Autore: Redazione
30/06/2017

AssoCom indaga sul futuro dei social; previsioni investimenti adv a +1,6% nel 2017, +2,5% nel 2018

Il digital è il media più forte, nel 2018 rappresenterà quasi il 27% del mercato; si è tenuto ieri “Comunicare Domani”, l’incontro annuale dell’associazione presieduta da Emanuele Nenna

AssoCom indaga sul futuro dei social; previsioni investimenti adv a +1,6% nel 2017, +2,5% nel 2018

Social media e digital sono stati al centro delle riflessioni proposte dal convegno Comunicare Domani, l’incontro annuale di AssoCom dedicato alla industry della comunicazione che si è tenuto ieri a Milano. «Abbiamo chiamato questo evento “Post-social” -  spiega il presidente dell’associazione, Emanuele Nenna, cofounder & ceo di The Big Now - perché viviamo in un mondo social e vogliamo capire come questo aspetto si evolverà e influenzerà il nostro modo di vivere nel futuro». Il prossimo appuntamento dell’associazione è invece dedicato al tema cruciale delle gare. «Presenteremo una ricerca da cui emerge che il 38% delle gare finiscono senza esito, 4 su 10. Tutto lavoro che le agenzie affrontano facendo investimenti senza avere, poi, alcun riscontro né, tantomeno, un rimborso». L’incontro, che si terrà l’11 luglio, «vuole avere un approccio educational e non normativo». Intanto AssoCom continua a lavorare per l’integrazione di nuovi associati, attualmente oltre 90, con l’obiettivo di raggiungere i 100 membri entro la fine dell’anno.
Le previsioni di AssoCom sugli investimenti pubblicitari
AssoCom ha anche illustrato le previsioni sugli andamenti del mercato degli investimenti pubblicitari elaborate dal Centro Studi coordinato da Guido Surci, chief strategy & innovation officer di Havas Media Group. I dati evidenziano in primo luogo una crescita costante, seppur lenta. Nel 2017 il mercato dovrebbe chiudere con un incremento dell’1,6%, con valori di poco inferiori ai 7,5 miliardi, mentre nel 2018 ci si attende un trend positivo del 2,5% e ricavi per oltre 7,6 miliardi. Il digital è il media destinato a crescere maggiormente, con un +7,6% nel 2017 e un +8,2% nel 2018. Alla fine dell’anno prossimo, la quota complessiva detenuta nel mercato sarà del 26,6% con investimenti a quota due miliardi. Se la tv continua a dominare il mercato con una quota di oltre il 50%, gli investimenti crescono di poco: nel 2017 +1,4, nel 2018 +1,7%, a fronte di performance analoghe per radio (+0,8%; +1,5%); cinema (+0,6%; +1,5%); affissione (+1,5%, +2,6%). La carta stampata si attesta su cali intorno al 6% sia nel 2017, sia nel 2018. Già oggi il 6,4% degli italiani non guarda la tv, e l’80% utilizza a pieno ritmo il mobile. Per quest’ultimo ci si aspetta un incremento del 18,8% nel 2018, e il superamento della carta stampata. Il video cresce del 20,5% e l’anno prossimo intercetterà quasi un terzo dell’investimento nel digitale. Il programmatic cresce del 30%. «Il mobile - spiega Surci - è ancora difficile da pianificare, il mercato sta ancora imparando. La crisi della carta stampata prescinde dai contenuti che, come è stato evidenziato nel convegno di Torino della scorsa settimana sono sempre interessanti. Nel 2018 assisteremo a una accelerazione del mercato». Surci segnala l’impegno in innovazione profuso dal settore dell’outdoor, «un’innovazione strutturale per un settore che investe in impianti digitali. Gli andamenti della comunicazione possono anche essere imputati alla lenta crescita economica del paese, ma non dobbiamo sottovalutare la capacità che ha l’innovazione nel catalizzare nuove risorse e di rendere la comunicazione più performante, come nel caso del mobile. Se come settore riusciremo a tenere il focus sull’innovazione sono convinto che potremo contare su una spinta più decisa nei prossimi anni».
La società “social” e le sue implicazioni per la comunicazione
Derrick De Kerckhove, direttore scientifico Media Duemila e dell’Osservatorio Tuttimedia ha parlato del ruolo esercitato dai social nella soddisfazione di alcuni bisogni, come stare in contatto, essere sempre aggiornati sulle ultime notizie, trovare contenuti divertenti, condividere foto, video e informazioni, fare networking, incontrare nuove persone. Facebook è un “giornale” virtuale fatto dalla community dei nostri contatti, ma snaturato dagli algoritmi che soppiantano la casualità. «C’è chi parla di narcisismo, ma si scoprono anche cose interessanti. Per esempio, si sta sui social per bisogno di appartenenza, e per la paura di perdersi qualcosa (FOMO)». Il “virtuale” è comunque uno spazio che occupiamo, al pari di quello fisico e di quello mentale, e per certi versi comporta il trasferimento alle macchine delle facoltà proprie dell’uomo, come le decisioni. Luca Sofri, direttore de Il Post, ha parlato di fake news e informazione: «Manca nel sistema informativo quella autorevolezza che sia in grado di contrastare efficacemente le notizie false che girano in rete», poiché purtroppo spesso queste vengono fatte girare proprio dai brand giornalistici, che non operano sufficiente controllo. I casi sono tanti e anche precedenti al web. «Ciononostante, il pubblico ha sete di contenuti di qualità, ed è disposto anche a pagarli se questo, per esempio, significa meno pubblicità. I lettori non ne possono più di display e video». Una visione più approfondita dei social media la offre il direttore marketing di Facebook, Sylvain Querné. «Facebook nasce dalla volontà di creare un network tra studenti e poi è diventato un’azienda di comunicazione». Recentemente gli utenti sono arrivati a 2 miliardi: «Il focus del futuro è costruire una community, Facebook e WhatsApp hanno ancora molto potenziale da sviluppare e pensiamo a tempistiche di cinque-dieci anni». Uno dei pilastri degli sviluppi nei tempi a venire è la cosiddetta “expressive communication”: «Vengono pubblicate 3 trilioni di foto l’anno. Nel 2013 la parola “selfie” è entrata nel vocabolario di Oxford, nel 2015 ci è entrata la parola emoji. Ci mettiamo solo 13 millisecondi per identificare un’immagine, e la mente umana è 60mila volte più veloce a processare le immagini rispetto alle parole». Anche all'incontro di AssoCom a relazione è centrale per comunicare i brand sui social. «Le aziende stanno sui social come le persone: parlano continuamente di sé e poi chiedono di comprare» spiega Davide Boscacci, consigliere di AssoCom e group creative director di Leo Burnett. «L’80% degli acquisti è  governato dalle emozioni. In un mondo di commodity io privilegio il brand che entrato in empatia con me. E l’80% del business è fatto dal 20% del target, quello più fedele». La relazione è al centro della comunicazione soprattutto social, tanto più che l’uomo gestisce quotidianamente relazioni «ma quando diventiamo comunicatori ce ne dimentichiamo». Boscacci delinea cinque buone regole per capire e interpretare i social media: essere al posto giusto. Il contesto conta. Dov’è il nostro target?; avere un linguaggio comune; saper ascoltare; proporre argomenti interessanti; accettare il confronto. Maurizio Melis, divulgatore scientifico e conduttore radiofonico, ha parlato delle smart city come social media e terreno fertile per la nascita di community. «Ma che tipo di community? Temi intorno cui potrebbero nascere: energia, car sharing e ridesharing per far incontrare persone, elettrodomestici e cucina, mobilità. Un nodo cruciale è: come far ricadere i benefici di comportamenti positivi sulle persone che li praticano? A Como c’è una app che regala buoni sconto a chi va a piedi». Due i concetti chiave del vivere i social: «La ricerca di conferme a ciò di cui siamo già convinti e l’ecochamber: se ho delle convinzioni mi circondo di persone che le confermano. Questa polarizzazione è un problema e i siti di debunking aumentano questo problema». Gli algoritmi stanno decidendo cosa dobbiamo sapere e quando. «Entro dieci anni, le aziende dovranno convincere loro, non le persone» dice Luca Della Dora, marketing e innovation Director di We Are Social. «In questo momento a comunicazione può ancora contare su leve più tradizionali, e gli algoritmi cercano di imitare le persone. Contemporaneamente, però, le persone cercano di adattarsi a ciò che ci impongono gli algoritmi. Esempio ne è Google: se non sei nella prima pagina non esisti. Questo stravolgerà le competenze di chi lavora in comunicazione, mentre i brand devono cominciare a collaborare con i player del mercato digitale». Vincenzo Piscopo, head of branded content di Ciaopeople Media Group, ha parlato di branded content e ha portato ad esempio la campagna Carrefour con i The Jackal. Il coinvolgimento delle community è fondamentale per la creazione di branded content di qualità, ed efficace. Per creare un contatto con gli utenti il modello del feedback è uno dei più efficaci. Per la campagna Carrefour è stato lanciato un contest per suggerire il titolo del prossimo “film marketta”. Oltre 5mila utenti hanno risposto all’appello. Il convegno ha affrontato anche il tema degli influencer, nel giorno in cui la Camera dei Deputati ha approvato un ordine del giorno che ipotizza paletti alle attività pubblicitarie presunte occulte di blogger e affini. Per molti gli influencer sono solo paid media, dice Giorgio Giordani, presidente Spencer & Lewis: «In realtà sono content creator, single user che intercettano una community e poi rilasciano valore per i brand». Un caso eclatante è la campagna #saverummo, partita quasi per caso quando lo stabilimento della pasta Rummo era stato colpito da alluvione. «Lo stabilimento è stato salvato da questa idea. Nessun algoritmo lo spiega, nessuna ricerca lo poteva prevedere». Al convegno di AssoCom è intervenuto anche Alfredo Felaco dei The Jackal, che ha raccontato come nasce e prospera sul web un contenuto virale. L’esempio è la celebre parodia del tormentone “Despacito”, che su YouTube vanta 3 milioni di visualizzazioni, su Facebook 14 milioni ed è stato condiviso dallo stesso autore e interprete del brano Luis Fonsi.