Autore: Redazione
08/02/2016

Si scatena il mercato LCN, ma la carenza legislativa sul tema delle smart tv preoccupa il settore

Una ulteriore confusione è creata dalla differenza normativa tra i servizi audiovisivi tradizionali e on demand, dal momento che i primi stanno sfruttando piattaforme simili a quelle dei secondi. Intanto è in definizione una nuova prassi tra le due fasce già citate e gli ott

Si scatena il mercato LCN, ma la carenza legislativa sul tema delle smart tv preoccupa il settore

L’esplosione delle piattaforme di servizi audiovisivi on demand ha proiettato i broadcaster lineari in una fase mistica. I punti su cui si troveranno a riflettere i tradizionali canali televisivi riguardano principalmente i nuovi device, le cosiddette smart tv, e le norme legislative a cui sono sottoposti servizi come Netflix, Tim Vision e Chili. La LCN, negli scorsi mesi ha scatenato in Italia un mercato molto acceso, dove «alcune trattative si sono già concluse, altre, del valore di tanti milioni di euro, sono ancora in corso» ha dichiarato Ernesto Apa, socio dello studio legale Portolano Cavallo. Le prime 100 posizioni nella lista di canali automatica del digitale terrestre sono molto ambite, in particolare i numeri più bassi. A turbare il mercato è la lenta ma inesorabile diffusione delle smart tv, che propongono le app dei broadcaster nella schermata iniziale, scavalcando la disposizione dei canali, dunque vanificando potenzialmente gli investimenti milionari dei broadcaster, e calpestando il pluralismo su cui si basa l’offerta televisiva. «Non esiste nessuna disciplina specifica a livello giuridico che regoli l’introduzione e il posizionamento delle app nelle smart tv. L’unico organo che ha voce in capitolo è l’Antitrust. L’autorità ha comunque richiesto informazioni riguardo questa situazione», continua Apa. Il secondo nodo da sbrogliare è relativo alla differenza tra le richieste che la legge avanza ai fornitori di servizi media lineari e quelle rivolte agli operatori on demand. I primi sono tenuti a proporre trasmissioni europee per il 50% del palinsesto e investire il 20% dei loro ricavi in opere televisive continentali indipendenti, i secondi possono scegliere se dedicare il 20% della libreria a format europei oppure destinare all’acquisto di opere prodotte nel continente il 5% dei propri ricavi. Due scenari differenti, ma va tenuto in considerazione che i canali tradizionali stanno strutturando delle piattaforme on demand sempre più simili a quelle esistenti, pur sottostando a una diversa legislazione. «Uno svantaggio sostanziale, che potrebbe essere chiarito nei prossimi mesi. È in discussione una nuova definizione delle prassi tra le due fasce già citate e quella degli ott, che per adesso non rispondono a nessun obbligo essendo essi piattaforme di diffusione e non editori di contenuti», conclude Apa.