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We Are Social si racconta tra piattaforme, messaging, chat e gruppi privati

Autore:

Ottavio Nava, Stefano Maggi, Gabriele Cucinella


Partendo da un blogpost sul tema, pubblicato dall’agenzia, abbiamo chiesto a Gabriele Cucinella, Stefano Maggi e Ottavio Nava, Co-founder e CEO Italia e Spagna di fare un “approfondimento dell’approfondimento” per aiutarci a soddisfare un po’ di curiosità sullo stato dell’arte dei social network

“L’esperienza social è fatta sempre più spesso di conversazioni, relazioni e condivisioni private: social messaging, gruppi ristretti e “dark social” sono fenomeni in crescita per chiunque abbia accesso a una connessione. Fino a poco tempo fa, il news feed rappresentava invece “l’esperienza social” per definizione, il modo principale con cui le persone potevano dialogare, scoprire nuovi contenuti, condividere momenti o semplicemente informarsi su ciò che stava succedendo nella loro cerchia di amici”. Questo, il passo iniziale del nuovo blogpost pubblicato da We Are Social per offrire uno sguardo da insider sullo stato dell’arte del settore e su come stiano cambiando, in funzione di nuovi bisogni e interessi degli utenti, le logiche dello storytelling, delle strategie commerciali e di brand e le piattaforme stesse. DailyNet ha chiesto a Gabriele Cucinella, Stefano Maggi e Ottavio Nava, Co-founder e CEO di We Are Social Italia e Spagna, di fare un approfondimento dell’approfondimento, partendo proprio dal contenuto condiviso sui canali dell’agenzia che potete trovare a questo link 

Di seguito quello che emerso dalla nostra chiacchierata e tutte le nostre curiosità, che i tre manager ci hanno aiutato a soddisfare. 

Le novità in arrivo su Facebook e annunciate durante l’ultima conferenza del social network, F8, rispecchiano molte delle tendenze evidenziate in questo articolo. Da vostro punto di vista quali sono i cambiamenti più significativi per i brand? Quali sono i vantaggi e gli svantaggi che ne derivano da un punto di vista pubblicitario?

Le piattaforme si evolvono per adattarsi alle relazioni delle persone: nasce così la scelta di affiancare alla “piazza pubblica” un luogo social più privato, paragonabile al salotto di casa. In questi contesti, gli approcci di comunicazione basati sull’interruzione di un’esperienza si rivelano non più solamente sgradevoli, ma addirittura inaccettabili e inefficaci. Sviluppare idee creative ispirate dal comportamento sociale delle persone e di cui le persone vogliano parlare e sentirsi parte, invece, è una scelta obbligata per i brand che vogliono essere rilevanti e non desiderano essere percepiti come invasivi. Le marche che sapranno analizzare e capire le esigenze delle persone e delle community a cui si rivolgono saranno avvantaggiate e potranno divenire ancora più efficaci attraverso contenuti e idee ispirate direttamente dai gruppi a cui si rivolgono. Solo questo approccio, abbinato a una strategia di distribuzione ispirata dalle stesse logiche, permetterà una diffusione e una condivisione efficace, in modo da ispirare conversazioni, azioni, comportamenti e - in alcuni casi - veri e propri movimenti. Partendo oggi anche dal salotto, non solo dalla piazza.

La filosofia di Facebook si è spostata verso i gruppi, luoghi virtuali dove gli utenti tengono conversazioni con un piglio spesso più “privato” rispetto ai feed. Cosa dobbiamo aspettarci dal punto di vista strategico-commerciale?

Bisogna considerare il concetto di “gruppo” nel modo più ampio possibile: oltre ai Facebook Group, molti strumenti consentono di connetterci con una logica più ristretta, basata su interessi verticali. Gli hashtag su Instagram e su Twitter hanno spesso questa caratteristica, così come - ad esempio - i thread su Reddit, le challenge su TikTok, le community su Patreon o le chat su WhatsApp. Non esiste una soluzione unica per tutti questi contesti, ma il comune denominatore è senza dubbio l’individuazione di quegli interessi e punti di contatto tra le persone in cui il brand può offrire un valore, in cambio dell’attenzione e del coinvolgimento di chi fa parte dei gruppi. Nella fase di studio, è ancora più importante scegliere tecniche e strumenti per comprendere al meglio le community, in modo non invasivo, studiandone gli aspetti culturali più rilevanti per il brand.

Relativamente all’ascesa della comunicazione più intima nella dimensione di gruppo, indicate che è importante “pensare al contenuto come oggetto sociale, che possa facilmente essere passato da una persona all’altra, anche attraverso più canali, con una dinamica di diffusione liquida e non legata alla piattaforma”. Resta però il problema dei limiti da porsi per il rispetto della privacy, oggi sempre più caro agli utenti. In quest’ottica, come cambiano le strategie di targeting e personalizzazione dei messaggi? Si sta forse tornando a una dimensione più “di massa”?

Il targeting è importantissimo nel contesto dei gruppi, perché è lo strumento che consente di costruire messaggi rilevanti in modo specifico per una cerchia di persone. Il lavoro di studio alla base della definizione dei target può essere sviluppato con strumenti di indagine che consentono di definire un profilo demografico, psicografico e etnografico, che non hanno alcun bisogno di superare limiti di privacy, ma che si basano su aggregazioni di dati, per sviluppare insight. Lo sviluppo di un approccio per gruppi va nella direzione opposta della massificazione del messaggio: si propone invece di rivolgersi a nicchie di interesse, con cui condividere contenuti e esperienze. Un esempio in questa direzione è il progetto Tango Squad che abbiamo lanciato per adidas.

Ci sono settori che spiccano per raccogliere maggiore traffico attraverso i dark social rispetto alle modalità di sharing più “pubbliche”? Come si dovrebbe tenere sotto controllo il traffico “dark” e quali sono le strategie che secondo voi risultano vincenti per monetizzarlo?

Un nostro studio recente sviluppato insieme a GlobalWebIndex in US e UK ha evidenziato che il 63% delle persone utilizzano applicazioni di messaggistica privata (come Facebook Messenger o WhatsApp) per condividere contenuti. I contenuti più condivisi sono legati alle industry dell’entertainment, come musica e film (51%), games (48%), abbigliamento (47%), electronics (46%), food and drink (42%) e viaggi (41%). Il traffico “dark” non è tracciabile direttamente perché avviene in ambienti privati, ma è possibile identificare il successo di un contenuto attraverso alcuni indicatori alternativi. Alcuni si basano su osservazione diretta (come il numero di visualizzazioni di un video a un link pubblico, ad esempio), altri si fondano invece su indagini ex post sul target, misurando “a valle” gli effetti delle campagne.

In un passo dell’articolo spiegate che “le persone con un numero di follower più contenuto possono essere percepite come più spontanee e degne di fiducia, specie se si rivolgono a pubblici più ristretti, in contrasto alle personalità social più mainstream, con reach molto ampia”. Dunque, mirare a una nutrita fanbase potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio. Si sta verificando un’inversione di tendenza che potrebbe far nascere la necessità di nuovi modelli di social storytelling? Persino, si è vociferato, che Instagram potrebbe decidere di eliminare dai profili l’indicazione del numero di like e follower, uniformando tutto e tutti. Quali potrebbero essere i risvolti di un cambiamento così estremo? Quale la nuova forma del racconto?

È importante valutare diversi parametri quando si prende in considerazione un potenziale influencer. Il numero di persone raggiunte è importante solamente nel contesto di un alto livello di credibilità e una forte connessione con la community. Un influencer con un numero di follower limitato ma che ha una relazione autentica con i propri follower può, in molti casi, avere un impatto maggiore rispetto ai personaggi mainstream. Non si tratta di un’inversione di tendenza, ma piuttosto di una presa di coscienza sempre maggiore, da parte di persone e brand, riguardo al valore delle relazioni all’interno di una community. Su questo concetto abbiamo costruito la campagna per IKEA “Victims of Fashion Victims”, in cui i partner degli influencer hanno assunto il ruolo di protagonisti. Puntare l’attenzione su loro ha permesso di avvicinare maggiormente le community di riferimento per la campagna ai temi proposti, facendo leva su dinamiche di coppia comuni a molte situazioni familiari. Gli influencer non sono una semplice soluzione per distribuire contenuto, ma piuttosto partner e co-creatori di un messaggio. La potenziale rimozione del conteggio pubblico dei like può essere un passo importante per mettere in secondo piano le cosiddette “vanity metric”, indicatori che non hanno un impatto sulla relazione, ma che possono inquinare la genuinità di alcuni rapporti sui canali social. Il risultato principale non sarebbe creare uniformità, perché il funzionamento delle piattaforme proporrebbe comunque i contenuti più rilevanti in base al profilo dell’utente, ma sarebbe teso a focalizzare la conversazione e lo scambio su contenuti diversi dal puro conteggio numerico delle reazioni.

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Nell’articolo si cita un’esperienza di condivisione sempre più casual, sostenuta dalle Stories, contenuti non permanenti che permettono una tendenza a pubblicare in modo meno strutturato. Quale impatto ha una dimensione del genere sullo storytelling? E come vengono riconsiderati i dark social partendo da questi presupposti?

 

I contenuti non permanenti e più frequenti proposti dalle stories rappresentano la forma di contenuto in crescita più forte, se consideriamo le varie piattaforme dove è possibile incontrarli, tra cui WhatsApp, Facebook, Messenger, Instagram e Snapchat. Il modo di costruire una narrazione continua da parte dei brand è cambiato di conseguenza, per avvicinarsi al modo di esprimersi delle persone. Le stories hanno cambiato lo standard di comunicazione per moltissimi progetti editoriali e stanno espandendo il proprio impatto su vari formati di comunicazione. Le strategie editoriali si sono adattate per considerare un tipo di contenuto più dinamico, aggiornato frequentemente e sempre più mirato in termini tematici. L’interazione consentita agli utenti delle stories è più privata (arriva direttamente all’autore della story, ma non alle altre persone) e consente un rapporto più diretto. Anche in questo senso, l’approccio dei brand si evolve per integrare strategie di dialogo che permettono di raccontare la storia della marca non solo nel contenuto principale, ma anche nello scambio conversazionale attivato dalla story, sotto forma di commento o di interazione con gli sticker.

“Per alcune community può essere una scelta molto importante fare in modo che le persone si incontrino dal vivo”, che la nuova frontiera dei social sia quella di portare più persone fuori piuttosto che trattenere semplicemente le community connesse? Del resto i confini tra online e offline sono più che mai labili, anche tecnologicamente parlando, con l’ascesa di AR, VR, MR e così via. Facebook, infatti, punta a diventare un ecosistema completo, anche per gli acquisti, ad esempio. A giudicare dai trend emersi, questo ecosistema può prescindere la dimensione offline?

I canali social sono uno strumento che permette di connettere community. In alcuni casi, la relazione è più significativa quando ha una componente di incontro dal vivo. In altri casi, la concretizzazione dei messaggi si realizza in un’azione (come l’acquisto) che nasce sui canali social, ma si concretizza al loro esterno. Questo tipo di canali è spesso un punto di contatto che si estende fuori dallo schermo e permette di generare relazioni significative a prescindere dal mezzo in cui si sviluppano, per questo è molto importante considerare le piattaforme come integrate con la dimensione offline e definire strategie che si ispirino a questo principio. Il progetto “Beyond the Body” che abbiamo recentemente sviluppato con Discovery Italia va in questa direzione, estendendo lo storytelling del format TV su diversi canali, tra cui una mostra fotografica, per veicolare un messaggio che prevede una forte partecipazione da parte della community.

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incarichi e gare

Autore: Redazione - 24/04/2024


KFC Italia sceglie KIWI come nuovo partner per la gestione dei social

Si arricchisce di una collaborazione di grande valore il 2024 di KIWI che, a partire da questo mese, è ufficialmente il nuovo partner per la gestione dei canali social di Kentucky Fried Chicken Italia, l’iconica e leggendaria catena di fast food specializzata in pollo fritto. La unit di Uniting Group, scelta da KFC a seguito di una gara, assume l’ownership dei canali Meta (Facebook e Instagram, con l’obiettivo di aprire anche Threads), LinkedIn e TikTok del brand. “La vittoria parte innanzitutto da una ricerca approfondita sul tone of voice. Abbiamo identificato nell’autenticità, nella schiettezza e nella boldness, che da sempre appartengono al brand, degli ottimi punti di partenza per rivolgerci alla GenZ e ai Millennial che sono il pubblico per eccellenza di KFC. Si tratta di un brand unico e amatissimo in tutto il mondo, con un prodotto e degli asset di comunicazione inconfondibili e potenzialità social ancora parzialmente inespresse in Italia”, afferma Andrea Stanich, Direttore Creativo Esecutivo di KIWI, Part of Uniting Group.  La strategia L’attenzione di KIWI sarà molto concentrata sulla crescita e sul coinvolgimento sempre maggiore della community. Anche i lanci, le promo, le aperture, i servizi e le innovazioni tecnologiche saranno comunicate senza perdere di vista l’intrattenimento. Una gestione del community management informale e diretta contribuirà ad alimentare il dialogo quotidiano con gli utenti. “Una parte rilevante del piano social di KFC - prosegue Federica Pasqual, COO di KIWI e Freshhh, Part of Uniting Group - sarà costituita da contenuti video originali agili e veloci, che ci piace definire ‘snackable’. Oggi più che mai è fondamentale affiancare i nostri brand partner intercettando le opportunità di comunicazione e i trend in modo istantaneo; questo, nel day by day, viene facilitato dalla collaborazione con la unit Freshhh, nata inizialmente come spin-off di KIWI, realtà che può contare, dall’ultimo quarter del 2023, su uno spazio produttivo dedicato”.  Dieci anni di pollo fritto in Italia KFC, società del gruppo Yum! Brands, è leader mondiale nel settore dei ristoranti che servono pollo fritto. Nato oltre 70 anni fa e presente in Italia da 10 anni, il brand ha avuto nel nostro Paese una crescita che l’ha portato oggi a 87 ristoranti in 15 regioni, con l’obiettivo di arrivare a 100 locali entro la fine dell’anno. Il gusto unico del pollo fritto di KFC si deve al Colonnello Sanders, fondatore del brand e inventore dell’Original Recipe, la ricetta che contiene un inimitabile mix segreto di erbe e spezie e che ancora oggi viene preparata come una volta nei ristoranti di Kentucky Fried Chicken. “Cercare ogni giorno di costruire una relazione sincera e coinvolgente con il nostro target di riferimento rappresenta uno degli obiettivi principali per i prossimi anni, forse la chiamerei una missione. La GenZ è la nostra audience, vogliamo rivolgerci loro in maniera diretta e convincente - afferma Marzia Farè, Chief Marketing Officer di KFC in Italia -. La scelta dei temi, dei canali, del linguaggio e il tono di voce da adottare diventano pertanto ogni giorno più cruciali; vorremmo esser riconosciuti come contemporanei e autentici e credo che la collaborazione con KIWI possa davvero esser l’occasione giusta per far un passo ulteriore di crescita in questa direzione. Il team KIWI che ci affiancherà è pieno di energia e voglia di fare, abbiamo le premesse migliori per far bene e divertirci”.

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spot

Autore: V Parazzoli - 09/04/2024


Lorenzo Marini Group firma “Il divino quotidiano” di Amica Chips, con una versione più “rispettosa” in tv e una più trasgressiva sui social

È on air la nuova campagna tv Amica Chips, realizzata, dopo aver vinto la relativa gara, da Lorenzo Marini Group, che propone una comunicazione fuori dagli schemi tradizionali con un linguaggio ironico, forte e trasgressivo, destinato a colpire un target giovane non abituato a messaggi “televisivi tradizionali” ma a stilemi narrativi social. Non a caso, dello spot sono state approntate una versione più “provocante” appunto per i social e una più rispettosa di un target tradizionale per la tv, con planning sempre di Media Club. Il film Le protagoniste dello spot sono delle novizie, riprese in fila sotto al chiostro del monastero mentre si apprestano ad entrare in chiesa. In sottofondo si sente la musica dell’“Ave Maria” di Schubert, eseguita con l’organo che accompagna questo ingresso. Le novizie sono in fila verso l’altare e la prima sta per ricevere la comunione dal prete celebrante…In quel momento si sente il suono della croccantezza della patatina, un “crunch” amplificato in perfetto sincrono con il momento in cui la prima novizia ha ricevuto l’ostia. Le altre in fila, al sentire il “crunch”, sorridono divertite e guardano nella direzione da cui proviene il rumore “appetitoso e goloso” della patatina croccante. La Madre Superiora infatti è seduta in sagrestia e, rilassata in un momento di pausa, sta mangiando con gusto le Amica Chips prendendole da un sacchetto che tiene in mano. Pack shot con le patatine Amica Chips e in super appaiono logo e claim di campagna “Il divino quotidiano”. Obiettivi e target L’obiettivo principale della comunicazione è quello di riaffermare il ruolo da protagonista di Amica Chips in comunicazione, da sempre protagonista di campagne forti e distintive con un tono da leader, per aumentare la percezione del suo valore di marca e consolidare la sua brand awareness. La campagna, che vuole sottolineare l’irresistibilità del prodotto ed esaltare la sua croccantezza superiore, sarà sviluppata con un sistema di comunicazione integrato teso a massimizzare l’impatto e la copertura di un target 18–54 anni, con particolare focus per la parte più giovane (18-35) sui canali digital e social. Un target che, in chiave psicografica viene descritto come composto da persone che nella loro vita ricercano ironia, divertimento e simpatia e che hanno un atteggiamento sociale aperto ed evoluto, con una ricerca continua di uscita dagli schemi convenzionali. Il messaggio vuole esprimere, con forte ironia “british”, un contenuto di prodotto legato al momento dello snack e, attraverso una descrizione iperbolica e provocante, esprimere il valore della croccantezza irresistibile della patatina Amica Chips. Si vuole rappresentare, in modo palese e senza fraintendimenti di tipo religioso, una situazione “chiaramente teatrale e da fiction”, tratta da citazioni del mondo ecclesiastico già abbondantemente trattate nella cinematografia mondiale, nelle rappresentazioni teatrali e nella pubblicità. Lo spot 30” verrà programmato sulle reti Mediaset, Cairo e sulle CTV, oltre che sui canali digitali. Il commento «Le patatine sono una categoria mentale compensativa e divertente – spiega Marini a Dailyonline -.. Hanno bisogno di comunicazioni ironiche, giovani e impattanti. L’area semantica della serietà è noiosa, funziona per prodotti assicurativi o farmaceutici. L’area del divertimento e della giocosità si sposa benissimo invece con questo settore». Credits Direzione creativa: Lorenzo Marini Copywriter: Artemisa Sakaj  Planning strategico e direzione generale: Ezio Campellone Account service: Elma Golloshi Casa di produzione: Film Good Executive producer: Pierangelo Spina Regia: Dario Piana Direttore fotografia: Stefano Morcaldo Producer: Sara Aina Musica: “Ave Maria” di Schubert – esecuzione di Alessandro Magri  

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