a preoccupazione, di fatto un bel bagno di umiltà».

Quali sono i nuovi trend?

«Riguardano temi comunque in grande penetrazione anche prima del Covid. Pensiamo alla video chiamata che supera la funzione del contatto mediante la sola lettura. Il social è oggi come non mai al top, se pensiamo che Presidente del Consiglio Conte che organizza i suoi interventi partendo da Facebook. Poi ci sono casi come quelli della Regione Veneto che aggiorna e informa attraverso un canale Instagram».

A tutto social, veloce, creativo, immediato, curioso, grande intrattenitore. Ma forse un po’ troppo giovane per una popolazione che tende verso la terza età, o no?

«È indubbio che si crei un vero e proprio digital gap, che vede tra le vittime chi, per età e scarsa familiarità, non ha mai frequentato l’ambito. Ed è quindi ovvio che occorra comunque una figura che sappia guidare i processi. Ma non diamo per scontato che l’avanzare dell’età presupponga una scarsa empatia con il mezzo social: tra i 12 e i 74 anni quasi tutti hanno un account Facebook, e la tv oggi come oggi ha una penetrazione inferiore. Tra i 18 e i 24 anni, la daily reach racconta un tasso di penetrazione del 91% dei social e del 73% della tv (fonte Wavemaker – GroupM)».

 Social che improvvisamente non vuol dire solo entertainment

«I social stanno assolvendo a maggiori funzioni di quello che capitava prima. L’intrattenimento era e rimane predominante. L’informazione è comunque cresciuta, nel pre Covid raggiungeva un 28% di penetrazione. Ci chiediamo cosa accadrà dopo. L’esperienza ci racconta che le routine più facili resistono con il tempo, quindi non molto dovrebbe cambiare dell’attuale situazione quando l’emergenza sarà conclusa».

Esistono tipi diversi di social media?

«Noi abbiamo individuato due tipologie: le piattaforme di cittadinanza, sempre aperte, consultate, vissute ormai in maniera naturale, ossia Facebook, Instagram e YouTube, oltre alle app di messaggistica, Whatsapp e Messenger; stanno ampliando le loro funzioni, conoscono maggiori evoluzioni. Poi ci sono i social funzionali, che performano molto bene, Linkedin, Tik Tok e Twitch».

Instagram ha conosciuto una grande crescita nell’ultimo periodo, poi c’è il caso Tik Tok: potrebbe presto rubare la scena?

«Instagram nell’ultimo biennio ha raggiunto un 73% di penetrazione complessiva sui vari target, sale al 91% tra i più giovani, satura tutto soprattutto fino ai 24 anni, ma va forte anche fino ai 40 e dintorni. Tik Tok ci incuriosisce, con il suo 16% di penetrazione, dopo Zoom e Google Meet arriva Tik Tok, tra le app più scaricate ed è nel suo campo l’unica di non video chiamata. Ora arriva la prova dei fatti».

Social e utilizzo, quale futuro?

«Il futuro è nell’integrazione. Ce lo chiedono le aziende, il mercato, e noi abbiamo avviato un osservatorio sui consumi per comprendere i progressi e le nuove evidenze».

Capitolo influencer: sono sempre così importanti? Cosa li contraddistingue?

«Assolvono a diverse funzioni: previsione, attualità, sono dei veri e propri touch point informativi. Non abbiamo molto tempo, abbiamo bisogno di qualcuno che ci guidi. Sappiamo anche che dietro molti influencer ci sono grandi investimenti, aziende, un mercato ufficiale, ma questo non significa per forza di cose perdere in prestigio. Certo, una dichiarazione equivoca, un piccolo passo può far crollare tutto. Ma è meglio non fare finta di nulla e anzi precisare i legami che sussistono: la gente cerca affinità, coerenza ma anche onestà, trasparenza. Oggi gli influencer agiscono anche sulle scelte di acquisito, per un 56%».

E allora perché gli investimenti pubblicitari continuano a prediligere la tv?

«La televisione rimane un grande touch point, soprattutto perché è facile da misurare. Oggi non sappiamo ancora come quantificare l’influenza degli influencer, non abbiamo ancora la capacità di capire il ritorno dei touch point social».

Anche alla luce dell’attuale, sfortunata situazione, come vede il connubio tra città e tecnologia? Quali sono i punti principali?

«Il mobile caratterizza tutta la metropoli, è la nostra guida principale, a tutti i livelli. Il social, sempre più forte con funzioni a 360 gradi. L’on demand sempre più diffuso, tra tv e radio, soprattutto in una realtà socio lavorativa oggi così destrutturata».