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GreatPixel: il design può togliere autonomia all’utente

Autore:

Giovanni Pola


Per il CEO Giovanni Pola: «Sarebbe importante trovare un equilibrio tra i bisogni delle aziende e la necessità di autonomia di scelta del consumatore». La struttura quest’anno aggiungerà al porfolio della sua divisione tech, SmartPixel, strumenti di a/b testing, site personalization e un software che ottimizza il feed di dati sull’adv, e consoliderà le skills sulla content production

L’economia si sta prodigando in un allungo che sembra non avere fine. L’elevazione della rete come lubrificante del commercio ha avuto lo stesso effetto di un cronometro che indica un record ora superabile. Quindi, ignorando i battiti ormai accelerati, le aziende provano a buttarsi un po’ più in la, come possono, per non perdere l’occasione. La frenesia però rischia di mettere da parte l’umanità, le ripercussioni che le azioni hanno sulle persone – parola che condivide il riferimento con un’altra, “consumatori”. Il confronto con le aziende, con lo shopping e con il commercio digitale avviene tra gli occhi e lo schermo, in una mediazione che avviene per mezzo del design. Esistono impostazioni di pagina che lavorano sul funzionamento del cervello per portare utenti a compiere azioni senza davvero volerlo, solo perché ne sono attratti inconsciamente. Quanto dunque possono spingersi queste pratiche? E gli utenti sono in grado di accorgersi del loro effetto sul pensiero? DailyNet ne ha discusso con Giovanni Pola, CEO di GreatPixel, società attenta ad un utilizzo onesto del design che lasci al consumatore l’autonomia di scelta.  Cosa si intende per etica del design? È il tema su cui si fonda il World Usability Day, una delle principali conferenze sul web design che punta a diffondere le buone pratiche di progettazione, quelle che mantengono l’essere umano al centro del progetto. Esistono diverse tecniche di design che non sono etiche e riescono a cambiare la percezione della realtà attraverso i mezzi digitali. La presenza, la disposizione e le tecniche usate per gestire l’esperienza formativa-informativa cambiano la percezione degli utenti riguardo alla realtà. Se si inserisce una parola su un motore di ricerca, si da per scontato di ricevere risultati che ne siano affini. C’è però chi non è in grado di riconoscere risultati SEM da quelli SEO, e spesso i primi sono considerati una risposta diretta alla ricerca. Ma non sempre lo sono. Il fatto che un utente su tre on sia in grado di distinguere i contenuti paid da quelli organici è prettamente una questione di design. Come vengono sfruttati i processi cognitivi? Da un lato ci sono i dark pattern, tecniche molto complesse, meccanismi che hanno come obiettivo quello di aumentare il numero di decisioni inconsapevoli da parte degli utenti, lavorando sul funzionamento del cervello umano. Dall’altra ci sono tecniche di neuromarketing come i like di Facebook che sono piccoli reward che la piattaforma fornisce all’utente, portandolo così a spendere più tempo sul servizio, aumentando al contempo i ricavi pubblicitari. La pervasività del digitale, il sempre più largo time budget che gli utenti gli riservano e l’affidabilità crescente che la gente ha nei confronti del web non ha precedenti. Va indagato dunque qual è il confine tra la giusta informazione e quella che introduce sui “percorsi oscuri”. L’AI può essere d’aiuto, ma può anche sedersi su pregiudizi non etici, se formata su dati particolari o parziali. Quali sono i limiti oltre i quali il design non deve spingersi? Non esiste ancora una deontologia del designer. A livello legale non sempre i servizi hanno base in Italia e non esiste un percorso di denuncia ad hoc che possa essere seguito da un utente. Quanto dev’essere evidente un’informazione per essere percepita? Solo i designer lo sanno. Bisognerebbe generare coscienza tra professionisti ed aziende e provare a mediare tra i loro bisogni e la necessità di autonomia, di scelta dei singoli utenti. Il design persuasivo (diverso da quello ingannevole) può portare a ritorni economici più alti del 10%, o addirittura del 50% in alcune occasioni, solamente lavorando sui trigger decisionali. I dark pattern possono però arrivare ben oltre, facendo schiacciare bottoni senza nemmeno che l’utente sappia cosa avviene. Qual è invece il rapporto tra design e privacy? È un rapporto molto profondo. Tante tecniche di design mirano a coinvolgere i clienti a lasciare i dati. Ad esempio, ci sono meccanismi attraverso cui i portali web chiedono pochi dati all’inizio di un’attività prolungata, ma poi sollecitano ad aggiungerne altri durante il percorso innescando il “bias di conferma”, secondo cui gli utenti sono spinti a continuare per  esaudire le richieste del servizio. Intanto, le informazioni sullo storico dell’utente si intrecciano con quelle raccolte durante la permanenza sulla pagina web, innescando modifiche personalizzate che rendono il layout più seducente agli occhi dell’utente specifico. Ad oggi, un designer non può progettare un sito senza pensare a come può modificarsi in seguito ai comportamenti di chi lo visita. Come si comporta invece l’utente? L’utente ha aspettative sempre più alte dai servizi digitali e per soddisfarle deve consegnare sempre più dati. È un prezzo che paga volentieri perché i benefici che ne ottiene sono evidenti. Il tema centrale è la capacità degli utenti di prendere coscienza di queste dinamiche, ovvero la loro “pilotabilità”. Quanto sono in grado di sviluppare sistemi di difesa o di interpretazione delle logiche delle piattaforme che utilizzano? Facciamo un bilancio sulle attività di GreatPixel? Nel 2018 abbiamo rispettato le previsioni di crescita, superando il milione di euro di fatturato. Abbiamo fatto nuove assunzioni, ma rimaniamo una boutique di design e tecnologia che lavora con grandi clienti. Il nostro operato è stato premiato. Per il 2019 invece puntiamo a rafforzare i nostri servizi core seguendo due direttrici: tecnologia e contenuti, che abbiamo iniziato a produrre con le nostre mani. Stiamo infatti già gestendo attività di smart content, quindi produzione contenuti e analisi risultati, diffusi via SMS, social e notifiche. Per quanto riguarda la tecnologia, il portfolio di SmartPixel arriverà a contenere 5 software. Ai chatbot e al motore di raccomandazione aggiungeremo strumenti di a/b testing, site personalization e un software capace di ottimizzare il feed di dati sull’adv. Tutte le soluzioni sfrutteranno l’artificial intelligence.

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incarichi e gare

Autore: Redazione - 17/04/2024


VEKA Italia affida il rebranding a Gruppo Icat: dalla strategia alle declinazioni above e below the line

Semplicità e memorabilità: queste le due parole chiave attorno alle quali Gruppo Icat ha pensato bene di costruire il percorso di rebranding per VEKA Italia, leader del mercato mondiale nel settore della produzione di profili per serramenti in PVC, un gruppo che a livello internazionale opera attraverso le sue 46 sedi distribuite in ben quattro continenti. Quello dei serramenti rappresenta, infatti, un mercato particolarmente complesso e ricco di competitor, contesto all’interno del quale fare la differenza con una comunicazione in grado di arrivare al pubblico in maniera chiara e diretta rappresenta una tappa fondamentale. Il DNA razionale di VEKA, il suo know-how, la sua affidabilità costituiscono d’altro canto il potenziale attraverso cui l’azienda può fornire - ed essere essa stessa - la risposta perfetta ai bisogni del consumatore italiano, in un background valoriale che le permette di essere riconosciuta in tutto il mondo per la sua qualità, sicurezza e fiducia. Un potenziale scandito dalla stretta collaborazione con Icat, a cui già da tempo è stata affidata la comunicazione del marchio, in maniera sempre più ampia, coordinata e completa. La comunicazione A partire dal 2021, Gruppo Icat ha ideato per questo cliente campagne di comunicazione integrate - che si sono aggiudicate premi di settore tra cui due importanti riconoscimenti Mediastars - basate sul concept “La Migliore Vista sull’Italia”, elevando la comunicazione di marca e ponendo l’accento sugli aspetti emotivi e tecnici dei serramenti del network di esperti artigiani italiani che utilizzano i profili firmati VEKA, un brand che è la sintesi della tecnologia tedesca e dell’artigianalità Made in Italy. All‘interno del piano di comunicazione l’idea è stata poi declinata nella campagna multisoggetto OOH e DOOH, in cui gli infissi si presentano come la cornice perfetta e inaspettata per mostrare le viste più iconiche del nostro Paese. Attraverso questa strategia comunicativa, VEKA ha iniziato a rivolgersi in maniera diretta e trasparente al consumatore finale, per mostrare senza mezzi termini la qualità e la longevità dei propri prodotti; oggi la multinazionale è pronta per compiere un ulteriore e importante passo, rendendo ogni Premium Partner, oltre che un garante della costante qualità con cui VEKA si mostra alle persone, un vero brand ambassador dal punto di vista valoriale e professionale. Si tratta infatti di un marchio di fabbrica che, sin dalle sue origini, ha saputo collocare e diffondere nel mondo del design la propria value proposition, imperniata prima di tutto su Made in Italy, artigianalità e tailor made, gli stessi valori condivisi da tutti i partner VEKA. I commenti “Essere scelti e riconfermati dai clienti per guidare la loro comunicazione a 360° è per noi sempre un onore, ancor prima che un onere - spiega Claudio Capovilla, Presidente Gruppo Icat -, soprattutto nelle fasi salienti dell’evoluzione di un marchio che sono le più delicate e importanti sotto molteplici punti di vista. Per questo abbiamo pensato di partire dall’essenza di questo brand, indiscusso protagonista nel mondo dei serramenti, e del suo bagaglio valoriale, per sfrondare l’approccio comunicativo rendendolo essenziale e diretto. Siamo partiti da qui per elaborare il nuovo logo, rinnovare l’imprinting grafico e conferire freschezza agli stilemi narrativi, che andremo poi ad adattare a tutti gli strumenti di comunicazione online e offline”. Graziano Meneghetti, Direttore Commerciale VEKA Italia, aggiunge: “Il momento di svolta che stiamo vivendo all’interno del mondo VEKA testimonia il fervore che ha sempre caratterizzato il brand sin dalle sue origini e che fa parte del nostro DNA, perché la nostra è un’azienda in continua evoluzione, capace non soltanto di plasmarsi in base alle mutevoli esigenze del mercato ma anche di diventare un vero e proprio leader del cambiamento. Una capacità di innovazione che trova espressione in una fitta rete di partner altamente professionali con cui condividere i valori che ci identificano. Un network d’eccellenza che, da oggi, diventa ‘Veka Premium Partner’ su tutto il territorio nazionale. Stiamo progettando un futuro ricco di novità, di cui questa rappresenta soltanto l’inizio”.  

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spot

Autore: V Parazzoli - 09/04/2024


Lorenzo Marini Group firma “Il divino quotidiano” di Amica Chips, con una versione più “rispettosa” in tv e una più trasgressiva sui social

È on air la nuova campagna tv Amica Chips, realizzata, dopo aver vinto la relativa gara, da Lorenzo Marini Group, che propone una comunicazione fuori dagli schemi tradizionali con un linguaggio ironico, forte e trasgressivo, destinato a colpire un target giovane non abituato a messaggi “televisivi tradizionali” ma a stilemi narrativi social. Non a caso, dello spot sono state approntate una versione più “provocante” appunto per i social e una più rispettosa di un target tradizionale per la tv, con planning sempre di Media Club. Il film Le protagoniste dello spot sono delle novizie, riprese in fila sotto al chiostro del monastero mentre si apprestano ad entrare in chiesa. In sottofondo si sente la musica dell’“Ave Maria” di Schubert, eseguita con l’organo che accompagna questo ingresso. Le novizie sono in fila verso l’altare e la prima sta per ricevere la comunione dal prete celebrante…In quel momento si sente il suono della croccantezza della patatina, un “crunch” amplificato in perfetto sincrono con il momento in cui la prima novizia ha ricevuto l’ostia. Le altre in fila, al sentire il “crunch”, sorridono divertite e guardano nella direzione da cui proviene il rumore “appetitoso e goloso” della patatina croccante. La Madre Superiora infatti è seduta in sagrestia e, rilassata in un momento di pausa, sta mangiando con gusto le Amica Chips prendendole da un sacchetto che tiene in mano. Pack shot con le patatine Amica Chips e in super appaiono logo e claim di campagna “Il divino quotidiano”. Obiettivi e target L’obiettivo principale della comunicazione è quello di riaffermare il ruolo da protagonista di Amica Chips in comunicazione, da sempre protagonista di campagne forti e distintive con un tono da leader, per aumentare la percezione del suo valore di marca e consolidare la sua brand awareness. La campagna, che vuole sottolineare l’irresistibilità del prodotto ed esaltare la sua croccantezza superiore, sarà sviluppata con un sistema di comunicazione integrato teso a massimizzare l’impatto e la copertura di un target 18–54 anni, con particolare focus per la parte più giovane (18-35) sui canali digital e social. Un target che, in chiave psicografica viene descritto come composto da persone che nella loro vita ricercano ironia, divertimento e simpatia e che hanno un atteggiamento sociale aperto ed evoluto, con una ricerca continua di uscita dagli schemi convenzionali. Il messaggio vuole esprimere, con forte ironia “british”, un contenuto di prodotto legato al momento dello snack e, attraverso una descrizione iperbolica e provocante, esprimere il valore della croccantezza irresistibile della patatina Amica Chips. Si vuole rappresentare, in modo palese e senza fraintendimenti di tipo religioso, una situazione “chiaramente teatrale e da fiction”, tratta da citazioni del mondo ecclesiastico già abbondantemente trattate nella cinematografia mondiale, nelle rappresentazioni teatrali e nella pubblicità. Lo spot 30” verrà programmato sulle reti Mediaset, Cairo e sulle CTV, oltre che sui canali digitali. Il commento «Le patatine sono una categoria mentale compensativa e divertente – spiega Marini a Dailyonline -.. Hanno bisogno di comunicazioni ironiche, giovani e impattanti. L’area semantica della serietà è noiosa, funziona per prodotti assicurativi o farmaceutici. L’area del divertimento e della giocosità si sposa benissimo invece con questo settore». Credits Direzione creativa: Lorenzo Marini Copywriter: Artemisa Sakaj  Planning strategico e direzione generale: Ezio Campellone Account service: Elma Golloshi Casa di produzione: Film Good Executive producer: Pierangelo Spina Regia: Dario Piana Direttore fotografia: Stefano Morcaldo Producer: Sara Aina Musica: “Ave Maria” di Schubert – esecuzione di Alessandro Magri  

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