Autore: Redazione
14/09/2017

A dmexco Havas spiega come fare branding nell’era dell’artificial intelligence

Marchio e prodotto devono essere rilevanti, diventare iconici come Nutella e Coca Cola per sfuggire ai nuovi strumenti di assistenza vocale

A dmexco Havas spiega come fare branding nell’era dell’artificial intelligence

dall'inviato a COLONIA, Francesco Lattanzio

La comunicazione di brand ha attraversato nella sua storia una serie di declinazioni abbinate al media più innovativo. Dalla stampa alla radio, dalla radio alla tv, dalla tv a internet, il modo di raccontare i valori di una marca ha subito cambiamenti drastici. La tecnologia è l’ultimo mattoncino, in ordine di tempo, del castello dello storytelling. Oscuro, ma non completamente buio è il modo per consegnare il messaggio a degli elementi che prima d’ora sono stati utilizzati solo per esperimenti.

Tra gli ultimi ritrovati tecnologici ci sono gli assistenti vocali, dispositivi con cui interagire attraverso il linguaggio parlato e capaci di decodificare i messaggi grazie strumenti come l’intelligenza artificiale. “Solo in Germania sono stati venduti oltre 7 milioni di Alexa (l’assistente vocale di Amazon, n.d.r.). Quando si comanda a questo dispositivo l’acquisto di nuove pile, automaticamente vengono ordinate quelle di marca Amazon”, spiega Dominique Delport, MD Havas Group. Per ovviare a questo problema, ovvero il branding su dispositivi di acquisto automatici, è necessario “fare del prodotto, e del marchio, uno scudo. Proprio come Nutella o Coca Cola”, continua.

L’esempio vuole suggerire che il “final moment of truth, come lo ha denominato P&G, s e spostato dal supermercato al web”, afferma Michael Kassan, ceo & chairman di Medialink. “Fisico e digitale si sono fusi, i brand devono essere in grado di proporre user experience fantastiche. La sponsorizzazione viene in secondo luogo. Tesla ha ricevuto una spinta dalla gente perchè è un prodotto dal significato molto forte e questo dev’essere l’obiettivo di brand e prodotti. Essere rilevanti”, risponde Delport. La rivoluzione digitale impone un cambiamento, una capacità di ricominciare, di cambiarsi e di modificare l’esperienza proposta.

Parte di questa esperienza risiede nella spontaneità della comunicazione, nella “serendipity”. E in questo senso “è difficile dare un peso al valore dell’ad tech”, introduce Kassan. “Le persone vogliono vivere quella parte di umanità rappresentata dalla creatività, che è al cuore di tutto. È chiaro che non a tutti piace entrare in contatto con le ads, ma quando sono belle ne rimangono affascinati. Musica, filmati, articoli. Sono queste le cose che colorano le giornate della gente, sono contenuti di qualità, proprio come alcune ads”, fa notare Delport. Havas, d’altronde, è nata come content company, poi ha creato la prima news agency del mondo, e in un terzo momento ha calcato il terreno dell’advertising.

Al contrario, ci sono realtà che stanno muovendo i primi, decisi, passi nel mondo della pubblicità proprio ora dopo aver percorso un lungo viaggio nella consulenza aziendale. Le consultancy sono una nuova minaccia per le agenzie, ma a differenza delle strutture creative “hanno grandi processi d’ingegneria e di consulenza, con cui propongono cambiamenti e sono in grado di digerire l’impianto dei vari brand. Riescono in modo efficace a costruirgli proposte e comunicazioni su misura. La nostra forza però è la creatività, che è un talento. Il nostro compito è educare, spiegare il digital e i consumatori. La tech è un’altra materia”, conclude Delport.