Autore: Redazione
01/03/2017

Cosa sono e perché usare i modelli di attribuzione cross-channel

Il nuovo episodio della rubrica Paolommatic indaga il tema dei modelli di attribuzione, fondamentale per comprendere il ruolo e il valore giocato dalle diverse azioni compiute dal consumatore

Cosa sono e perché usare i modelli di attribuzione cross-channel

Nuovo appuntamento con la rubrica di Paolo Serra per DailyNet dedicata al programmatic: Paolommatic.

In questa puntata Serra fa il punto sui modelli di attribuzione cross-channel.

Per leggere l’articolo precedente nel quale Serra fa chiarezza sul Look-Alike modeling clicca qui.

Paolo Serra

Appassionato di nuove sfide per far crescere le imprese, con l’obiettivo di contribuire ad aumentarne i ricavi. Si dedica al search engine marketing dal 1999, lavorando con le principali agenzie internazionali. In seguito, allarga le conoscenze al mondo del Programmatic Advertising, diventandone uno dei maggiori esperti italiani, tanto da aver aperto il blog Programmatic RTB, ed è fondatore di Kahuna, la prima agenzia specializzata nel programmatic.

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Paolo Serra

Modelli di attribuzione cross-channel

Nel moderno e frammentato panorama mediatico odierno, il percorso del consumatore nel processo di acquisto si è evoluto in un tortuoso viaggio tra diversi punti di contatto online e offline, un fatto che rende ancora più difficile per i marketer capire il vero ritorno sugli investimenti. Questo spostamento ha causato la necessità per il marketing manager di passare a strumenti di misurazione più precisi e basati sui dati, al fine di prendere decisioni di marketing veramente consapevoli.

I modelli di attribuzione

Con modelli di attribuzione cross-channel s’intende il processo di identificazione di un insieme di azioni compiute dal consumatore, definiti “eventi” (non solo internet, ma anche tv, radio etc.) cui assegnare un valore, che conducono all’acquisto o all’intenzione d’acquisto. Tale processo ha inizio con la conoscenza del cliente. I brand hanno bisogno di capire chi e quanti sono i loro clienti, e in che modo il valore di questi clienti cambia nel tempo.

Ma questi modelli, specialmente quelli che prendono in esame le conversioni individuali, risultano spesso deludenti. Innanzitutto, sono incompleti. Non prendono in considerazione l’intero processo di acquisto del consumatore. Possono ignorare aspetti quali le interazioni online su diversi dispositivi e l’influenza di elementi offline come televisione, passaparola e precedenti interazioni del cliente con l’azienda. Diventa persino difficile stabilire se sono state prese in esame le interazioni che più hanno influenzato la decisione di acquisto.

Clic o non clic

Inoltre, i dati tendono a essere raccolti ipotizzando due soli scenari: “clic” o “non clic”. In questo modo è difficile cogliere la natura dell’interazione, la qualità dei contenuti o la profondità del coinvolgimento del cliente. E poiché molti dei risultati vengono correlati senza una precisa relazione, essi non offrono alcuna garanzia che a qualsiasi aumento del budget di marketing corrisponda un aumento dei profitti. Oppure non si è in grado di scoprire se tutti i canali aiutino le vendite o se c’è ne sono alcuni che sono inutili.

Oggi grazie alle DMP più avanzate, collegate a sistemi di business intelligence e analytics questo problema è stato risolto, si possono fare campagne in tv, che proseguono sul web e stabilire se poi l’acquisto fatto nell’ecommerce o persino nel negozio fisico è stato concluso grazie alla interazione avvenuta sulla tv, su Facebook o da qualche altra parte.