Autore: Redazione
29/06/2022

Capire l’influencer marketing: i nuovi dati dell’Osservatorio InSIdE promosso da Pulse Advertising

L’analisi influencer, stories, identities and evolutions, sorta in partnership con l’Università di Pavia e con l’appoggio di Eumetra, apre le porta a una nuova wave, per integrare l’aspetto qualitativo a quello quantitativo, con l’obiettivo di rendere professionale un settore e integralo nell’ecosistema

Capire l’influencer marketing: i nuovi dati dell’Osservatorio InSIdE promosso da Pulse Advertising

da sinistra Alberto Stracuzzi, Paola Nannelli e Flavio Antonio Ceravolo

Facile dire influencer marketing. Un aggiornamento dell’era testimonial, tramutatasi in epoca ambassador. Cambiano le parole, ma non il senso, direbbero certuni, che però forse soffrono di pigrizia. Stringere con affetto e gelosia le proprie metriche standard potrebbe non bastare. Dietro la materia influencer, sotto la luce dei riflettori da anni, eppure nuova perché in costante evoluzione c’è dell’altro, ma non sono molti quelli in grado di scoprirlo. Il carro , insomma, si è riempito, carico di entusiasmo, il rischio di perdere una ruota è però concreto: manca una grammatica, un alfabeto condiviso, regole precise cui fare affidamento. L’improvvisazione, quando non suffragata da dati certi,  genera confusione quando non autentici mostri. Pulse Advertising, agenzia leader del settore, con sedi ad Amburgo, Londra, Milano e New York, agenzia che il terreno lo bazzica scientemente da diverse stagioni, ha deciso di aprire alla svolta, di inaugurare un reale progetto dedicato alla formazione, di erigere un vero e proprio impianto capace di spiegare cosa sia veramente l’influencer marketing, come debba essere utilizzato, quali possano essere i suoi vantaggi. Per farlo, il suo executive director, Paola Nannelli ha deciso di chiamare in causa un organismo super partes, l’Università di Pavia e il professore Flavio Ceravolo. Da qui nasce uno studio sul tema, i cui dati vanno a comporre un Osservatorio sull’influencer marketing. Il risultato è l’Osservatorio InSIdE (influencer, stories, identities and evolutions) che può contare anche sull’appoggio di Eumetra (Istituto di ricerca sociale e di marketing), nella persona di Alberto Stracuzzi, marketing research director, e che divulga, dopo il lancio di novembre 2021, una nuova wave di analisi per raccontare il settore da un punto di vista qualitativo e relazionale. Questa volta i dati incrociati da survey e interviste portano indicazioni preziose sul rapporto tra influencer “professionista” e prodotto e tipologia di rapporto tra influencer e agenzie.

Collaborazione e reputazione

Partendo dalla distinzione rilevante che l’Osservatorio InSIdE aveva evidenziato al suo debutto, ossia la nuova categorizzazione di influencer tra “Early Adopters” (attivi sul mercato ormai da molti anni) e “Last Comers” (approdati alla professione di influencer solo in tempi recenti), sono stati incrociati dati di anzianità digitale con le categorie merceologiche. Il risultato è un’analisi puntuale che evidenzia quanto una categoria di influencer sia disponibile o meno a parlare di prodotti anche non top di gamma, mettendo la propria “digital reputation” davanti alla collaborazione commerciale. Una nuova elaborazione dei dati disponibili ha consentito di entrare dentro le differenze fra specialisti e generalisti, oppure fra quelle fra super user e testimonial più professionalizzati, senza contare ulteriori classificazioni più minute. Inoltre è stato possibile introdurre nelle analisi il settore di riferimento dei talents censiti dall’indagine all’interno delle analisi. In questo modo sono state realizzate analisi di tipo multivariato che hanno messo in luce alcuni aspetti interessanti: gli specialisti si concentrano molto di più nei super user, hanno una vocazione molto meno generalista e si focalizzano su uno al massimo due canali di comunicazione principali; per questi talent la separazione fra la propria vita privata e quello che portano in rete è importante, così come lo è il fatto di avere il pieno controllo dei contenuti che portano sui loro canali; si tratta di influencer che si concentrano maggiormente in settori specialistici per eccellenza come il tech e il food; diametralmente opposti sono invece i comunicatori più professionalizzati che risultano molto più attenti al mercato mostrando un profilo di comunicazione più variegato con format differenti sui diversi canali. Per loro, contrariamente al gruppo precedente, è molto importante portare sui canali la loro vita privata e portare il pubblico dentro il loro mondo con grande continuità. Una tipologia di influencer più concentrata sul mondo del lifestyle, della moda e del fitness.

Gli influencer e le agenzie

Attraverso la costruzione di una mappa semantica che incrocia caratteristiche essenziali e categorie di influencer, lo studio ha evidenziato come il rapporto con le agenzie sia influenzato dalla specializzazione dell’influencer. I “generalisti”, ossia chi condivide soprattutto il lato ricreativo sui canali social e non si sente legato a nessun settore in particolare, ha una maggiore propensione alla collaborazione costante con le agenzie. Tuttavia il principale risultato emerso è che non si possono trovare regole certe per descrivere il rapporto fra talent e agenzie. Al contrario sembra emergere che in gran parte il rapporto sia del tutto personale e privo di una struttura metodologica condivisa a fissare tempi, metodi e obiettivi. In altre parole il mercato degli influencers, sebbene stia imponendo la propria rilevanza in maniera più che evidente, sembra essere ancora metodologicamente immaturo. Un terreno in larga parte da costruire e strutturare.

Cos’è InSIdE

Da questi presupposti ha preso quindi il via il progetto dell’Osservatorio InSIdE che, per analizzare uno scenario che coinvolge non solo gli influencer, ma anche il pubblico che li segue e che ne determina le scelte comunicative o la preferenza per presidiare uno solo o diversi canali social, ha utilizzato diverse metodologie di ricerca: survey, interviste in profondità e osservazione spontanea. Le analisi hanno evidenziato per la prima volta che nel settore dell’influencer marketing non è più valida la regola della relazione top-down come avviene nel marketing tradizionale. La comunicazione ha assunto regole differenti in cui i messaggi promozionali si inseriscono in maniera nativa nella fluidità della narrazione personale di un influencer. Questo assicura un engagment più alto e un modello molto naturale di comunicazione, un equilibrio essenziale nel momento in cui vediamo gli influencer come media che rientrano nel parterre di strumenti a disposizione del marketing. Per scegliere i volti giusti con cui collaborare non basta “guardare solo ai numeri”, ma è necessario integrare l’aspetto qualitativo a quello quantitativo in modo da tenere conto della componente più umana degli stessi, ossia le loro storie.

Una nuova categorizzazione degli influencer

Molte sono le dimensioni raccolte finora dall’Osservatorio e che vanno ragionate alla luce del nuovo approccio di ricerca proposto. Tra le dimensioni, sicuramente rilevanti, ma che non possono essere analizzate singolarmente, vi è l’ampiezza della fanbase: se ci si ferma a categorizzare gli influencer soltanto sulla base di questo aspetto, si corre il rischio di trarre conclusioni non rilevanti dal punto di vista strategico. Invece un primo dato che emerge in questo primo momento di analisi, sia dal sondaggio somministrato sia dalle interviste in profondità, è che si notano delle interessanti differenze di comportamento se consideriamo la variabile dell’anzianità digitale. Gli influencer che sono attivi sul mercato ormai da molti anni, che sono stati perciò dei veri e propri “Early Adopters”, presentano modi diversi di approcciare il proprio pubblico o di considerare il loro ruolo di influencer, quando comparati con i personaggi che sono approdati alla professione solo in tempi recenti, coloro che sono perciò dei “Last Comers”.

La Community

Dall’analisi delle interazioni spontanee delle community sui contenuti degli influencer è emersa una prima interessante evidenza che conduce all’individuazione di due aree di contenuto: una legata alla narrazione della vita privata e una alla promozione di prodotti o servizi. Tra questi due macromondi si notano delle differenze rilevanti sia su base semantica sia a livello di engagement relativo generato. Quest’evidenza porta alla necessità per i brand di interrogarsi sulla migliore modalità di inserimento dei propri prodotti nella naturale narrazione degli influencer. Se l’obiettivo è capitalizzare l’attenzione delle fanbase e la credibilità degli influencer, il percorso ottimale per i brand è quello di inserirsi in modo fluido e non forzato nella narrazione di questi ultimi, convincendoli non solo dal punto di vista monetario. «Proprio dallo studio della community è possibile comprendere meglio la portata di autentici fenomeni, quali Chiara Ferragni, il suo mondo, un vero e proprio impero, un meccanismo ormai oliatissimo, una professione, quello della creator economy», sottolinea Paola Nannelli, Executive Director di Pulse Advertising . Chi c’è dietro il fenomeno Ferragni? «Per capirlo, occorre prendere coscienza del fatto che non ci siano solo i follower o i costi dei singoli post, ma anche altre situazioni da analizzare. Un punto da sottolineare: la differenza tra chi ha inventato il ruolo e chi è arrivato dopo; gli ideatori pensano molto alla personalizzazione, alla centralità dei contenuti, i secondi sono un passo oltre, hanno una visione più imprenditoriale. Appurato che la community è l’elemento fondamentale, il mercato non ha ancora sviluppato un metodo che riesca a misurare i rapporti tra gli attori coinvolti, affinché dato e relazione vadano di pari passo. Quello che vediamo è una situazione in costante fermento ma non ordinatissima: c’è chi lavora da solo, chi si affida a un’agenzia, chi sceglie un tool. E allora, quello che veramente serve è un’educazione. Il passo decisivo sarà investire sul capitale relazionale, costruire un ponte credibile tra creatore, prodotto e fruitore». Aggiunge Flavio Ceravolo: «Quando si entra nel campo dell’influencer marketing, la comunicazione entra in una dimensione di co-creazione. L’agenzia deve rispettare il contenuto, apportare al discorso qualcosa di attinente, combaciante, altrimenti si scivola nel vecchio contenuto pubblicitario. Il rischio è crollare nella distonia». In un settore ancora non educato, che si muove in maniera pressoché artigianale o comunque poco industriale, Pulse Advertising ha quindi un obiettivo: integrare l’influencer marketing nell’intero ecosistema. Perché ciò accada, serve una reale sinergia tra le parti, con continui test & learn. «Gli influencer sono dei futuri super user, ossia coloro che ci racconteranno i prodotti e i trend futuri. Pulse Advertising vuole offrire al mercato una capacità di lettura non solo verticale, ma non punta a diventare un academy, piuttosto a circondarsi di attori formativi», conclude Paola Nannelli.