Autore: Redazione
25/05/2018

IAB Interact, Randall Rothenberg: «Oggi siamo nell’era dei Direct Brand»

Il Chief Executive Officer di IAB ha spiegato in cosa consiste questa nuova brand economy

IAB Interact, Randall Rothenberg: «Oggi siamo nell’era dei Direct Brand»

«Nel 1992, in Usa, il 96% degli acquisti avveniva nei punti vendita fisici. Il resto, invece, veniva spartito tra le voci relative alla vendita porta a porta, all’acquisto tramite catalogo, alle televendite e così via». In un ambiente del genere, dominare la supply chain era determinante per il successo di un brand. «Coloro che lo hanno capito per primi, e che ne hanno preso il predominio, sono riusciti a rimanere i riferimenti del mercato per oltre 60 anni», dice Randall Rothenberg, Ceo di IAB, sul palco di IAB Iteract 2018. Gli esempi sono Kellogg’s, Lipton Tea, Gillette Razors, Del Monte, Palmolive Soap: «Aziende che nel 1923 erano al top dei rispettivi settori, posizione mantenuta fino al 1983».
La “rivoluzione del 2010”
La musica è cambiata «attorno al 2010. Nell’era digitale, dominare la supply chain non vuol più dire dominare il mercato. Siamo nell’era dei Direct Brands, quelli che si rivolgono direttamente all’utente saltando gli intermediari», ha spiegato Rothenberg. Nella precedente epoca della brand economy indiretta, invece, il brand aveva un percorso prestabilito per raggiungere l’utente: doveva passare per l’agenzia, che poi si rivolgeva agli editori, e gli utenti colpiti dal messaggio pubblicitario erano obbligati ad andare al negozio ad acquistare il prodotto. La crescita dell’economia guidata dall’innovazione ha spostato il gioco in uno scenario differente, dove i DTC più piccoli e i brand boutique hanno ridotto il gap. «Dal 2016, la quota di mercato americana dei rasoi da uomo di Gillette è crollata al 54% dal 70% del 2010. Dollar Shave Club e Harry’s, combinati, hanno invece aumentato il loro controllo sul segmento dal 7,2% del 2015 al 12,2%», ha raccontato. Lo stesso trend si può notare in tanti altri mercati, dai materassi alle scarpe, dal food alla grocery.
Le tre ultime miglia
Ogni brand, ora, deve raggiungere tre target, «la casa, la testa e il cuore del consumatore. L’acquisto dev’essere comodo, ma il brand deve anche essere ricordato e avere un riverbero emotivo». La cloud è lo strumento che mette assieme i tre elementi, mettendo a disposizione la possibilità di «relazioni dirette con i consumatori. Inoltre, permette il passaggio da retail a e-tail», spiega. Ma non basta: «Grazie alla cloud, è possibile anche affittare la supply chain. Una opzione fondamentale per arrivare alla rivoluzione del direct brand in quanto permette la spedizione a domicilio anche di pochi o di un solo flacone di dentifricio. Senza che l’azienda produttrice ci rimetta». D’altra parte, «piuttosto di mantenere risorse e capacità all’interno dell’azienda, le company possono usufruire di specifiche funzioni della supply chain “as a service” a titolo transitorio. La sempre più alta specializzazione dei service provider creano economie di scala e scopo, incrementando il potenziale attrattivo delle opportunità in outsourcing», ha aggiunto, riportando una frase di McKinsey. La cloud non è solo un supporto, ormai è un vero e proprio abilitatore: «Due terzi dei consumatori si aspettano una connessione diretta con il brand, e il 67% dei consumatori hanno utilizzato il canale social di una company per un qualsiasi servizio».
Nuovi formati per nuovi utenti
Il proliferare di canali digitali, come l’ecommerce, i social, le app e così via, hanno dato in mano ai brand la possibilità di diventare dei veri e propri retail omnichannel, e alcuni brand, o meglio le «rich enterprise», hanno scelto il dato come fulcro del loro business, come strumento per raggiungere «casa, cuore e testa» dei consumatori. I social, ad esempio, sono un forte supporto per il dialogo con il consumatore, e ci sono aziende, come Glossier, che devono il 90% delle revenue ai fan di Instagram. «Il 74% dei consumatori identifica il passaparola come elemento chiave nell’influenzare una decisione di acquisto».
Il consiglio: “siate diretti”
Secondo il ceo di IAB, la strategia di un brand ai giorni nostri deve partire«dall’essere diretto, pensare diretto, il vantaggio competitivo sta nel volume e nella ricchezza delle relazioni con gli utenti. Le uniche metriche che contano, poi, sono quelle legate alle performance. La brand safety non è opzionale perché ciò che interessa ai marchi sono i dati. E senza fiducia nessuno avrà intenzione di consegnarglieli». Ma importante è anche lo storytelling, per tendere un filo legato al cuore dei consumatori. «Go omni, get hybrid. Non si può vendere solo attraverso negozi fisici. Sebbene siano importanti, è altrettanto importante avere una buona strategia online».