Autore: Redazione
20/06/2018

Anche l’AI ha bisogno di creatività. Quantcast introduce una nuova figura professionale: nel team, un ingegnere creativo

All’interno delle equipe dell’azienda dedicate all’innovazione ha già un ruolo importante. Ma allo stato attuale, però, “non entrerà nella coppia creativa”, ha spiegato il chief technology officer delgruppo, Peter Day. Con l’intelligenza artificiale, i creativi si libereranno delle attività automatizzabili per potersi concentrare sulla vera “scintilla” da cui nascono le campagne

Anche l’AI ha bisogno di creatività. Quantcast introduce una nuova figura professionale: nel team, un ingegnere creativo

dai nostri inviati a CANNES, Anna Maria Ciardullo e Francesco Lattanzio

Qui a Cannes c’è solo una parola più ricorrente di “rosée”: “AI”. Il dialogo iniziato ieri non accenna a fermarsi, e la “eiai” - come la pronunciano all’estero - entra, esplicitamente o implicitamente, un po’ in tutti i discorsi. I punti di lunedì, legati ai brief e alla relazione tra creatività e tecnologia, non hanno esaurito il quadro completo, e puntualmente, ieri, è arrivato un nuovo elemento a stimolare le riflessioni. L’artificial intelligence ha un forte potenziale di crescita, oltre ad un’applicazione già largamente diffusa, e deve avere figure professionali di riferimento. Lo stesso deve succedere sul territorio creativo. Indipendentemente dal campo di applicazione, “l’ingegnere creativo” può rappresentare l’anello di congiunzione tra i due mondi. Sono persone che “non soltanto devono avere competenze tecniche, penso ai progettisti di sistemi o agli sviluppatori, ma devono saper ragionare fuori dagli schemi. Il mio compito non è solo trovare professionisti in grado di programmare e di passare la loro giornata scrivendo codici. Ci vuole l’estro creativo per vedere oltre i modelli matematici”, ha spiegato Peter Day, Cto di Quantcast, durante il suo speech nel corso del Festival.

Non farà parte delle agenzie creative… almeno per ora

La produzione di un contenuto pubblicitario è classicamente assegnata alla coppia creativa, composta da copywriter e art director - designati all’ideazione di un concetto e al suo sviluppo, il primo sul lato contenutistico, il secondo sul lato visuale -, ma l’introduzione del 'solvertising' e il dilagante sviluppo tecnologico dei formati creativi potrebbero suggerire alle agenzie l’allargamento della coppia a un trio. Una figura esperta nello sviluppo tecnologico potrebbe immaginare declinazioni supplementari di un concetto, anche sul versante strettamente creativo. «Abbiamo già visto agenzie creative pensare in questi termini, ma gli ingegneri costano tanto e chiedono molte garanzie», spiega a DailyMedia il Cto di Quantcast a margine dell’evento. L’ingegnere creativo, invece, «trova posto all’interno della nostra azienda, in particolare nei team dedicati all’innovazione. Questi sono composti da figure trasversali che lavorano insieme per portare a un livello superiore la nostra offerta. Come risultato, sempre più agenzie creative ci stanno chiedendo di stipulare delle partnership», continua. I creativi, però, stanno aumentando la propria cultura tecnologica, a partire dalla disposizione di «insight che possono stimolare idee, misurare risultati, riportare pattern comportamentali della gente e rendere più efficace l’execution», fino a un «approccio più evoluto alla creatività stessa, basato su un tipo di ingegneria che appare più tecnico e che porta a contenuti più personalizzati».

Automatizzare l’automatizzabile

I timori legati all’automatizzazione dei lavori, alla produzione di robot umanoidi e a un’intelligenza capace di distruggere il mondo stanno lasciando il campo a un forte entusiasmo. «Siamo al picco dell’hype. Si sta iniziando a capire che l’AI serve per dare nuovi poteri alle persone attraverso strumenti che le supportano», spiega il Cto di Quantcast. Una presa di coscienza che proviene da una deduzione molto semplice: «non siamo più noi a doverci adattare alla tecnologia, ma è lei che si adatta a noi». Quindi, l’automatizzazione non è di per sé un male, è una logica evoluzione dello svolgimento delle operazioni elementari. «Attenzione, però: l’automazione non ha niente a che fare con il risparmio sui costi, serve a elevare il livello. A potenziare i creativi. È l’elemento che può fornire i giusti suggerimenti per far scoccare la scintilla della creatività - spiega Day», che rimane, però, un elemento molto umano. E non tecnologizzabile. L’artificial intelligence replica, in scala molto minore, le dinamiche dell’emisfero razionale del cervello e opera, quindi, su un insieme di dati, «compiendo scelte razionali». Al di fuori di queste c’è la creazione di idee completamente nuove, «un’attività che non è tecnologizzabile». In un futuro decennale o ventennale, poi, «avremo a disposizione strumenti che ora non possiamo nemmeno immaginare. Come, per esempio, una riproduzione virtuale dell’emisfero irrazionale del cervello, che proverà a ingannare quella razionale creando immagini e cercando di produrre un effetto al suo interno. Oppure uno strumento che prenda la foto di un paesaggio naturale in estate e la trasformi nella sua versione invernale, innevata. L’AI automatizzerà l’automatizzabile, aiuterà i creativi a trovare la giusta ispirazione e sarà un co-creator», conclude il Cto di Quantcast.