Autore: Redazione
25/05/2017

Cala il sipario su IAB Interact: focus sul tema della brand safety con gli interventi di Google e GroupM

L’appuntamento organizzato dall’associazione è terminato con due importanti speech

Cala il sipario su IAB Interact: focus sul tema della brand safety con gli interventi di Google e GroupM

Dagli inviati ad AMSTERDAM, Anna Maria Ciardullo e Francesco Lattanzio

«Innovazione per tutti»: Matt Brittin di Google porta la sua vision sul palco dello IAB Interact

Come possiamo rendere il mondo digitale più sicuro per gli utenti? Come si contrasta la diffusione delle fake news? Come assicurare la brand safety nell’ambiente digitale? Gli utenti del web ogni giorno convivono con problematiche legate alla sicurezza, all’hacking, allo spam e alla privacy di fronte alle quali sono praticamente indifesi. Come facciamo, come industry, ad assicurarci che l’advertising funzioni sia per gli utenti che per gli advertiser? In sostanza come si può rendere l’ecosistema più sostenibile per tutti?

Sono queste alcune delle domande che ha sollevato Matt Brittin, presidente EMEA Business & Operation di Google durante il suo keynote “Innovation for everyone”, sul palco dello IAB Interact.

«Tutti, in questa sala, avete con voi almeno un dispositivo connesso (o più di uno) e questo è già un esempio di come l’innovazione tocchi tutti quanti noi e di quanto sia importante che tutti possano cogliere le opportunità offerte dal world wide web», spiega Brittin, ed è da questa visione d’insieme, dove l’innovazione deve essere pensata per favorire tutta l’umanità, che secondo lui si dovrebbe ripartire per dare nuova linfa vitale al digital ecosystem. Gli obiettivi dell’advertising industry, in particolare, devono essere ottimistici ma allo stesso tempo realistici e mirare alla soddisfazione dei bisogni di tutti i player, dagli  user ai content provider, dagli advertiser ai brand.

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Matt Brittin, presidente EMEA Business & Operation di Google

Security e privacy control

Non ci può essere beneficio se non è possibile garantire la sicurezza e il controllo della privacy. Questo è possibile attraverso l’utilizzo consapevole delle tecnologie per bloccare, ad esempio problematiche come malware, hacker, virus ma anche aprendo maggiormente le possibilità di controllo e  cambiamento delle le impostazioni agli utenti affinché possano adattarle alle loro esigenze di privacy.

«Gli ultimi accadimenti ci hanno spinto ad accelerare le connessioni https e a cercare nuove misure per i nostri siti. Gmail è già completamente encripted e ha un filtro per lo spam e scarica aggiornamenti in background così da proteggere sempre Android da eventuali malware. Poi abbiamo esportato le modifiche in modo tale che altri possano integrarle in piattaforme esterne. Questo intendiamo per open internet», spiega Brittin.

Il controllo deve continuare anche sul piano dell’advertising per garantire una user experience di qualità e scongiurare l’utilizzo dell’adblocking da parte degli utenti. «Abbiamo degli standard molto alti per accettare le ads e abbiamo perfezionato il nostro algoritmo per garantire il fact check e la massima qualità dei contenuti».

Fake news and bad content

«Bisogna stare attenti a dove si pubblicano i contenuti e non. E non possono essere trattati tutti allo stesso modo: ci sono i bad content (che penalizziamo, abbiamo rimosso 1,7 miliardi di bad ads nel 2016) e i good content (che cerchiamo di valorizzare). L’obiettivo di Google News, per esempio, è da oltre 16 anni quello di offrire news accurate e sicure reclutando un grande numero di giornalisti sparsi per tutto il mondo con le più varie expertise, dallo storytelling al fact checking . Investiamo anche in formazione per aiutarli ad un uso corretto e profittevole degli strumenti di Google. Google News e Google Search portano ai content creator oltre 10 miliardi di clic al mese che, come riportato da Deloitte, corrispondono a tre quarti di miliardi di euro. Abbiamo corrisposto 11 miliardi ai publisher quest’anno, contro i 3 del 2012».

In sostanza, la logica che sta alla base dei progetti di Google e che dà vita a tutti i suoi tool  (DoubleClick, per citarne un altro) è quella di creare sempre soluzioni che portino beneficio a tutti, sia a coloro che li usano direttamente sia per coloro che sono coinvolti di riflesso.

Per questo motivo, come molti altri speaker ascoltati durante la kermesse dell’Interactive Advertising Bureau hanno dichiarato, tutta l’industry deve lavorare a progetti che abbiano conseguenze benefiche per tutta la value chain: trasparency nel programmatic, standard comuni , verifiche indipendenti, trasparenza da parte delle agenzie riguardo alle loro politiche di guadagno, misurazioni efficienti, standard elevati su tutti i formati e così via.

Se dovessimo trarre una conclusione rispetto ai temi che sono stati protagonisti di questa edizione dello IAB Interact, quello che emerge chiaramente è che il settore è giunto ad un punto in cui deve rimboccarsi le maniche e lavorare per stabilire nuovi standard qualitativi che in un mondo in così rapida evoluzione si sono persi di vista. 

GroupM: «Le strategie low cost non possono essere sostenibili. Il digitale ha bisogno di riabbracciare la qualità»

È quanto ha affermato sul palco dello IAB Interact John Montgomery, EVP Global Brand Safety della holding media controllata da WPP che, nel suo keynote “Delivery Chain Quality”, ha sottolineato l’importanza di una politica mirata a risultati a lungo termine e di CPM di campagna visibili e verificabili

Gli advertiser hanno perso fiducia nella digital delivery supply chain, ma gran parte del problema è dovuto all’incessante pressione a cui il mercato è sottoposto, ossia dover offrire CPM sempre più bassi. Ma, i CPM non sono sempre il giusto benchmark da tenere in considerazione quando si parla di efficienza dei costi. Questa è parte della visione di John Montgomery, EVP Global Brand Safety di GroupM che, nel suo keynote “Delivery Chain Quality”, sul palco dello IAB Interact, ha chiarito i problemi legati alla qualità della delivery. «Offrire inventory di qualità, misurazioni efficienti, ridurre il livello di rischio per il nostro cliente al minimo: questo significa brand safety per GroupM», ha spiegato.

I digital media sono stati protagonisti delle cronache recenti per temi che poco hanno a che fare con la qualità dell’ecosistema, ad fraud, fake news, accostamento di ads a contenuti che incitano all’odio, sono solo alcuni esempi che fanno da riflesso ad un settore che ha bisogno di riabbracciare la qualità.

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John Montgomery, EVP Global Brand Safety di GroupM

Le motivazioni che hanno portato a questa situazione di stallo non sono poche, prima fra tutte la corsa al risparmio. «Lavorare con il risparmio come obiettivo finale è assolutamente controproducente poiché ciò che si ottiene mirando a risultati a breve termine è addirittura il contrario o peggio ancora, si corre il rischio di spendere di più». Non è raro, infatti, che i numeri di molte campagne risultino specchietti per le allodole, poiché generati, in realtà, da traffico non umano e servite tramite inventory di pessima qualità. «Se le persone reali non vedono una campagna, questa risulta completamente inutile e i soldi investiti sono sprecati». Una politica basata su strategie low cost non può essere sostenibile e il fatto che la diffusione dell’ad blocking è arrivata a toccare il 30% ne è un chiaro segnale.

Un altro problema riguarda l’ecosistema social, troppo poco controllato e dove troppi contenuti vengono caricati ogni minuto con un livello di checking davvero limitato. Lo stesso tipo di affollamento, è riscontrabile anche a livello di buying come effetto della diffusione dell’automation che ha reso possibili miliardi di bids al giorno. Se, da un lato, è aumentata la scalabilità, dall’altro è anche aumentato il numero delle impression che possono sgattaiolare, sebbene non conformi ai requisiti necessari, affinché una campagna risulti efficace. Non stupisce, tuttavia, che in un mercato dominato dal duopolio di Google e Facebook si sia radicata la tendenza a lavorare a risparmio. «La complessità del mercato digitale deve essere affrontata con le giuste tecnologie perché è necessario che mantenga una quality reputation e un livello di trustability in grado di garantire un ecosistema sano agli utenti prima di tutto ma altresì a tutti i player del’industry.  Non abbiamo idea se il nostro environment sia in salute e degno di fiducia, quindi quale deve essere il rapporto tra push of efficiency e digital quality?». La domanda che Montgomery pone al pubblico dello IAB Interact. La parola chiave è “CPM” ma a patto che siano “nudi e crudi”, verificabili e visualizzabili.

Il fatto che si possa costruire un’intera campagna su criteri inesistenti, impression false, traffico non umano è molto grave, poiché abbassa il valore di tutti i processi generando un circolo vizioso che può solo portare a conseguenze negative. «Cost efficiency, mesurement e price guarantee, questi dovrebbero essere i capisaldi delle strategie nell’ecosistema digitale. Invece, ad esempio, è abbastanza diffusa la convinzione che la viewability aumenti i costi delle inventory. In realtà è un CPM che guida la sales lift poiché migliore è la qualità della campagna, più persone la vedranno, maggiori saranno le opportunità di vendita. Sembra scontato ma non lo è». Per ovviare a questa situazione di economia a scapito della qualità, naturalmente, è necessario un grande lavoro ed è importante che tutti gli attori coinvolti comprendano e facciano propria la responsabilità che hanno verso i loro interlocutori e verso tutti coloro che sono coinvolti direttamente o indirettamente.  Introdurre stardard qualitativi più alti, deve riguardare tutte le aree compreso il supporto ai clienti, la qualità delle inventory, i pricing model e tutti i processi della supply chain. «Bisogna cambiare i criteri di misurazione di una campagna, scegliere degli standard molto alti nella definizione della qualità di un impression e deve essere assicurato un traffico umano per garantire la demografica e la certezza di safe environment per il buying. Quest’ultima è la variabile più importante affinché si operi bene a prescindere dalla tecnologia utilizzata e per garantire la brand safety». Fortunatamente sono sempre di più anche i clienti che hanno compreso l’importanza di un approccio basato sulla qualità dei processi e su “viewable CPM”, questa consapevolezza «non può che essere un driver di miglioramento per tutto l’ecosistema», conclude Montgomery.

Il valore della supply chain e gli elementi “pericolosi”

L’ad fraud è rimasta praticamente immacolata dal lontano 2000, quando Dino Bongartz, Vice-Chair Programmatic Trading Committee di IAB Europe e CEO di The ADEX, ha iniziato ad avere «problemi con l’ad fraud». «È cambiata molto la modalità di delivery, ma i problemi sono rimasti. È normale, se tutto cambia così velocemente e segue una progressione con un focus legato alle performance la tecnologia non riesce a stabilizzarsi e non è possibile aggiornare con la giusta tempestività tutte le pratiche legate alla brand safety», continua Bongatz. Ma la supply chain ha tarli che provengono anche dal lato della brand safety: «Il Brand Safety Tag dovrebbe controllare l’URL, i link interni al contenuto, i metadata del sito, il contesto e i contenuti stessi del sito. Se questo gli fosse permesso ci sarebbe il 99% delle possibilità di evitare situazioni dove la sicurezza della brand image è in pericolo. Se tutti mettessero in open source le soluzioni e le tecnologie che adoperano in pratiche di brand safety sono sicuro che sarebbe possibile rassicurare i marchi sulle destinazioni in cui appaiono. Serve però la collaborazione di tutti. Facebook e Google impediscono a tutti di inserire tag sui propri domini, chiamando in causa la privacy come motivazione ma questa è solo una scusa per non fare entrare nessuno nel loro ecosistema», ha concluso Montgomery.