Il Cro Sean Buckley traccia una distinzione tra le due modalità di fruizione pubblicitaria: i player attivi in ambito digitale possono ridurre i frame pubblicitari mantenendo le medesime entrate, e quelli televisivi manterranno un flusso robusto di investimenti. Nell’opinione del manager, allora, la differenza sta soprattutto nella user experience
I broadcaster attivi sulla televisione tradizionale si stanno scontrando da qualche anno con la nascita di nuovi operatori digital native, i cosiddetti OTT. In realtà però questa definizione ha un’estensione ancora piuttosto indefinita, come conferma l’inclusione, da parte di alcuni, di Youtube e dei VOD. Per fare chiarezza sul segmento e sulle possibilità che offre in ambito pubblicitario, 360com ha intervistato Sean Buckley, CRO di SpotX.
Cosa si intende per OTT?
C’è una grande varietà di opinioni nella industry. Quando si parla di connected tv ci si riferisce a un device che si collega a internet e consegna UI per consumer che fruiscono dei contenuti attraverso un’applicazione. Solitamente via smart tv, console, dispositivi di streaming come l’Apple Tv o Chromecast. Quando si parla di connectet tv, insomma si parla di schermi grossi. Quando il concetto si espande all’OTT, si includono logiche cross device per i contenuti. Quindi per esempio, quando qualcuno guarda Netflix sul telefono si parla di OTT, ma non di Connected Tv. Se un broadcaster è attivo sulla tv lineare ma i suoi programmi sono in streaming online, esso stesso diventa un OTT. Vengono escluse però da questa definizione le le esperienze video ad-only, come quelle proposte dal newsfeed di Facebook o l’outstream. È vero, sono consegnate con logiche over the top, ma non è quello a cui si riferiscono le persone quando parlano di OTT. Non voglio dire che la trasposizione della tv lineare sul digitale sia l’unica definizione di questo termine, infatti molti includono Youtube e i VOD, ma è ancora un argomento piuttosto nebuloso. Quello che è chiaro, invece, è l’interesse sempre crescente dei consumatori nella visione di filmati on demand. E per on demand si intende anche live.
Nella nostra visione, mettere a confronto ott e linear tv è un errore. Specialmente in USA, infatti, si sta portando la tv lineare anche online. “Lineare” è solo il modello di distribuzione, one to many contro one to one, e non esclude che il lineare in streaming sia un grosso mercato. Il confronto si potrebbe invece fare tra OTT e traditional tv.
Quanto è grande questo mercato?
Secondo le ricerche di Boston Consultant, nel 2016 vale 25 miliardi di dollari a livello globale, tra abbonamenti e advertising. Ma le proiezioni indicano che crescerà fino a 65 miliardi nei prossimi 5 anni. Questo rappresenta una grande opportunità
Che effetti avrà questa espansione sui budget pubblicitari dell’adv tradizionale?
Ci si aspetta che il mercato pubblicitario della tv tradizionale, su scala globale, rimarrà piuttosto robusto. Nel futuro prossimo tv e ott non si pesteranno i piedi. È possibile che il budget per la tv tradizionale si abbassi lievemente e quello dedicato alle OTT cresca, ma non è detto che le tendenze siano correlate. Gli OTT lavorano su una base utente molto più piccola rispetto alla televisione, quindi nel breve termine la pubblicità su tv tradizionale rimarrà robusta e gli investimenti nell’over-the-top continueranno a crescere.
Come cambieranno le dinamiche di pricing tra gli spazi adv di tv tradizionale e ott?
Quando compri spazi nella tv tradizionale raggiungi un’audience variegata che può essere in buona parte, ovvero per il 40 o 50%, in linea con il target. Attraverso l’OTT, che permette una targetizzazione a livello di device, è possibile identificare l’audience a cui riferirsi e consegnare le ads solo agli utenti che appartengono a questo gruppo. E questo è certamente un vantaggio per gli advertiser, ma lo è anche per i media owner. Ora hanno a disposizione inventory in target dove prima non c’erano e monetizzarle attraverso nuovi advertiser, ora abilitati a raggiungere i loro cluster di riferimento. Nel mercato USA, la tv tradizionale a stacchi pubblicitari molto lunghi e fastidiosi per gli spettatori, e la targetizzazione degli spot attraverso gli OTT può permettere di ridurre gli slot proponendo e vendere lo stesso slot ad inserzionisti diversi che vogliono riferirsi a personas differenti. Una possibilità che può essere ancora più lucrativa per i media owners.