Autore: Redazione
02/05/2016

Orientarsi nello scenario del Native Advertising

Il secondo atto della rubrica di ArtAttack native adv mette un po' di ordine tra gli attori protagonisti del comparto

Orientarsi nello scenario del Native Advertising

Il mercato del native advertising è uno dei trend emergenti del mercato digital italiano e mondiale, sia per la grande offerta di servizi sia per l'interesse dimostrato dalle aziende. DailyNet vuole proporre ai lettori una rubrica periodica di approfondimento sui temi più dibattuti. Art Attack native adv, agenzia che idea e crea brande content per i propri clienti dal 2010 ed è attiva dagli albori del native, si occuperà della realizzazione dei contenuti in collaborazione con la redazione. Buona lettura con We Believe in Native.   Clicca per leggere la prima uscita Perché tutti parlano di native advertising?  

Orientarsi nello scenario del Native Advertising

Articolo a cura di Pasquale Borriello, Account Director @ ARTATTACK native adv - ‎netnoc
 
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Il native advertising non è più solo un trend ma ormai un pilastro della pubblicità digitale. Ma si fa presto a dire native: come è strutturato lo scenario del mercato e cosa significa “native advertising” esattamente? Il Native Advertising è forse ormai uno dei pochi punti fermi per editori ed investitori. L’avvento delle piattaforme social prima, Facebook soprattutto, e quello degli adblock poi, ha spazzato via buona parte della display tradizionale (i.e. i banner). Ed è stato proprio il native a beneficiare di queste rivoluzioni. È una delle possibili forme di distribuzione, ovvero pianificazione media paid, dei contenuti che le aziende producono o decidono di sponsorizzare. Si tratta in questo senso di una parte del più ampio concetto di content marketing. Può aiutarci l’infografica, seppure di qualche anno fa, realizzata da Triplelift (nella foto grande) oppure quella ancora più completa di Luma Partners. Possono essere sponsorizzati in modalità “native” diversi contenuti: video, post, immagini, playlist e prodotti (ad esempio i listing su Amazon o eBay). I canali possono essere social (la quasi totalità dei Facebook Ads sono native), piattaforme proprietarie di editori o marketplace aperti e perfino piattaforme programmatic. Ma è interessante che il framework IAB US del 2013, recepito da IAB Italia nel 2015, parli dei possibili formati e non dica quasi nulla sul contenuto degli annunci. Il mercato concorda a grandi linee su cosa significhi native in termini di formato grafico, ma non dal punto di vista del contenuto vero e proprio. È come dire che siamo d’accordo sul fatto che un’automobile abbia quattro ruote ma non su cosa debba esserci dentro. Un’automobile senza volante e sedili è ancora tale? La definizione standard su Wikipedia ci aiuta un po’: “una forma di advertising online che assume l’aspetto dei contenuti del sito sul quale è ospitata, [...] l’obiettivo è riprodurre l’esperienza utente del contesto in cui è posizionata, sia nell’aspetto che nel contenuto”. E forse la definizione più efficace è quella di Dan Greenberg, che di native ne capisce visto che è founder e CEO di Sharethrough, piattaforma leader negli USA. Greenberg ha dichiarato che un contenuto è native se “togliendo il brand il contenuto perde di senso”. Per riassumere, possiamo davvero parlare di native advertising se il formato rientra nel framework IAB, il placement sul sito è “naturale” e il contenuto è perfettamente tarato sul brand. Scopriremo che molto di quello che chimiamo “native” è solo un banner “travestito” da qualcos’altro. E il vostro annuncio, sicuri che si native?