Autore: Redazione
20/02/2019

PoliMi: AI in Italia, un mercato agli albori ma dalle grandi potenzialità

Lo afferma il PoliMi, sottolineando come la spesa per lo sviluppo di algoritmi di questo genere si ferma nel nostro Paese a 85 milioni di euro

PoliMi: AI in Italia, un mercato agli albori ma dalle grandi potenzialità

Il mercato dell’Artificial Intelligence è agli albori in Italia, con una spesa per lo sviluppo di algoritmi di intelligenza artificiale di appena 85 milioni di euro nel 2018, ma dalle grandi prospettive; al mercato dei progetti vanno affiancati, infatti, gli assistenti vocali intelligenti (appena introdotti eppure già capaci di generare nel 2018 un mercato di 60 milioni di euro, e che in futuro potranno veicolare nuovi servizi e applicazioni) nonché i robot autonomi e collaborativi usati in ambito industriale, il cui mercato valeva nel 2017 già oltre 145 milioni di euro. Sono alcuni risultati della ricerca dell'Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano (PoliMi), presentata ieri mattina al convegno “Artificial Intelligence: on your marks!”. “La ricerca evidenzia un mercato dinamico ma ancora agli albori, caratterizzato da una scarsa consapevolezza da parte delle imprese delle opportunità dell’Artificial Intelligence - affermano Nicola Gatti, Giovanni Miragliotta e Alessandro Piva, Direttori dell’Osservatorio Artificial Intelligence -. Tutti gli attori del mercato devono prendere posto ai blocchi di partenza per una trasformazione di cui non si conoscono ancora appieno le regole e la durata, ma di cui si comprendono già l’enorme portata e le implicazioni”.
Come si muovono le imprese
Attualmente, secondo i dati del PoliMi solo il 12% delle imprese ha portato a regime almeno un progetto di intelligenza artificiale, mentre quasi una su due non si è ancora mossa ma sta per farlo (l’8% è in fase di implementazione, il 31% ha in corso dei progetti pilota, il 21% ha stanziato del budget). Tra chi ha già realizzato un progetto, ben il 68% è soddisfatto dei risultati e le più diffuse sono quelle di Virtual Assistant/Chatbot. Le imprese italiane però hanno una visione ancora confusa delle opportunità dell’Artificial Intelligence: la maggioranza, il 58%, la associa a una tecnologia capace di replicare completamente la mente umana (un concetto che ha poco a che fare con i risvolti pratici della disciplina), il 35% a tecniche come il Machine Learning, il 31% ai soli assistenti virtuali, mentre solo il 14% ha compreso che l’AI mira a replicare specifiche capacità tipiche dell’essere umano (la visione prevalente nella comunità scientifica).
L’impatto dell’AI sul lavoro
Rimangono molti gli interrogativi sull’impatto dell’Artificial Intelligence sul lavoro: se da un lato il 33% delle aziende intervistate dichiara di aver dovuto assumere nuove figure professionali qualificate per realizzare soluzioni di AI, dall’altro il 27% ha dovuto ricollocare personale dopo l’introduzione di una soluzione di AI. L’indagine PoliMi sul bilancio occupazionale in Italia rivela come l’Artificial Intelligence sia da considerarsi più come un’opportunità che una minaccia: 3,6 milioni di posti di lavoro equivalenti potranno essere sostituiti nei prossimi 15 anni dalle macchine, ma nello stesso periodo a causa della riduzione dell’offerta di lavoro (principalmente per questioni demografiche, ipotizzando continuità̀ sui saldi migratori) e l’incremento di domanda si stima un deficit di circa 4,7 milioni di posti di lavoro nel Paese, da cui emerge un disavanzo positivo di circa 1,1 milioni di posti. In questo scenario (peraltro globalmente diffuso) di progressiva riduzione della forza lavoro, l’AI appare non solo come una opportunità, ma come una necessità per mantenere gli attuali livelli di benessere economico e sociale, riducendo i costi assistenziali necessari a mantenere gli standard di vita, creando nuovi lavori a maggiore valore, per avvicinarsi all’1,5% di tasso medio annuo di crescita della produttività̀ che sarebbe necessario, nei prossimi 15 anni, per mantenere invariato l’attuale equilibrio socioeconomico del sistema assistenziale-previdenziale del nostro Paese.
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Alessandro Piva
La consapevolezza delle imprese
Il 58% delle imprese del campione associa l’AI all’emulazione della mente umana, un terzo (35%) a un gruppo di tecniche come, il Machine Learning, solo il 14% al lo sviluppo di sistemi dotati di capacità tipiche dell’essere umano. Poco meno di un terzo (32%) associa in modo esplicito l’Artificial Intelligence ad uno dei suoi principali campi di applicazione, dimostrando una conoscenza circoscritta del fenomeno. Tra questi, la maggioranza identifica con AI il concetto di assistenti virtuali (31%), poi la capacità di formulazione (12%) e comprensione (9%) del testo, le auto a guida autonoma (9%) e l’estrazione di informazioni dalle immagini (8%). Infine, solo il 7% ha colto che l’AI è un bersaglio mobile, ovvero come evolva il concetto di “intelligenza” ogniqualvolta vengano conseguiti dei successi dalla comunità̀ scientifica in un ambito specifico. Eppure, il 48% delle imprese pensa di conoscere in modo adeguato l’Artificial Intelligence, il 47% in modo superficiale, e solo il 5% dichiara un livello di conoscenza nullo. Le modalità̀ con cui sono entrate a conoscenza delle possibilità̀ dell’AI sono infatti le più̀ disparate: passaparola con colleghi (32%), testimonianze di altre aziende (29%), networking (28%), richieste dal mercato di riferimento (22%) e risalto mediatico (21%). “Tra le imprese italiane prevale perlopiù̀ una visione dell’Artificial Intelligence ancora influenzata dai media – dice Alessandro Piva, Direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence - dove prevale una pioggia di stimoli tipico delle fasi di hype che caratterizzano i nuovi trend innovativi, e non una visione informata e consapevole delle potenzialità e del percorso che trasferisce la ricerca in applicazioni”.
Le soluzioni in Italia
L’Artificial Intelligence è una sfida in cui in Italia ancora pochi si sono già cimentati: solo il 12% delle aziende intervistate ha un progetto a regime, l’8% è in fase di implementazione, mentre il 31% ha in corso dei progetti pilota e il 21% ha invece stanziato del budget per concretizzare un’idea progettuale. Il 19% ha un interesse futuro, non ancora concreto, e il 9% non ha alcun interesse. A seconda del livello di diffusione e d’introduzione prevista raggiunti, è possibile identificare come “emergenti” - con buona diffusione attuale ed ulteriore adozione futura prevista - le soluzioni di Language Processing, Demand Forecast, Predictive Maintenance, Image Processing, Fraud Detection, Recommendation e infine Virtual Assistant/Chatbot, che spicca in entrambe le dimensioni. Sono “mature” - buona diffusione, ma con un’adozione prevista inferiore - le soluzioni di Intelligent RPA e Pattern Discovery. Sono ancora “incognite” le soluzioni di Churn Prediction, Dynamic Pricing, Autonomous Robot, Intelligent Object, Content Design e Autonomous Vehicle. Tra chi ha già in corso progetti di AI, il 50% delle aziende ha come obiettivo prefissato il miglioramento dell’efficienza dei processi, ovvero la riduzione dei costi, il 37% l’aumento dei ricavi ed il 13% lo sviluppo di soluzioni per un supporto decisionale. Solo il 4% dei progetti non ha raggiunto gli obiettivi, mentre il 68% dichiara che le iniziative hanno raggiunto l’esito sperato e, di queste, la metà lo definisce “di grande successo” o “disruptive”. Il rimanente 28% non è invece ancora in grado di dare un giudizio.“Questi risultati suggeriscono che l’AI non sia solamente una bolla, ma un’opportunità reale per le aziende - rileva Alessandro Piva -. Intraprendere un percorso di adozione di soluzioni di intelligenza artificiale, però, è un processo complesso: nelle fasi iniziali, la realizzazione del business case è l’attività più critica, per difficoltà nel valutare i requisiti e il rapporto costi-benefici. Mentre nelle fasi finali è impegnativa la necessaria attività di change management, seguita dall’attività di release & deployment del progetto”.
Le startup
Le startup operanti nel mercato dell’intelligenza artificiale hanno raccolto 6 miliardi di dollari dal 2013 ad oggi, con un finanziamento medio in crescita nell’ultimo anno da 8,8 a 13,1 milioni di dollari. L’Osservatorio ha individuato 572 startup innovative a livello internazionale che abbiano ricevuto finanziamenti negli ultimi tre anni, suddivise in tre macro-categorie per tipologia di offerta: Enabling Technology (1 miliardo di dollari), System (1,5 miliardi di dollari), e Application (3,5 miliardi di dollari). Tra tutti i comparti sono quelle operanti nell’Healthcare ad aver raccolto la maggior quota di finanziamenti, oltre i 400 milioni di dollari (33%), seguite dal Finance con 315 milioni di dollari (25%). Dal punto di vista delle soluzioni offerte, dominano quelle di Intelligent Data Processing con oltre 800 milioni di dollari raccolti (65%). Sono però le startup che sviluppano soluzioni fisiche, come nel caso degli Autonomous Vehicle, a prendersi la scena in termini di finanziamento medio, con un valore di 36 milioni di dollari.