Autore: Redazione
13/01/2017

Firenze capitale del Fashion e del Tech grazie a LuisaViaRoma

Nella giornata di ieri sono stati molti gli spunti per riflettere sulla commistione tra questi due mondi. Il racconto attraverso gli interventi dei protagonisti

Firenze capitale del Fashion e del Tech grazie a LuisaViaRoma

di Anna Maria Ciardullo

Si è tenuta ieri a Firenze la terza edizione del Fashion & Technology Summit organizzato da LUISAVIAROMA in collaborazione con IAB Italia e Netcomm. Un evento molto importante che unisce due settori strategici per il mercato italiano e internazionale: il mondo della moda e quello del digitale, oggi più che mai connessi e convergenti.  Anche il momento non è casuale, poiché è in corso la novantunesima edizione di Pitti Immagine Uomo, l’appuntamento più importante a livello internazionale per le collezioni di abbigliamento e accessori uomo e per il lancio dei nuovi progetti sulla moda maschile.

Come brand e marketer si stanno approcciando al futuro del retail

Uno degli argomenti principali del dibattito, dunque, è stato senza dubbio quello del retail e in particolar modo  del commercio elettronico, emersi con l’obiettivo di delineare le sfide e l’andamento del settore. Sul tema sono intervenuti Nereo Sciutto, co-founder di  Webranking, azienda specializzata in SEO, SEM, web analytics e search marketing, e Sauro Mariani, Head of Marketing and Retail del brand Antony Morato. Ciò che appare chiaro già dai primi momenti della discussione  è quanto la segmentazione dei target abbia cambiato le logiche del gioco, per esempio nell’email marketing e in moltissimi altri strumenti di comunicazione necessari ai rivenditori. Per coinvolgere il consumatore serve una strategia mirata che non può più basarsi su profilazioni di pubblico troppo ampie, ma piuttosto su microsegmenti connessi a necessità, abitudini e interessi e altre variabili che contraddistinguono un destinatario o un gruppo di destinatari. Segmentazioni che permettono, dunque, di profilare il singolo, ma allo stesso tempo lo accomunano a utenti diversi, appartenenti ad altre fasce come età o provenienza geografica, con le quali condivide interessi e abitudini. La qualità del messaggio è la cosa più importante, deve avere il potere di interessare il singolo ma anche unire una moltitudine. Inoltre la stessa persona può ricevere innumerevoli tipi di messaggi e inserzioni diverse ma in realtà la maggior parte delle campagne di prodotto in circolazione tendono ad essere ancora statiche o vengono create per parlare a segmenti non targettizzati correttamente. «Per ottenere una conversione bisogna creare inserzioni altamente rilevanti e quindi affidandarsi ad aziende che siano altamente specializzate - commenta Sciutto -. Webranking, infatti, spende almeno il 10% del tempo dedicandolo alla formazione e partecipando attivamente agli eventi di settore in tutto il mondo poiché anche se il nostro mercato di riferimento è l’Italia, seguire le evoluzioni e le linee guida del mercato globale è parte integrante di una strategia di successo».

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Sauro Mariani, Head of Marketing and Retail di Antony Morato, pone, invece, l’accento più che sui processi, che anche se con logiche nuove restano sostanzialmente gli stessi, agli approcci che al contrario devono cambiare continuamente per rimanere al passo. «Per essere competitivi bisogna crescere velocemente, noi siamo nati solo dieci anni fa e abbiamo da sempre investito molto nei media digitali, il valore del brand deve crescere insieme alle tendenze».  Per questo Antony Morato considera il sito web come un ponte tra brand, prodotto e consumatori e curare la propria presenza online, continua Mariani, «è una opportunità che nessuna azienda può tralasciare». Si devono trasmettere messaggi pertinenti, essere credibili, avere una buona reputazione sui social e nelle altre piattaforme. Inoltre, strategie digital adeguate e strutturate permettono un risparmio economico notevole. «I dati sono strumenti fondamentali, per tutti noi, da chi si occupa del sito fino al commesso nel negozio che deve conoscere il profilo del cliente per aiutarlo a trovare ciò che cerca. Non si vendono più solo prodotti ma vere e proprie strutture che comprendono tutte queste informazioni e che permettono di innalzare il livello del nostro business. La catena della vendita deve essere composta da passaggi integrati che oggi non possono più essere scomposti. Il tema del contenuto è il più delicato, ciò su cui bisogna puntare migliorandolo per competere», conclude il relatore. Un tema mette d’accordo entrambi gli speaker: bisogna trovare persone in grado di lavorare in questo scenario mutevole, per colmare il divario tra brand tradizionali e digital oriented. Per questo formazione ed educazione sono fondamentali per chi lavora in questo settore, anche a livello universitario, È, infatti, ancora molto difficile trovare digital specialist nel nostro Paese: esiste, ad esempio, un solo master in data strategy ed è nato solo l’anno scorso.

Misurazioni efficaci: il segreto per ottenere engagement e salvare il budget. Parla Mediamath

LUISAVIAROMA è un brand molto attento alle nuove tendenze del digital e le sue partnership strategiche gli hanno permesso di affermarsi come una delle piattaforme di riferimento per i fashion addicted. Una tecnologia che ha fatto la differenza per le strategie dell’azienda è senza dubbio il programmatic, che ha permesso a LUISAVIAROMA di ottimizzare i processi di segmentazione dell’audience, trovando cluster di riferimento fino a quel momento sconosciuti. Una delle recenti partnership è quella con MediaMath, azienda che  aiuta i brand a utilizzare i dati ottenuti per migliorare l’esperienza del cliente online e offline e raggiungere l’audience desiderata. Dave Reed, Managing Director EMEA di MediaMath ha partecipato all’evento organizzato al Teatro della Compagnia di Firenze, in qualità di speaker, portando la sua testimonianza per chiarire come la tecnologia programmatica possa apportare benefici a chi si occupa di retail online.

Le sfide legate all’attribution

Cercare di capire perché un utente acquista, perché le vendite sono minori di quanto ci si aspetta, qual è il numero di touchpoint con i clienti e così via è un’attività estremamente complessa. Abbiamo circa 350 occasioni e momenti al giorno per parlare con il nostro destinatario dal mobile al desktop, durante eventi, in negozio, via email e molto altro ancora. «La sfida è capire cosa avvicina i clienti a questi touchpoint», commenta Reed. «La risposta che abbiamo oggi a questa necessità è ancora scadente».  Le strategie digitali non possono basarsi solo sull’esposizione del marchio, bisogna fare di più, migliorare lo storytelling digitale e imparare a gestire le informazioni per trasformarle in risultati. «Sta diventando più difficile ma anche più emozionante lavorare nel mondo del digitale perché ci permette di affrontare nuove sfide e parlare con persone che altrimenti non potremmo raggiungere». Attribuzione è senza dubbio la parola del 2017. Tutti i partner media cercano di accaparrarsi il merito di una conversione, quindi cercano di mettere in evidenza sempre più pubblicità, ma spesso questo porta ad una saturazione di annunci che non aumenta affatto la qualità della performance, anzi molto più spesso ha l’effetto contrario, ossia quello di allontanare il consumatore confuso e annoiato da troppi input. Per esempio, una ricerca ha provato che riducendo il numero di inserzioni ma ingrandendo il formato per avere maggiore impatto, si possono ottenere migliori livelli di attenzione. «Si deve puntare alla qualità, non alla quantità».Se consideriamo il consumo di media - 3 ore circa al giorno fino a 10 anni fa, 12 ore oggi attivamente o passivamente - si capisce che le opportunità di colpire i consumatori sono innumerevoli, ma spesso sprecate. Molte aziende sono fossilizzati su metodi datati, basati sulle campagne standard, sulla stagionalità, su specifici eventi. Oggi si deve ragionare in termini di “always on”, si deve partire dal presupposto che il cliente è sempre lì e anche il marketing deve essere sempre on come il cliente, avere una visone dello stesso su tutti i canali, osservare il suo comportamento.

Impatto del marketing programmatico

«Per MediaMath ciò che è programmatico è anche trasparente nonostante l’automazione. La trasparenza completa è il valore che consente di avere conversazioni con i clienti su larga scala, con un accesso a quantità di informazioni  su tutti i media e la possibilità, volendo, di far vedere una pubblicità anche 400 volte al secondo». I dati sono la base di tutto, si possono conoscere dettagli che permettono alle aziende di scegliere il messaggio più rilevante per ogni singolo utente e di intercettarlo in segmenti anche molto piccoli, ma molto strategici a livello di targeting. Per migliorare l’esperienza dell’utente, dunque, bisogna mettersi nei suoi panni. In un mondo in cui potenzialmente si possono inviare 400 pubblicità al secondo, è necessario targettizzarle e passare da una logica che privilegia la portata ad una che tiene maggiormente in considerazione la soglia di attenzione, alla cosiddetta economia dell’attenzione. Nessuno vuole vedere migliaia di annunci irrilevanti, s’interesserà solo a quelli che non lo infastidiscono ma al contrario gli forniscono un servizio in più che lui già cerca o che potrebbe interessargli.

Visione del cliente

Il programmatic ha il vantaggio di avere una visione unificata del cliente. «Una delle cose più interessanti del mondo digitale è la possibilità di utilizzare dati di terze parti, i marchi possono prendere ciò che le aziende sanno del cliente e provare a capire chi è legando tutto insieme, creando un profilo e inserendolo in dei gruppi di clienti con lo stesso tipo di interessi, personalizzando per loro lo storytelling e per guidare in modo naturale il loro processo decisionale».

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David Reed

Strategie trasversali

«Tutti devono comprendere che l’utente oggi è sempre online e su più dispositivi. MediaMath assicura che le campagne stabiliscano una connessione con il cliente misurando l’engagement attraverso i vari touchpoint, l’empatia è tutto in questo contesto perché crea call to action molto forti. Il mondo digitale si deve estendere anche offline. Addirittura si potrebbe quasi definire l’offline come il nuovo online, i rivenditori sono molto interessati a come utilizzare ad esempio i dati di geolicalizzazione, essendo ormai tutto mobile non c’è più una distinzione netta tra negozio fisico e non. Ciò che sarà sempre più importante è coltivare l’esperienza, noi stiamo già vivendo una sorta di realtà virtuale semplicemente con il nostro smartphone in mano. Sono due mondi vicini e convergenti», continua Reed.

Privacy

Nel 2019 entrerà in vigore una nuova norma sulla privacy a protezione del consumatore necessaria a non permettere ad aziende poco trasparenti di utilizzare determinati dati sensibili a fini commerciali senza le dovute autorizzazioni (dati personali, indirizzo IP ecc). Le buone prassi di marketing sono necessarie, per questo esistono sistemi come i cookies che richiedono un consenso, ed è giusto poter fare opt in e opt out per ogni tipo di informazione personale da condividere. L’idea di un internet libero supportato dal marketing sopravviverà e gli strumenti per personalizzarlo come si preferisce ci sono, come l’ad blocking. Per questo le pubblicità devono essere rilevanti e pertinenti per essere accettate e scongiurarne l’utilizzo da parte degli utenti.

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Tendenze e numeri del Web Advertising: l’intervento di Nielsen

Quindi i temi emersi sul palco hanno riguardato il mondo dei dati. Non poteva mancare, dunque, tra gli speaker qualcuno che facesse il punto anche su questo argomento, o meglio sui numeri del settore. In merito è intervenuta Cristina Papini, Lifestyle Director di Nielsen. Buone notizie per il digitale, il 2015 e 2016 hanno mostrato una crescita che si prevede continui ininterrotta. Nelle prossime settimane saranno disponibili i dati ufficiali. Siamo lontani dai livelli di Europa e Stati Uniti ma è interessante vedere come il digitale, con un aumento della quota di mercato di 1,2 punti, è oggi il secondo mezzo per importanza. Siamo nell’epoca dello “schermo” e lo dimostra il fatto che il video ha una rilevanza importante con una crescita di oltre nove punti che si attesta al 17,9%. è, infatti, il mezzo dove si sta spendendo di più, un quarto degli investimenti in advrertising va al video e nella moda si registra il livello più alto, con 6 punti in più rispetto agli altri segmenti. La moda, al contrario, sta crescendo più lentamente sui social ma con una flessione non significativamente bassa. La maggior parte delle aziende preferisce spendere in video digitali su piattaforme come YouTube e molto meno in televisione, tra queste anche LUISAVIAROMA, ma è solo una questione di strategia. Anche se il video è il mezzo più affine al fashion, il settore deve colmare il divario sui social network e sul mobile, dove appare carente allo stesso modo, per poter crescere ancora di più nei prossimi anni. Riguardo ai social media, Facebook è sempre centrale nel settore delle inserzioni e per la moda ha un impatto ancora più importante con Instagram per la sua componente legata al visual e alle immagini. Grande assente del settore moda è Linkedin. Il fashion comunque è il segmento che sta spingendo maggiormente sul digitale e le previsioni sono di una crescita a due cifre, molto superiore rispetto al resto del mercato.

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Non bisogna trascurare il mobile

La moda sta utilizzando meno il mobile rispetto agli altri settori del mercato e anche le previsioni per il 2017 sono più conservative rispetto agli altri segmenti. Le donne utilizzano il mobile più degli uomini, 52 ore contro 38 in media, ed essendo le donne coloro che navigano maggiormente i website di moda, sembra strano che questi ultimi non stiano sfruttando il potere del mobile. Ad esempio, nel settore della moda ci sono meno app rispetto al mercato generale. Per fare un confronto, nel settore dei servizi finanziari, in Italia, le banca hanno 7,2 app a testa in media, quindi hanno capito l’importanza di essere effettivamente “nelle mani” del consumatore. Nel nostro Paese ci sono 2,6 milioni di utenti che navigano siti web di brand di lusso, compresi quelli di ecommerce e quindi il sito web rappresenta la piattaforma strategica più forte del settore ma per essere competitivi si deve pensare anche in logica di convergenza tra desktop e mobile, con un occhio di riguardo a quest’ultimo.

Perché è così importante la parola “attribution”

Il contesto in cui operano i retailer online evolve rapidamente come lo stesso spazio digitale, per questo la customer journey è particolarmente difficile da misurare. La nascita del programmatic ha sicuramente reso i dati ancor più complessi e, dunque, anche più efficacemente utilizzabili. Al Fashion and Technology Summit di LUISAVIAROMA, il tema dell’attribution è emerso come uno dei più importanti, trattato in maniera più approfondita durante una tavola rotonda composta da: Francesco Sommariva, Measurement Manager di Facebook che ha moderato il dibattito tra Giovanni Lorenzoni, CEO di BitBang, Carlos Duez Escobedo, Regional Manager di Ingenious Technologies e Sara Buluggiu, Italy Country Manager and Sales Director Southern Europe & MENA di Rubicon Project. Gran parte dei marketer e degli advertiser, ha spiegato Lorenzoni, sono consapevoli della complessità dei dati e dunque delle loro infinite possibilità di utilizzo ma continuano a usare modelli di misurazione datati come il cost per lead, ad esempio, per la misurazione della campagna, metodi che non si adattano più alla suddetta complessità che ci circonda e che, tra l’altro, è anche in continuo aumento. Ecco perché è necessario oggi parlare di attribuzione: c’è un urgente necessità di sfruttare i dati a disposizione e di farlo in maniera professionale.

La cucina della nonna

Carlos Duez Escobedo cerca di spiegare l’attribuzione usando una similitudine legata alla cucina della nonna: «Siamo molti a cena, alcuni comprano ingredienti e li portano e la nonna cucina tutto bene con il giusto equilibrio grazie alla sua esperienza ai fornelli, ma se gli ingredienti non ci fossero non si potrebbe cucinare nulla. Chi ha portato gli ingredienti, dunque, ha parte del merito come chi li ha utilizzati e dunque entrambi hanno avuto un ruolo per il raggiungimento del risultato. Questo significa appunto “attribuire” loro la giusta parte del merito». Tutte le parti di un processo devono essere prese in considerazione. Attribuzione è una buzzword, ne parlano tutti, ma non necessariamente riguarda tutti gli inserzionisti, ma quel che è certo, tutti ambiscono a quella parte di merito.  «Il cambiamento spaventa molto, ma passo dopo passo tutti saranno in grado di dar vita a soluzioni adatte a gestire l’attuale complessità».

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Perché si utilizzano ancora molto i modelli last click?

Sara Buluggiu non ha dubbi: bisogna essere pronti a investire sull’analisi dei dati e pensare cosa fare con essi in ottica più ampia, dal momento che una metrica come il last click sarebbe a dir poco riduttiva. “La metà dei soldi spesi in pubblicità è sprecata, ma non so quale metà diceva John Wanamaker, pionere della pubblicità”. Oggi però, la tecnologia permette di indirizzare il proprio budget verso processi concreti che assicurano grandi probabilità di successo. «Non tutti i brand però utilizzano davvero strategicamente i dati a propria dispozione. L’editore deve essere consapevole di avere a disposizione uno strumento potente come i dati. Devono cercare di prendere in considerazione gli insight quando investono i loro soldi».

Come si aiutano gli editori a migliorare i propri modelli di attribuzione?

«Per aiutare gli editori a migliorare le proprie strategie in termini di attribution, la prima cosa è garantire la qualità dell’inventario, infatti, abbiamo regolamentazioni e parametri molto stringenti ma nel programmatc environment la qualità è necessaria, si concludono accordi per singola impression ed è fondamentale tener conto di come nasce e chi la richiede. Raggiungere questo obiettivo non è facile, per vendere le impression dobbiamo delineare e chiarire le informazioni che abbiamo a disposizione in maniera impeccabile».

La misurazione delle performance

Importante è anche misurare la performance, il lavoro è cambiato molto, ha perso il suo carattere empirico in favore di una mentalità statistica, ma è necessario un processo di post valutazione attraverso l’attribuzione. «C’è un solo problema, la creatività è  ancora molto lontana da questo contesto - continua Buluggiu -, ma al contempo necessaria». La sfida è questa dunque. Gli ingredienti dell’attribuzione sono i dati da inserire e il modello che si ottiene. Anche se complessa però, l’attribuzione va affrontata direttamente, attuata, attraverso la generazione di informazione a partire dagli investimenti di marketing, dalla loro suddivisione, non solo creando modelli di attribuzione (che sia first touch, last touch, basato su decisioni umane come quelllo rules based o su dati statistici ecc.) ma anche, ovviamente, attuarli. Cosa che può sembrare scontata ma non lo è affatto. Non si può trovare la formula magica, si tratta di analizzare i dati, studiarli, effettuare test fino a trovare un modello adatto ai propri obiettivi, in quanto un modello ideale per un business non lo è necessariamente per un altro anche se simile.

Consumer Engagement: Storytelling, NativeADV, See Now, Buy Now

«Dal punto di vista dell’editore ciò che è importante è curare il contenuto, parola di Biagio Stasi», Chief Digital Officer di Hearst Magazine Italia, protagonista insieme a Francesca Romagnoli, Head of Operations di Ligatus e Luca Sepe, ceo di Shaa di una tavola rotonda dello IAB Digital4Fashion. In particolare l’appuntamento dedicato alla sinergia tra moda e digitale ha voluto approfondire i temi legati all’evoluzione dei modelli di comunicazione che le piattaforme digitali stanno apportando nel mondo della moda: dai trend degli investimenti pubblicitari nel settore del fashion allo storytelling e native adv; dalla video content strategy al social engagement; dall’influential marketing al boom dell’ecommerce.

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Per Hearst il punto di partenza è sempre il cliente «noi lavoriamo sempre user first con l’obiettivo di coinvolgerlo nel migliore dei modi», continua Stasi. Ciò che gli utenti cercano è semplicemente è un contenuto interessante. Il mobile ha un ruolo cruciale essendo oggi al centro delle abitudini di navigazione di tutti, quindi i contenuti devono essere premium e avere la capacità di richiamare l’attenzione dell’utente ma devono anche essere serviti quando il destinatario ne ha bisogno ed essere adatti al mezzo di fruizione che stanno utilizzando. Parlando in riferimento al mondo della moda ci vuole molto tempo per creare engagement, perché la moda e il look sono anche un fatto intimo, altamente personale. Bisogna rimanere quanto più possibile fedeli alla realtà e cercare i migliori touchpoint. Ciò che dovremmo chiederci, dunque, è quali possibilità abbiamo lavorando con i dati che abbiamo a disposizione. Il contenuto è passato dall’inserirsi in logiche temporali dilatate a logiche del “momento”, un approccio di content creation user first deve giocare sull’immediatezza e deve essere condivisibile, divertire, intrattenere, interessare, ispirare e così via.

Francesca Romagnoli di Ligatus ha spiegato che i clienti percepiscono il marchio se ben contestualizzato, se trasmette messaggi rilevanti e che non lo disturbino o distraggano durante le sue attività. In questo giunge in aiuto il native advertising, che ha proprio lo stesso obiettivo. «Il nostro formato in feed si integra perfettamente nel contenuto, e il formato bottom line, posto alla fine del contenuto in fondo alla pagina non implica un disturbo alla lettura ma semmai aggiunge un contenuto ulteriore che completa la navigazione». è importante trovare partner che abbiano grande esperienza nel mondo native per costruire network molto solidi con le aziende del settore, trovare il pubblico giusto, comprendere il valore di un network premium e di una audience profilata affinché le inserzioni ottengano le migliori performance. Anche la trasparenza è fondamentale non ci devono essere sorprese su dove le inserzioni andranno a finire. Esistono diverse tecniche di targettizzazione nate negli ultimi anni, ad esempio quello semantico che permette di scegliere le parole chiave più idonee a valorizzare il prodotto. La coerenza di un’inserzione dipende anche dall’approccio tecnico che deve saper offrire il contenuto giusto al device utilizzato non solo all’utente che lo sta utilizzando.

Luca Sepe, a.d. di SHAA ha spiegato nel corso del suo intervento - che ha visto anche la proiezione di un video con alcune significative case history relative al mondo del Fashion - quanto i video interattivi siano lo strumento più adatto per realizzare nuove e più originali forme di comunicazione e di digital storytelling. «Ormai gli utenti grazie all’ausilio di un second screen come il tablet e lo smartphone hanno imparato a interagire con i video per “ingaggiarsi” con il brand ed i prodotti, dal canto loro i video interattivi hanno una capacità di persuasione e di orientamento all’acquisto superiore ad ogni altro mezzo di comunicazione. E difatti registrano tassi di performance sette volte superiori rispetto ad un normale banner advertising. Questo accade perché i consumatori sono ormai definitivamente a proprio agio nell’utilizzo della tecnologia digitale e quindi chiedono molto di più e vogliono interagire e comunicare senza sosta». La sfida che propone Sepe: portare i consumatori a convertire già al primo click.

Desktop vs. Mobile Marketing: quali sono le strategie migliori?

Il rapporto tra mobile e desktop è il tema discusso durante la tavola rotonda tra Michele Marzan, Chief Strategy Officer di MainAd, Filippo Alhadeff, Head of Product Specialist di Mediamond, Adriana Ripandelli, Chief Operating Officer and Head of Digital di Mindshare e Mattia Zara, Commercial Director di Ve Interactive Italia. Gli utenti passano da un dispositivo desktop ad uno mobile circa 27 volte in un’ora, quindi è necessario essere presenti su entrambi gli schermi. Bisogna piuttosto considerare gli orari più caldi per le due destinazioni e l’attegiamento dell’utente in base al device che sta utilizzando. Nell’ecommerce della moda il mobile è lo strumento più utilizzato per acquistare, nonostante il settore moda investa ancora inspiegabilmente poco molto su questo mezzo.

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Come spiega Marzan, bisogna dunque cercare di tracciare la spesa media idonea a essere ben posizionati su entrambi i mezzi sfruttando le possibilità più ghiotte offerte soprattutto nell’advertising, canale indispensabile alla moda. Ci sono degli ostacoli nell’implementazione delle tecnologie, certo, è molto difficile, ad esempio, tracciare un utente perché il procedimento cambia in base a quale device l’utente preferisce o semplicemente usa di più ma anche semplicemente in base al sistema operativo sul suo smartphone. Inoltre anche l’utente deve avere la possibilità di esprimersi, in questo contesto è molto utile l’interattività nei video.

Capire il proprio utente vuol dire anche lasciargli uno spazio dove dire la sua. Filippo Alhadeff di Mediamond ha dunque confermato come non abbia più alcun senso parlare ancora di desktop vs mobile. Non c’è più una netta distinzione ma si tratta di una convergenza per cui non ha senso usare il termine “versus”.

Adriana Ripandelli ha parlato di verticalità in termini di congiunzione tra desktop e mobile, «il nostro obiettivo è sapere dove si trova il cliente e in questo punto del suo percorso capire se ha senso agire in modo più verticale o orizzontale. Ci sono innumerevoli touchpoint possibili in una sola giornata ma il mobile ormai è presente in ognuno di essi». Nel cross device esistono due metodi diversi di tracking e targeting, uno determistico e uno più probabilistico, ma oggi la sfida è combinare i due per ottenere informazioni valide con la massima percentuale possibile, andare in verticale significa usare la creatività, ad esempio con pubblicità dinamiche e interattive ma anche individuando con la massima precisione il punto del funnel dove si trova il consumatore e utilizzando i formati adatti al device di riferimento.

Mattia Zara, infine, ha elencato le nuove tendenze per aiutare i brand a svilupparsi sul mercato in particolare quelli della moda che puntano molto all’ecommerce. Per costruire una strategia secondo lui la chiave dell’advertising per il 2017 è il video. Il mezzo che consente di creare un esperienza utente completa ed efficace, anche edonistica con nuove tattiche per rafforzare i brand.