Autore: Redazione
14/03/2016

Rai, il nuovo corso di Tagliavia

Riavvicinamento a YouTube, sviluppo e semplificazione del prodotto, valorizzazione contenuti e universalità

Rai, il nuovo corso di Tagliavia

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Trasformare la Rai da broadcaster a media company, perché occorre cambiare cultura ed essere veramente digitali uscendo da una logica palinsesto-centrica, che rimane comunque importante, perché il digitale non viene prima, è innato. Si è focalizzato su questi e tanti altri punti l’intervento dell’Audizione del direttore della Direzione Digital della Rai, Gian Paolo Tagliavia, in commissione Vigilanza, perché, non è un mistero, anche in un Paese tv-centrico come il nostro, le fasce più giovani della popolazione, quelle di età compresa tra i 15 e i 44 anni, stanno abbandonando il piccolo schermo. In favore, guarda caso, di web e mobile. E dopo la nomina di dicembre scorso, Tagliavia ne ha approfittato per fare il punto sui primi mesi al timone del digitale di Viale Mazzini. Tra le tante cose, è emerso un velato riavvicinamento a YouTube, dopo la rottura di due anni fa, che potrebbe portare a un secondo matrimonio.
L’organizzazione
«Il primo elemento su cui abbiamo messo mano è l’organizzazione», ha affermato Tagliavia. Prima, infatti, non esisteva una direzione digitale ma un gruppo di lavoro inserito all’interno della direzione tecnologia. «Qui è evidente la visione strategica, e quindi si intendeva il digitale come servizio tecnico e non quindi un soggetto deputato allo sviluppo del prodotto ma alla sua riproposizione con modalità tecniche particolari - ha proseguito -. Ma per essere competitivi sul digitale occorre l’unione di tre componenti: non basta quella tecnologica ma i contenuti e il marketing devono essere strettamente integrati». Con questi presupposti a gennaio è nata la direzione digital del servizio pubblico, a diretto riporto del d.g Antonio Campo Dall’Orto. L’ex ceo di Ipg Mediabrands in Italia ha indicato poi le tre direttrici lungo le quali si concentreranno le azioni della sua direzione: sviluppo prodotti; valorizzazione contenuti; e contributo alla riduzione del digital divide.
Lo sviluppo e la revisione passano per la semplificazione
Come spiegato dallo stesso Tagliavia da una parte ci sono i prodotti, «perché saremo giudicati dalla loro qualità. Per questo siamo impegnati a una revisione complessiva del prodotto digitale di Rai che va verso la semplificazione. Una revisione che è un vero e proprio rifacimento della nostra offerta e si declina in due modi. Primo, semplificazione delle cose che facciamo, ci sono più di 200 siti, diversi profili social, forse dovremo cominciare a fare meno cose ma meglio». Insomma una modalità che tenda la mano ai fruitori perché la Rai vuole essere universale. «Il secondo ambito è proprio la semplificazione del prodotto, per far raggiungere i contenuti in modo più rapido», ha aggiunto sottolineando la necessità di inclusività. Inclusività che però non deve rappresentare un ostacolo alla personalizzazione dell’esperienza utente. «Nell’universalità occorre dare strumenti di personalizzazione», ha precisato Tagliavia, alludendo alle piattaforme americane come Netflix, che propongono homepage diverse per singola persona. Un altro ambito è quello della socialità, «perché quello che viene condiviso ha vita digitale quello che non lo è no».
YouTube e le piattaforme tech, «Bisogna trovare il modo di collaborare»
Quindi Tagliavia ha toccato il tema YouTube, dopo che circa due anni fa Rai ha deciso di ritirare i suoi video dalla piattaforma di proprietà di Google. Secondo alcune indiscrezioni questo accordo poteva valere 700mila euro all’anno in cambio di 7.000 filmati caricati, anche se gli interessati hanno sempre smentito accordi del genere. Tagliavia ha toccato la questione: considerando il patrimonio della Rai e l’importanza nel panorama media italiano di Google, il rapporto prestazione/controprestazione non era sufficiente in termini di remunerazione. Insomma, Tagliavia lo nasconde ma la sostanza è che questo tipo di intese richiede più soldi. Ma cosa farà la Rai? La volontà di dare prodotti migliori è sempre primaria e quindi l’uscita da YouTube deve implicare la proposta di alternative valide. E, allargando il discorso ad altre piattaforme come Facebook e Twitter, che dominano il mercato digitale, Tagliavia ha detto: «Noi dobbiamo in qualche maniera ricomprenderli strategicamente all’interno delle cose che vogliamo fare, non possiamo far finta che questi signori non ci siano e trovare il modo di collaborare, senza dimenticare però chi siamo: non siamo globali ma sicuramente abbiamo una storia e davanti a noi un futuro che ci impone di richiedere a questi potenziali partner, un rapporto più personalizzato. Dobbiamo trovare le chiavi per valorizzare i contenuti di Rai, ma una volta trovate non vedo perché non si possa ricominciare a lavorare con YouTube come già facciamo con i social Facebook e Twitter». «L’importante, però - ha ammonito -, è mantenere una misura, un metodo». Proprio un eventuale ritorno su YouTube, potrebbe permettere alla Rai di avvicinarsi alle audience più giovani. «Il nostro primo interesse è avere un dialogo continuativo con delle fasce di popolazione, con cui la relazione è un po’ più lasca. Il tema è andare noi dove le persone sono», ha puntualizzato, spiegando come i giganti Usa abbiano un pubblico numeroso, che la Rai vuole raggiungere.
Valorizzazione dei contenuti
Oltre a studiare le pratiche a livello internazionale Tagliavia invita a guardare allo specifico: «Noi siamo detentori di un patrimonio sterminato, la cultura visiva di questo Paese ce l’abbiamo noi e quindi dobbiamo porci come obiettivo di rendere accessibile questa grande quantità di contenuti», considerando anche che negli ultimi anni è stato fatto un lavoro di conservazione, di restaurazione di messa a disposizione, «ma non essendoci prodotti particolarmente performanti questa ultima fase non ha trovato pieno compimento. «Con dei prodotti migliori, le teche diventeranno un luogo più frequentato, specialmente sul non lineare», ha specificato.
Inclusività: una Rai universale, per ridurre il digital divide
La Rai si deve impegnare, sempre in un’ottica di inclusività, anche con chi è fuori dal digitale: «È evidente che possiamo essere una grande piattaforma di comunicazione ma dobbiamo fare una lavoro di identificazione sul perché la forbice del digital divide è così ampia in Italia. Non siamo stati in grado, come industria, di capire e interpretare in maniera profonda, e quindi soddisfare i bisogni delle persone, che sono rimaste fuori dal digitale», ha detto Tagliavia. Motivazioni economiche, tecnologiche e soprattutto culturali sono le barriere all’adozione del digitale. «Siamo impegnati in una fase propedeutica per un successivo lavoro di comunicazione», ha concluso.