Programmatic e AI possono essere efficaci strumenti di branding. Ma bisogna concentrare le campagne sulle persone, non sui device. Il customer journey è un elemento fondamentale del predictive marketing ma anche per la scelta dei modelli di attribuzione
Il programmatic advertising è considerato generalmente un meccanismo pubblicitario capace di potenziare le performance dei brand. In realtà le sue applicazioni più vaste e possono toccare anche obiettivi, ad esempio, di branding. La seconda puntata del ciclo di appuntamenti “Programmatic Breakfast” organizzato da Rocket Fuel e Kahuna a Milano è stata dedicata proprio all’utilizzo della tecnologia per supportare il marchio.
Daniele Costenaro, Senior Sales Manager di Rocket FuelIl programmatic marketing si sta evolvendo sempre più nella direzione del predictive marketing. «Netflix ha investito grosse risorse economiche per la produzione di House of Cards senza nemmeno creare una puntata pilota per valutare se la serie fosse davvero apprezzata dagli spettatori. Come ha potuto permettersi questo? Semplice, gli algoritmi di cui è in possesso la piattaforma hanno una capacità predittiva così accurata che ha convinto il management a fidarsi. Ed è stato un successo. Lo stesso, grazie agli smartphone e alle tecnologie di artificial intelligence, si può fare anche sul campo pubblicitario attraverso esperienze sempre più personalizzate», spiega Daniele Costenaro, Senior Sales Manager di Rocket Fuel. Il passaggio da programmatic marketing a predictive marketing è un vero cambio di paradigma, permette di capire cosa piace al singolo utente, quando mostrare un prodotto e su quale a dispositivo. «Rocket Fuel utilizza AI e Moment Scoring, che assegna punteggi alle attività fatte dall’utente per definire la sua predisposizione, per capire l’inclinazione di ogni user a un determinato messaggio pubblicitario. Gli utenti sono diventati esigenti anche verso le ads», continua.
L’82% dei marketer europei utilizzano gli insight di risposta diretta per migliorare le campagne di brand, e l’86% sostiene che le campagne di brand dovrebbero essere collegate ai dati di direct response. Il corretto utilizzo dei dati spinge a una strategia diversa da quella utilizzata oggi: «Su 10 marketer, 6 pianificano su dispositivi più che sugli utenti. Perdono di vista la singola visione del cliente e quindi il customer journey. Lo stesso succede in 4 campagne di comunicazione su 5», continua Costenaro. E il customer journey è composto in buona parte dal branding. «L’AI permette di lavorare su persone invece che sui dispositivi, di fare focus sui momenti, di accompagnare gli utenti nel loro customer journey invece di legarsi al marketing funnel, e di passare dai dati alle decisioni. Fare a mano tutte queste operazioni richiederebbe risorse e sforzi insostenibili. Basti pensare che Rocket Fuel riesce a linkare 902 milioni di persone a 3,2 miliardi di device in tutto il mondo», aggiunge. Insomma «brand e direct response non sono elementi separati».
Paolo Serra, founder di Kahuna«In origine il programmatic si usava per campagne di direct response, ma la tecnologia si è evoluta. Adesso è possibile calcolare con buona precisione il ROI delle campagne di branding e la tecnologia permette di trattare spazi pubblicitari di molte tipologie. Per riuscire a coinvolgere consumatori servono messaggi pertinenti, ma questa è una condizione necessaria e insufficiente. Bisogna anche proporre contenuti specifici per la persona e per il mezzo che sta utilizzando; le campagne generiche hanno perso efficacia», spiega Paolo Serra, founder di Kahuna. L’AI, in questo meccanismo, è uno strumento a servizio delle DMP. Sono queste a controllare l’andamento delle campagne, a prendere il controllo dei dati, a ottimizzare in tempo reale la distribuzione dei dati alle piattaforme di marketing e a permettere il contatto con i clienti.
A supporto delle campagne digitali ci sono diversi mezzi utili al branding. Tra questi ci sono le creatività dinamiche, «si propongono come una sorta di cornici che si riempiono diversamente e automaticamente a seconda dell’utente che entra in contatto con l’annuncio. Il contenuto si rifà alle caratteristiche del singolo utente», afferma Serra. «Il programmatic è l’unico mezzo che permette di seguire l’utente in tutti i suoi canali e in tutti i suyoi percorsi. Insomma nel suo customer journey. Non è detto che lo stesso touchpoint sia sempre adatto per lo stesso utente. L’AI diventa così un supporto perché evita la necessità di dover decidere a priori dove collocare le ads, ottimizzando la loro allocazione a seconda dell’utente». «Seguire il customer journey è molto utile anche a definire i modelli di attribuzione. Con l’AI e lo studio di dati e analytics è possibile addirittura adottarne uno solo, un modo per capire e tagliare gli sprechi di budget», conclude Serra.
A margine della conferenza, Dailynet ha incontrato Paolo Serra: «Dalla fondazione, che risale al gennaio di quest’anno, Kahuna sta andando molto bene. Il mercato è aperto e disponibile. La cultura del programmatic è ancora molto basilare e la sua diffusione all’interno delle aziende è concentrata in una figura professionale. Con questo ciclo di eventi ci proponiamo di introdurre il programmatic alle aziende insieme a Rocket Fuel. Ci saranno altri due incontri sull’allocazione del budget e su AI e Machine Learning, e un nuovo ciclo di eventi sarà organizzato dopo l’estate».