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Brand Safety: Integral Ad Science indaga e risponde al "fenomeno" del momento

Autore: Redazione


La struttura guidata in Italia dal Director Elisa Lupo, è impegnata in prima linea nell’affrontare questo problema e invita a una maggiore collaborazione per offrire soluzioni efficienti a tutto il comparto

Brand safety:i tre luoghi comuni più diffusi

Quando si vuole spiegare il concetto di brand safety, si usano solitamente esempi su come una campagna display possa andare storta. Il classico esempio riguarda la pubblicità di un marchio per famiglie che compare su un sito web con contenuti per adulti, oppure la pubblicità di una compagnia aerea visualizzata accanto alla notizia di un incidente di volo.

Un posizionamento così superficiale può trasformarsi in un incubo nelle relazioni pubbliche e, in sostanza, danneggiare la reputazione del marchio. Un sistema di brand safety previene proprio questo tipo di inconvenienti. Gli esempi riportati sono chiari e facili da capire, ma potrebbero far sembrare il concetto di brand safety più semplice di quanto sia.

n° 1: La brand safety consiste solo in una blacklist di domini

Uno degli approcci usati nella brand safety consiste nel redigere una semplice blacklist di siti web e applicazioni di cui si conosce il contenuto inopportuno ed evitare di acquistare impressioni dalle proprietà di quella lista.

Una soluzione simile può avere dei vantaggi, ma presenta anche lati negativi piuttosto seri:

  • Mancanza di precisione: se si blocca un intero dominio perché alcune delle sue pagine presentano contenuti inopportuni, si rinuncia anche a ciò che si potrebbe ottenere dalle pagine di alta qualità dello stesso dominio.
  • Continui interventi: una blacklist di domini deve essere aggiornata costantemente, dato che vengono create nuove proprietà ogni giorno.
  • Spoofing: chi è in malafede sa che il proprio sito web appartiene a una lista nera e quindi lo venderà in maniera fraudolenta sotto un nome apparentemente affidabile.

n° 2: La brand safety si basa solo su parole chiave

Visto che una blacklist di domini può sia limitare la portata pubblicitaria che fallire nell’intento di bloccare contenuti impropri, alcuni inserzionisti e fornitori credono che la soluzione migliore sia semplicemente stilare liste di parole chiave e frasi inopportune. In questo modo, invece di bloccare, ad esempio, un intero sito di notizie, si bloccano solo i suoi articoli relativi a quei termini specifici.

Tuttavia, questo approccio è pieno di problemi, come dimostrano i seguenti esempi concreti:

Stessa grafia, parola diversa: molti argomenti hanno delle abbreviazioni a essi associate, che possono però indicare anche parole di tutti i giorni. Per esempio, un inserzionista che cerchi di evitare contenuti politico-terroristici potrebbe aggiungere alla blacklist l’acronimo IRA, in riferimento al movimento nazionalista irlandese. Bloccherebbe però senza volerlo anche tutti i siti contenenti la parola comune “ira”, visto che il sistema non ne riconoscerebbe la differenza. E si pensi alla portata del blocco per il pubblico anglofono se il parametro scelto è “IS”, che indica non solo “Islamic State”, ma anche una voce del verbo essere.

Stessa parola, uso diverso: alcune parole, ad esempio “uccidere”, hanno di base un solo significato; tuttavia possono essere usate sia metaforicamente (senza alcun problema) che letteralmente (costituendo un grande problema). Se una parola come “uccidere” sia accettabile o meno dipende dal contesto, e questo non può essere registrato in una semplice lista.

Stessa grafia, lingua diversa: se si lancia una campagna tra editori a livello globale, potrebbero insorgere numerosi problemi linguistici.

Ricapitolando, se le parole chiave possono essere una componente utile in un sistema di brand safety, non rappresentano però una soluzione completa o definitiva.

n° 3: La brand safety è un problema risolto

La brand safety ha appena iniziato a occuparsi di una serie di nuove frontiere mediatiche:

Brand safety su video: con la costante crescita di contenuti video digitali, ci sarà bisogno di maggiore supervisione per la sicurezza del marchio. I contenuti video online possono essere rischiosi quanto quelli di testo. Ad esempio, nessuno vorrebbe che il proprio annuncio scorresse come anteprima di una decapitazione dell’ISIS. I buyer televisivi che gestiscono i budget dei video digitali potrebbero avere un illusorio senso di sicurezza, perché sono abituati a contenuti di trasmissione lineari, sempre affidabili e regolamentati. Non è il caso della giungla informatica.

Brand safety in-app: la spesa dei media si sta spostando in maniera massiccia verso l’ecosistema delle app, in cui pullula una vasta gamma di contenuti: dai social media alle app per appuntamenti, dai videogiochi alle news. E visto che questo spazio virtuale non funziona come il web tradizionale, i contenuti non rientrano automaticamente nelle stesse categorie.  Se si esaminano da vicino il comportamento e l’esperienza in-app degli utenti per analizzare i livelli di brand safety, emergono anche questioni di privacy da affrontare.

Brand safety e localizzazione: il targeting di localizzazione sta diventando sempre più popolare per gli inserzionisti che desiderano entrare in contatto con i consumatori in uno specifico tempo e in un determinato luogo. Il successo estemporaneo di Pokémon Go ha prodotto un’audience enorme in poche ore, dando vita a sorprendenti opzioni di localizzazione per le inserzioni pubblicitarie. Quello che forse in pochi avranno notato è che, vista la natura del gioco, i consumatori venivano condotti, a volte, in luoghi poco appropriati. E con il crescere della pubblicità basata sulla localizzazione, questo tipo di brand safety è destinato a diventare sempre più impellente.

Proteggere la sicurezza di un marchio diventa sempre più difficile. I sistemi di brand safety devono evolversi di pari passo con il continuo sviluppo di nuovi format mediatici e considerare i problemi individuali di ogni canale impiegato.

Perché la brand safety è il tema del momento?

Con la costante crescita di contenuti estremisti, notizie false e pubblicità allegata a contenuti inappropriati, la brand safety è ora al centro dei riflettori. L’immediatezza dei social media rende molto più facile per gli utenti individuare e condividere “campagne andate male” e come risultato la brand safety ha catturato l’attenzione delle masse. Quello che un tempo era un problema discusso esclusivamente all’interno dell’industria pubblicitaria è ora diventato una questione da prima pagina e in molti iniziano a chiedersi come mai questi annunci compaiano in posizioni così inappropriate.

Per dare una risposta, dobbiamo prima capire come inserzionisti e agenzie acquistano spazi mediatici al giorno d’oggi. Se l’obiettivo di un inserzionista è trovare clienti target, allora il supporto pubblicitario acquistato si baserà sul segmento demografico destinatario piuttosto che su un sito specifico. Questo vale soprattutto nella pubblicità programmatica, dove le impressioni possono provenire da volumi immensi di inventari contenuti in reti e scambi pubblicitari. Quando il supporto viene acquistato in questo modo, il controllo sul contesto in cui apparirà l’inserzione è limitato.

Pensiamo, ad esempio, a un target di sesso maschile, di età compresa tra i 20 e i 39 anni, in cerca di un’automobile nuova. Se tale destinatario visita poi un sito web estremista, la pubblicità del marchio potrebbe apparire lì. È importante ricordare che marchi diversi hanno diverse percezioni di ciò che considerano “rischioso” per il loro brand.

Quindi, come può un marchio evitare che la propria inserzione venga affiancata a contenuti inappropriati? Per contribuire a minimizzare il rischio, i marchi devono impiegare diverse misure di brand safety. Sta al marchio decidere quale sia un livello di rischio accettabile e sta alle compagnie specializzate in verifica di contenuti aiutare il marchio a rientrare in questi livelli attraverso una combinazione di blacklist, parole chiave e analisi delle pagine. È fondamentale per marchio e agenzia restare vigili, soprattutto con la proliferazione di contenuti generati da utenti. Per minimizzare i rischi di esposizione, i marchi devono essere consci del fatto che la brand safety non è una questione da risolvere e accantonare subito dopo. La tecnologia IAS è integrata in partner mediatici come Google e Facebook e in piattaforme programmatiche, pertanto i sistemi di verifica sono disponibili per tutti e offrono vari livelli di copertura. Se non è in atto ancora alcuna soluzione, i marchi possono e devono incoraggiare i propri partner tecnologici a incrementare l’offerta e le integrazioni collaborando con fornitori di verifica.

La brand safety non è un problema che scompare. I brand e le agenzie devono decidere se e come vogliono proteggere la propria attività. I brand devono assicurarsi di collaborare con fornitori terzi di verifica, i quali dispongono di integrazioni e tecnologie attive che minimizzano il rischio di visualizzare la pubblicità accanto a contenuti inappropriati.

L’aumento di consapevolezza prodotto dalla recente copertura nazionale può essere considerato positivo, in quanto costringe l’industria pubblicitaria digitale a riconoscere che la sicurezza dei marchi online è una questione prioritaria.

E in futuro? Ora che i brand, le agenzie e un pubblico generale più vasto hanno compreso l’entità dei rischi che può correre un marchio in questo settore, occorre collaborare per affrontare la sfida e offrire soluzioni efficienti.


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incarichi e gare

Autore: Redazione - 24/04/2024


KFC Italia sceglie KIWI come nuovo partner per la gestione dei social

Si arricchisce di una collaborazione di grande valore il 2024 di KIWI che, a partire da questo mese, è ufficialmente il nuovo partner per la gestione dei canali social di Kentucky Fried Chicken Italia, l’iconica e leggendaria catena di fast food specializzata in pollo fritto. La unit di Uniting Group, scelta da KFC a seguito di una gara, assume l’ownership dei canali Meta (Facebook e Instagram, con l’obiettivo di aprire anche Threads), LinkedIn e TikTok del brand. “La vittoria parte innanzitutto da una ricerca approfondita sul tone of voice. Abbiamo identificato nell’autenticità, nella schiettezza e nella boldness, che da sempre appartengono al brand, degli ottimi punti di partenza per rivolgerci alla GenZ e ai Millennial che sono il pubblico per eccellenza di KFC. Si tratta di un brand unico e amatissimo in tutto il mondo, con un prodotto e degli asset di comunicazione inconfondibili e potenzialità social ancora parzialmente inespresse in Italia”, afferma Andrea Stanich, Direttore Creativo Esecutivo di KIWI, Part of Uniting Group.  La strategia L’attenzione di KIWI sarà molto concentrata sulla crescita e sul coinvolgimento sempre maggiore della community. Anche i lanci, le promo, le aperture, i servizi e le innovazioni tecnologiche saranno comunicate senza perdere di vista l’intrattenimento. Una gestione del community management informale e diretta contribuirà ad alimentare il dialogo quotidiano con gli utenti. “Una parte rilevante del piano social di KFC - prosegue Federica Pasqual, COO di KIWI e Freshhh, Part of Uniting Group - sarà costituita da contenuti video originali agili e veloci, che ci piace definire ‘snackable’. Oggi più che mai è fondamentale affiancare i nostri brand partner intercettando le opportunità di comunicazione e i trend in modo istantaneo; questo, nel day by day, viene facilitato dalla collaborazione con la unit Freshhh, nata inizialmente come spin-off di KIWI, realtà che può contare, dall’ultimo quarter del 2023, su uno spazio produttivo dedicato”.  Dieci anni di pollo fritto in Italia KFC, società del gruppo Yum! Brands, è leader mondiale nel settore dei ristoranti che servono pollo fritto. Nato oltre 70 anni fa e presente in Italia da 10 anni, il brand ha avuto nel nostro Paese una crescita che l’ha portato oggi a 87 ristoranti in 15 regioni, con l’obiettivo di arrivare a 100 locali entro la fine dell’anno. Il gusto unico del pollo fritto di KFC si deve al Colonnello Sanders, fondatore del brand e inventore dell’Original Recipe, la ricetta che contiene un inimitabile mix segreto di erbe e spezie e che ancora oggi viene preparata come una volta nei ristoranti di Kentucky Fried Chicken. “Cercare ogni giorno di costruire una relazione sincera e coinvolgente con il nostro target di riferimento rappresenta uno degli obiettivi principali per i prossimi anni, forse la chiamerei una missione. La GenZ è la nostra audience, vogliamo rivolgerci loro in maniera diretta e convincente - afferma Marzia Farè, Chief Marketing Officer di KFC in Italia -. La scelta dei temi, dei canali, del linguaggio e il tono di voce da adottare diventano pertanto ogni giorno più cruciali; vorremmo esser riconosciuti come contemporanei e autentici e credo che la collaborazione con KIWI possa davvero esser l’occasione giusta per far un passo ulteriore di crescita in questa direzione. Il team KIWI che ci affiancherà è pieno di energia e voglia di fare, abbiamo le premesse migliori per far bene e divertirci”.

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spot

Autore: V Parazzoli - 09/04/2024


Lorenzo Marini Group firma “Il divino quotidiano” di Amica Chips, con una versione più “rispettosa” in tv e una più trasgressiva sui social

È on air la nuova campagna tv Amica Chips, realizzata, dopo aver vinto la relativa gara, da Lorenzo Marini Group, che propone una comunicazione fuori dagli schemi tradizionali con un linguaggio ironico, forte e trasgressivo, destinato a colpire un target giovane non abituato a messaggi “televisivi tradizionali” ma a stilemi narrativi social. Non a caso, dello spot sono state approntate una versione più “provocante” appunto per i social e una più rispettosa di un target tradizionale per la tv, con planning sempre di Media Club. Il film Le protagoniste dello spot sono delle novizie, riprese in fila sotto al chiostro del monastero mentre si apprestano ad entrare in chiesa. In sottofondo si sente la musica dell’“Ave Maria” di Schubert, eseguita con l’organo che accompagna questo ingresso. Le novizie sono in fila verso l’altare e la prima sta per ricevere la comunione dal prete celebrante…In quel momento si sente il suono della croccantezza della patatina, un “crunch” amplificato in perfetto sincrono con il momento in cui la prima novizia ha ricevuto l’ostia. Le altre in fila, al sentire il “crunch”, sorridono divertite e guardano nella direzione da cui proviene il rumore “appetitoso e goloso” della patatina croccante. La Madre Superiora infatti è seduta in sagrestia e, rilassata in un momento di pausa, sta mangiando con gusto le Amica Chips prendendole da un sacchetto che tiene in mano. Pack shot con le patatine Amica Chips e in super appaiono logo e claim di campagna “Il divino quotidiano”. Obiettivi e target L’obiettivo principale della comunicazione è quello di riaffermare il ruolo da protagonista di Amica Chips in comunicazione, da sempre protagonista di campagne forti e distintive con un tono da leader, per aumentare la percezione del suo valore di marca e consolidare la sua brand awareness. La campagna, che vuole sottolineare l’irresistibilità del prodotto ed esaltare la sua croccantezza superiore, sarà sviluppata con un sistema di comunicazione integrato teso a massimizzare l’impatto e la copertura di un target 18–54 anni, con particolare focus per la parte più giovane (18-35) sui canali digital e social. Un target che, in chiave psicografica viene descritto come composto da persone che nella loro vita ricercano ironia, divertimento e simpatia e che hanno un atteggiamento sociale aperto ed evoluto, con una ricerca continua di uscita dagli schemi convenzionali. Il messaggio vuole esprimere, con forte ironia “british”, un contenuto di prodotto legato al momento dello snack e, attraverso una descrizione iperbolica e provocante, esprimere il valore della croccantezza irresistibile della patatina Amica Chips. Si vuole rappresentare, in modo palese e senza fraintendimenti di tipo religioso, una situazione “chiaramente teatrale e da fiction”, tratta da citazioni del mondo ecclesiastico già abbondantemente trattate nella cinematografia mondiale, nelle rappresentazioni teatrali e nella pubblicità. Lo spot 30” verrà programmato sulle reti Mediaset, Cairo e sulle CTV, oltre che sui canali digitali. Il commento «Le patatine sono una categoria mentale compensativa e divertente – spiega Marini a Dailyonline -.. Hanno bisogno di comunicazioni ironiche, giovani e impattanti. L’area semantica della serietà è noiosa, funziona per prodotti assicurativi o farmaceutici. L’area del divertimento e della giocosità si sposa benissimo invece con questo settore». Credits Direzione creativa: Lorenzo Marini Copywriter: Artemisa Sakaj  Planning strategico e direzione generale: Ezio Campellone Account service: Elma Golloshi Casa di produzione: Film Good Executive producer: Pierangelo Spina Regia: Dario Piana Direttore fotografia: Stefano Morcaldo Producer: Sara Aina Musica: “Ave Maria” di Schubert – esecuzione di Alessandro Magri  

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