Autore: Redazione
20/06/2017

Festival di Cannes 2017 - Day 1: il panel di The Economist sul tema della creatività

The Economist ha raccolto i rappresentanti di alcuni tra i più importanti brand, Deloitte, Mastercard e Samsung, per discutere di creatività

Festival di Cannes 2017 - Day 1: il panel di The Economist sul tema della creatività

dalla nostra inviata a CANNES, Francia, Anna Maria Ciardullo

Wake Up with the Economist: il publisher incontra i CMO per discutere del valore della creatività oggi

Nel lido del noto publisher sono stati invitati tre leading global chief marketing officer per discutere dalla propria prospettiva alcune problematiche dell’industry ed esaminare il reale valore della creatività nelle sfide che affrontano ogni giorno
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Anche quest’anno The Economist ha portato ai Cannes Lions le sue interessanti sessioni mattutine, le stesse che hanno animato la spiaggia di Cannes anche la scorsa edizione e le due precedenti. Format vincente non si cambia e gli incontri sono previsti tutte le mattine fino alla fine della settimana. Lunedì, quando tutti i partecipanti sono entrati nel vivo delle conversazioni, nel lido del noto publisher sono stati invitati tre leading global chief marketing officer per discutere dalla propria prospettiva alcune problematiche dell’industry ed esaminare il reale valore della creatività nelle sfide che affrontano ogni giorno. La partecipazione attiva dei CMO e delle loro agenzie partner al panel di The Economist sembra crescere costantemente di edizione in edizione con sempre più personaggi che portano le proprie esperienze sui vari palchi e sale del Palais così come all’esterno sotto il sole cocente di giugno. Gli speaker protagonisti di questo primo incontro formano una line up di tutto rispetto: Diana O'Brien, chief marketing officer di Deloitte, Raja Rajamannar, chief marketing &communications officer di Mastercard, Marc Mathieu, chief marketing officer di Samsung Electronics America e Daniel Franklin, executive editor dell’Economist, padrone di casa e moderatore dell’incontro. Oggi chiunque può diventare un creatore di contenuti, non solo chi lo fa di professione e questo nuovo indirizzo non può che influenzare l’intero processo creativo cambiandone completamente le logiche. Il prodotto è esso stesso tecnologia e le persone possono creare “prodotti tecnologici” o contenuti, che dir si voglia, di grande qualità semplicemente usando i device che hanno a disposizione e che utilizzano per raccontare le proprie storie. Questo cosa cambia per chi si occupa di creatività a livello professionale? Le storie autentiche sono quelle che le persone vogliono sentire. Per questo il ruolo del creativo è quello di abbandonarsi ad una cultura dell’iniziativa lasciando andare il bisogno di sicurezza e conservazione. Chi ha la fortuna di fare creatività per lavoro deve andare alla ricerca della disruption, «dobbiamo prenderci dei rischi, non evitarli», spiega Mathieu. Dalla creatività spontanea c’è sempre da imparare. Quello che conta per un brand è riuscire a mantenere alcuni capisaldi, tre per cominciare: costruire intorno a se le basi per la trustability, essere completamente trasparente, non considerare mai niente come sicuro ma affidarsi solo a insight misurabili e a risultati concreti.
La creatività segue i consumatori
«La creatività non sta andando dove è sempre andata, ossia dalle agenzie creative, ma si dirige dove vanno i consumatori, è più che mai un consumer creative process» commenta Rajamannar. «La cosa importante, infatti, è ascoltare le persone, capire cosa gli piace e cosa no ma, soprattutto, quali sono le cose a cui tengono - ribatte O’Brien -.Il marketing oggi si costruisce intorno alla brand trust e sulle relazioni emozionali con le persone». I marketer per riuscire in quello che si potrebbe definire un “creative-led business” devono prima di tutto mantenere la loro “brand promise”, costruendo rapporti di fiducia e umanizzando il proprio brand. In loro aiuto interviene l’utilizzo dei dati, essenziale per contestualizzare e personalizzare i messaggi. «Non bisogna pensare che la tecnologia sia un mezzo per rendere tutto più freddo e distaccato, mai come in quest’epoca con la tecnologia si può fare tutto il contrario», aggiunge Mathieu. «In base agli insight emersi dalle nostre misurazioni razionalizziamo ogni aspetto del messaggio da veicolare affinché risulti rilevante. La rilevanza di un messaggio è tutto perché le persone possono sempre decidere di fare opt in o opt out, nessuno può imporre l’attenzione ne abusare del potere di persuasione, questo significa aggiungere grande valore all’adv» aggiunge Rajamannar. Il moderatore di The Economist ha chiesto allora se possa essere considerato un pericolo diventare troppo precisi nella misurazione? «Dipende - spiega ancora Rajamannar -. Noi sperimentiamo continuamente i risultati, dobbiamo sapere sempre perfettamente se una campagna funziona o no, le misurazioni se hanno riscontri sono sempre valide perché non si tratta solo di business metrics ma anche di marketing KPI. Inoltre, un obiettivo di chi usa dati, soprattutto come quelli behavioral che sono molto personali, è inseguire il rispetto della privacy, proteggendo i destinatari della comunicazione».
Il ruolo del CMO oggi
Si è parlato anche di talenti durante il panel mattutino sulla spiaggia dell’Economist. «Il ruolo di un leader come il CMO all’interno di un’azienda è gestire le problematiche ma, soprattutto, portare un punto di vista innovativo durante i momenti di transizione che l’era del digitale pone costantemente di fronte - spiega ancora O’Brien -. Un buon marketer deve sapere quali sono gli insight che funzionano, ciò che interessa davvero al proprio target, ma deve anche capire la tecnologia e il business». Non è facile trovare persone che abbiano il piglio da general manager e allo stesso tempo una sensibilità creativa ed empatica per entrare in contatto non solo con quello che desiderano i consumatori ma anche con il DNA della company. «Devono essere anche in grado di scindere, se necessario, la dimensione digitale da quella classica e comportarsi come marketer alla vecchia maniera», commenta Rajamannar. Come figure di leadeship, del resto, sono dei veri e propri brand ambassador e devono essere in grado di rappresentare all’esterno i valori del brand, con trasparenza e verità. L’obiettivo ultimo deve essere sempre «Creare un impatto che abbia importanza e significato», concordano tutti all’unisono. «L’industry ha bisogno di nuove expertise ma la specializzazione non deve condurre al lavoro per silos perché la collaborazione, l’interconnessione tra le attività in una realtà, soprattutto se basata sulla creatività deve essere un caposaldo. Bisogna innalzare la qualità delle proprie armi creative», conclude Mathieu, abbassando il sipario sul panel di The Economist.