Autore: Redazione
14/07/2017

Think Digital: Fabio Vaccarono spiega la Legge di Varian come strumento per comprendere il futuro

Anziché sforzarsi di comprendere la prossima innovazione, complicando ulteriormente la complessità esistente, bisognerebbe sviscerare la tecnologia già disponibile e usata da pochi, perché in breve tempo sarà disponibile per tutti. Questa la chiave da utilizzare per comprendere cosa ci riserverà il domani, secondo il Managing Director di Google Italia

Think Digital: Fabio Vaccarono spiega la Legge di Varian come strumento per comprendere il futuro

Articolo a cura di Anna Maria Ciardullo

La Legge di Varian dice: «Se volete capire il futuro della tecnologia, prendete e osservate le tecnologie già esistenti che oggi sono nelle mani di pochi, come le persone più ricche o le aziende più innovative, e sappiate che entro pochi anni quelle stesse tecnologie saranno in possesso di metà della popolazione mondiale e entro dieci anni saranno in grado di coprire l’intero pianeta». Questa considerazione permette, oggi, di evitare di fare fantascienza e di addentrarsi o avventurarsi in alcune ipotesi più o meno futuristiche. Ragionare in questo senso, potrebbe essere un buon punto di partenza per le imprese italiane che hanno bisogno urgente di colmare il ritardo nel passaggio alla cosiddetta era digitale.

Questa considerazione è parte della visione di Fabio Vaccarono, managing director di Google Italia, ospite dell'evento di GroupMThink Digital, che ha portato il suo contributo all’interno di un panel dal titolo “La tecnologia sta cambiando il nostro oggi e il nostro domani”. «Prendete internet. Ha avuto un impatto molto significativo. Non è una tecnologia nuova. Eppure siamo ancora molto lontano dal vedere esplicato il suo pieno potenziale». Oggi ci sono 3 miliardi di persone collegate in rete. Si stima che da qui al 2020 diventeranno 6 miliardi, con una media di 5, 6 strumenti tecnologici a testa a disposizione, ossia circa 30 miliardi di device connessi.

«Dico questo perché in Italia c’è ancora un po’ la tendenza delle imprese a sentirsi in qualche modo protette dagli effetti di questa rivoluzione, come se avessero ancora del tempo e non fosse urgente adeguarsi alle nuove logiche dettate dal digitale. Ma non è così, naturalmente, e per questo, oggi, l’Italia è uno dei Paesi che si posiziona più in basso nella classifica dei più evoluti da questo punto di vista».

Oggi l’economia digitale non può più essere considerata un settore ma è, a tutti gli effetti, un fattore abilitante di qualsiasi modello di business e, dunque, tutte le aziende, oggi, sono di fatto aziende digitali. Questo implica la caduta di qualsiasi sistema lineare, continua Vaccarono, e la necessità di operare senza confini, a livello sempre più internazionale. «Eppure, oggi, nel contesto dell’Unione Europea, solo il 12% delle aziende utilizza degli strumenti digitali per favorire la propria internazionalizzazione».

La cosa importante, secondo il manager, è capire che dobbiamo abbandonare quella visione consolatoria del consumatore italiano che lo vuole rimasto indietro, che non utilizza molto l’ecommerce e che rimane, in qualche modo, sempre meno aggiornato rispetto ai suoi corrispettivi negli altri Paesi. La realtà è completamente diversa: si evolve alla pari e ha gli stessi interessi, le stesse skill e le stesse intezioni, ma è trascurato, gli mancano i servizi e questo si traduce in un disastro in termini di contesto competitivo perché significa spingerlo a servirsi da provider stranieri. «Oggi, per la prima volta nella storia del business italiano, il consumatore è nettamente più avanti delle organizzazioni che lavorano per servirlo e ha una predisposizione alla sperimentazione e ai cambiamenti che è molto più rapida di quella delle aziende».

Un’altra accelerazione sulla quale è possibile applicare la Legge di Varian è la cosiddetta “data driven innovation”. L’italiano, in media, negli ultimi tre anni ha processato il doppio delle informazioni di quante ne abbia processate negli ultimi 100 e se non siamo capaci di sfruttare queste informazioni per migliorare la capacità di prendere decisioni rilevanti, per la gestione della supply chain e del rapporto con il consumatore, sempre in ottica open source, si verificherà un’asimmetria informativa che il consumatore saprà padroneggiare e che, al contrario, le aziende non abbracceranno perché ancora troppo proiettate verso una gestione che distingue ancora nettamente il digitale dall’offline.

«Questo comporterà, inoltre, un’erosione violenta del mercato e del vantaggio competitivo, senza contare il rischio di essere soppiantati da qualche ragazzino che intanto è nel suo garage e sta progettando come fare disruption proprio in virtù di una comprensione più profonda dell’ultimo miglio del processo d’acquisto dei consumatori». L’altra grande direttrice è proprio quella dell’open source. Le aziende, oggi, hanno la drammatica necessità, ma anche la possibilità, di specializzarsi in quello che sanno fare meglio e affinare ciò che le rende uniche agli occhi dei consumatori, acquistando da provider terzi e top player le infrastrutture produttive (sistemi informativi, software e così via) di cui hanno bisogno, senza sprecare energie in settori che non sono la loro core competence.

«Noi crediamo così tanto nell’open source che il nostro meccanismo di machine learning, quello che abbiamo utilizzato per i data center - si chiama TensorFlow -, abbiamo deciso di renderlo libero e utilizzabile da tutti. E con la stessa filosofia abbiamo contribuito, insieme ad altri operatori del pianeta, a creare innovazione e a ridisegnare il futuro di moltissimi settori». Vaccarono ha poi proposto due chiavi di lettura per il futuro. La prima è vedere cosa esiste già e che cosa, grazie a internet, diventerà di accesso e di dominio universale; e la seconda è di ragionare attraverso la rete come tecnologia abilitante intorno all’innovazione in diversi settori che, grazie a internet, prima si fondono e poi vanno a cambiare la logica di interi comparti, piccoli e grandi, pubblici e privati.

«Un’altra grande sfida che abbiamo davanti, infine, è connessa alla velocità di cambiamento implicata dalla Legge di Varian. Si tratta della sfida legata alla riconversione culturale del nostro capitale umano, la sfida della rivoluzione della nostra classe dirigente all’interno delle organizzazioni, a partire dal ruolo del Ceo, il capo azienda, che oggi dev’essere il vero chief digital officer», ha concluso.