Autore: Redazione
11/03/2021

La pubblicità digitale è una questione culturale, Quantcast inaugura il suo personale capitolo

Tra pregiudizi, idee radicate, movimenti di mercato in costante evoluzione, avanzamenti tecnologico-concettuali e maturazioni normative, il mondo del digital adv è a un bivio importante. Ilaria Zampori, General Manager Italy & Spain della company, fa il punto della situazione

La pubblicità digitale è una questione culturale, Quantcast inaugura il suo personale capitolo

Ilaria Zampori

Passano le stagioni, si succedono gli eventi, anche drammatici, destabilizzanti, epocali, come accaduto di recente, eppure ci sono alcune certezze inscalfibili, difficilmente controllabili, quasi impossibili da reindirizzare. Per esempio: la pubblicità, la sua presenza avvertita come ossessiva, la consapevolezza labile che sì, sia importante, la poca conoscenza dei meccanismi che ne sottendono l’esistenza, sulle conseguenze di breve e lungo periodo. Lo disse chiaro e tondo un Federico Fellini insolitamente irato a metà degli oggi mitici anni 80: “Gli spot rovinano la messa in onda dei film, perché ne bloccano il naturale incedere”. Arte venduta al vil denaro, si mormorava negli ambienti. Senza il quale però la suddetta arte farebbe fatica a ritagliarsi i suoi spazi. Un balzo in avanti di due decenni ed ecco esplodere la vita in rete, il paradiso del web, dove tutto è possibile, in cui tutto è nostro, gratis. Ovviamente non è così ed ecco apparire in nostro soccorso la pubblicità, che però viene scambiata per acerrimo nemico, il peggiore addirittura. Il mondo imprenditoriale che si muove lungo le corde dell’adv comincia a ragionarci su ed escogita delle soluzioni incredibili, tra data, programmatic e automazione. Ma non basta, almeno per far crescere la consapevolezza dell’utente, divenuto tra l’altro fondamentale e sempre più protagonista nella nuova partita della privacy. Che fare? Noi abbiamo pensato bene di chiedere lumi a Ilaria Zampori, General Manager Quantcast per l’Italia e la Spagna.

Il 2020, un anno che… non ci voleva. Con quali armi rispondere al rallentamento generale, quali punti toccare con maggior vigore?

«Il 2020 è stato un anno complesso, che però ha senza dubbio accresciuto il progresso del mondo digitale, si pensi solo al mercato dell’e-commerce che ha fatto un balzo di 10 anni. Per quanto riguarda invece il settore del digital advertising, oggi più che mai, abbiamo notato che il mercato non può più fare a meno della pubblicità digitale: gli utenti online continuano a crescere e gli strumenti di misurazione attualmente a disposizione sono sempre più funzionali ed efficaci. Bisogna ammettere che la base di partenza era già buona: anche prima della crisi sanitaria e quindi economico-sociale, il settore aveva registrato una crescita a doppia cifra. Un avanzamento confermato anche dal calo del 2020, assestatosi intorno al -4%. Non sembri un paradosso, significa che l’industry ha tenuto. Il che ci prepara a uno scenario, quello del 2021, in crescita ed in evoluzione: ci saranno dei consolidamenti, dei nuovi protagonisti sul mercato, dei temi inediti».

A proposito di temi: non si fa altro che parlare di cookie. Qual è il vostro pensiero?

«Una questione ovviamente scottante. Partiamo dal presupposto che i browser da tempo stanno valutando un approccio diverso che consideri maggiormente la privacy e la trasparenza verso i consumatori. Tuttavia la notizia ha creato del panico generalizzato, perché l’intero ecosistema e le interconnessioni tra i suoi vari player dipendono dai cookie di terze parti. L’unica via percorribile per ovviare al problema è trovare un equilibrio di potere che permetta a tutti i player del settore di continuare ad operare in maniera efficiente ed efficace. Quantcast partecipa ai principali tavoli di lavoro per trovare una soluzione in tal senso. Guardando ad un futuro senza cookie di terze parti, si manifestano però sostanzialmente due strade percorribili. Da una parte un approccio “Contextual & Cohorts” con il ritorno alla targetizzazione per gruppi di consumatori e la perdita dell’attuale capacità di raggiungere il singolo utente garantendo una rilevante personalizzazione, dall’altra un approccio “Identity” in cui mondo deterministico e mondo probabilistico coesistono, per una maggiore precisione e scalabilità; tenendo sempre in considerazione la privacy del consumatore. Studi e approcci differenti sono comunque allo studio e i tavoli collettivi sono già avviati. Le soluzioni dovranno sicuramente premiare la maggiore trasparenza verso il consumatore».

Ma la pubblicità perché è ancora avvertita come un disturbo, quando non addirittura una seccatura?

«È il peccato originale di Internet, l’aver fatto credere che tutto fosse libero. Tutti pensano al web come ad un mondo digitale completamente gratuito dove qualsiasi informazione è sempre e comunque a disposizione. Ma dietro ai contenuti e agli strumenti di condivisione ci sono però sempre dei costi di cui la pubblicità ne è il finanziatore principale. È difficile andare contro anni di cultura, occorre comunicare, creare interesse, essere trasparenti. La profilazione è fondamentale per inviare al consumatore il messaggio giusto al momento giusto, per erogare una pubblicità intelligente capace di rispondere ai suoi reali interessi e bisogni. Ecco perché diventa importante educare il consumatore sulla sua rilevanza, non solo per l’ecosistema ma anche per sé stesso, per una sua migliore navigazione online caratterizzata da annunci pertinenti e non inutili o fastidiosi. In ogni caso l’ultima parola spetta sempre all’utente: è lui a decidere come gestire i propri dati online».

L’automazione non potrebbe creare troppa omogeneità?

«Non lo crediamo. Abbiamo a disposizione dati freschi, trattati con AI e Machine Learning. Stiamo parlando di tecnologie di grande efficienza a supporto delle decisioni strategiche. Se io utilizzo in maniera intelligente i dati, ho dei riscontri concreti, ovvero degli actionable insights. L’AI e il Machine Learning, inoltre, esonera i marketer dall’effettuare compiti ripetitivi solitamente time consuming, consentendo loro di focalizzarsi sulla parte strategica e relazionale del business».

Il 2021 di Quantcast: quali saranno i focus?

«Riflettori puntati sullo sviluppo di tecnologie proprietarie. Abbiamo recentemente lanciato sul mercato Quantcast Platform un’innovativa piattaforma di audience intelligente, alimentata da Ara™, il motore di AI e machine learning brevettato dell'azienda, che permette a brand, agenzie ed editori di conoscere e accrescere la propria audience raggiungendo la persona giusta al momento giusto. Altri i focus di Quantcast quali identità di lungo termine, come la soluzione Permisio (un'estensione di Quantcast Choice, che ricorda le decisioni dei consumatori sulla privacy e le applica automaticamente per ogni visita riducendo il numero di pop-up, ndr); lavorare sul consenso del consumatore (trend consumer first); operare sulla qualità del dato, reale e di prima parte. L’obiettivo: accrescere il business del cliente».

Che dire sulla Connected Tv?

«È una nuova opportunità, in un anno quello pandemico, che ha visto la crescita esponenziale del consumo mediatico. Il primo problema sarà legato alla sua misurazione. Ci vorrà tempo, e ci vorranno più utenti connessi per avere i primi numeri reali. In un paio d’anni il tutto dovrebbe svilupparsi. Il 2021 sarà l’anno zero in questo senso».