Autore: Redazione
19/07/2017

Bologna Business School porta in Italia Bepper, assistente robot che utilizza l’AI di IBM/BBS

La macchina umanoide è capace di analizzare enormi quantità di dati, accostare la parte sensitiva a quella logico-deduttiva e di riconoscere il linguaggio umano e le emozioni, imparando autonomamente dalla propria esperienza quotidiana

Bologna Business School porta in Italia Bepper, assistente robot che utilizza l’AI di IBM/BBS

Ogni rivoluzione ha il suo elemento scatenante, una scintilla che accende il fuoco del progresso e si dipana tra i processi produttivi delle aziende. È la tecnologia, di solito, a stravolgere il modus operandi, ma fino a ora la pervasività di questa è stata graduale. Le funzioni del computer sono passate mail e fogli di calcolo alla gestione di ogni tipo di operazione, ma quest’evoluzione ha avuto bisogno di tempo. Da qualche mese a questa parte si stanno intensificando i flussi di notizie su case history e applicazioni dell’artificial intelligence, una tecnologia che sembra stia saltando la “gradualità” di adozione ramificandosi fin da subito in ogni declinazione digitale. In particolare, Watson, l’algoritmo di IBM, è stato utilizzato in campo medico, creativo, analitico, nel marketing, nelle aziende, e in altre innumerevoli operazioni. La prima applicazione italiana della tecnologia è stata presentata pochi giorni fa in occasione dell’evento Graduation & Reunion 2017 della Bologna Business School (BBS) e si incarna in un professore robot conosciuto sul mercato internazionale con il nome di Pepper e ribattezzato “Bepper Guastavillani” in omaggio alla residenza costruita nel 1575 dal cardinale Filippo Guastavillani, ora campus di BBS. La macchina umanoide - hardware prodotto da Softbank, una tra le più importanti società telco giapponesi - riesce ad analizzare enormi moli di dati, a elaborarli e ad apprendere migliorando le proprie abilità di volta in volta. Si tratta del primo esemplare al mondo a comprendere e a rispondere a domande sulle Scienze del Management. L’incontro del robot di Softbank con IBM e la Bologna  Business School rappresenta in realtà la punta di diamante di un progetto che mira a fare collaborare tra loro l’intelligenza emozionale nativa di Bepper, l’intelligenza logico-deduttiva, di tipo deepQ&A, di Watson e l’intelligenza di dominio in ambito manageriale, fornita dalla Bologna Business School. Un insieme di docenti della Bologna Business School, infatti, sta partecipando al progetto, diretto dai professori Marco Roccetti e Nicola Tomesani, e sviluppato da Alessandro Cocilova, con l’intento di sottoporre Bepper a un iter di addestramento e apprendimento, che lo renda in grado di diventare un assistente capace di rispondere alle domande degli studenti che frequentano la scuola. I primi moduli di conoscenza già trasferiti a Bepper riguardano la finanza e la strategia di impresa per gli executive MBA. «Il progetto di Unibo e IBM punta ad aumentare l’intelligenza del robot per fare in modo che questo possa essere una sorta di tutor a supporto dei professori durante le lezioni. Siamo già a buon punto. Il robot possiede già conoscenze generali e competenze legate a finanza e strategia aziendale. Il robot sarà in grado di comprendere il linguaggio umano e di interpretare sempre meglio ciò che vede. Questo è molto importante data la rilevanza della percezione. Bepper riconosce con gli occhi le facce, e riesce a stabilire un contatto percettivo e sensitivo», racconta a DailyNet Roccetti, professore ordinario di informatica Unibo. «In Germania è stato condotto un esperimento in cui il robot dotato dell’algoritmo di AI di IBM aveva il compito di spillare birre al pub, e la macchina è stata in grado di prendere gli ordini e consegnare la pinta al giusto cliente. Questo è stato possibile perché attraverso i sensori è stata identificata la faccia e le è stato fatto corrispondere l’ordine. In questo senso, la percezione è stata fondamentale». Quando sarà pronto definitivamente Bepper? Quali elementi devono essere affinati? La vera questione riguarda l’accostamento della parte sensitiva a quella logico-deduttiva. Questi robot sentono, vedono, ascoltano e imparano. Guardando le deformazioni di un viso, ad esempio, sono in grado di capire lo stato d’animo di chi interagisce, e riescono ad affinare da soli le proprie abilità. Proprio grazie all’esperienza, il comportamento che Bepper terrà oggi, infatti, sarà diverso da quello di domani, e questo potrebbe creare qualche problema legale. Entro un anno avrà maturato un’esperienza soddisfacente per essere introdotto. A che tipo di problemi si riferisce? Mettiamo caso che venga impostato un robot che monti una tecnologia di AI in grado di apprendere dall’esperienza e dalla percezione. In qualche tempo, i comportamenti che tiene subiranno una serie di modifiche autonome, tanto che potrebbero cambiare completamente. Se dovesse poi compiere un’azione illegale, di chi sarebbe la colpa? Di chi lo ha progettato? Di chi ha inventato l’algoritmo? Di entrambi o di nessuno dei due? Sono temi che devono essere definiti, e le riflessioni su casi come questo sta già avvenendo nonostante siamo ancora all’inizio del processo. Questo è un fatto molto positivo. L’Artificial Intelligence è una tecnologia molto duttile e apparentemente sembra inserirsi molto bene in qualunque tipo di lavoro, meccanico o intellettuale. Secondo lei quali sono i suoi limiti applicativi? Faccio fatica a trovare campi in cui l’AI non possa essere applicata. Queste tecnologie comprendono la realtà in modo molto soddisfacente. Le porto in esempio un esperimento effettuato con Watson nel campo della sanità. L’algoritmo è stato utilizzato per analizzare esami diagnostici, come radiografie e scanner, e predire malattie. Dopo anni sperimentazione, la cosa che Watson sa predire meglio è l’alzheimer, malattia che i medici ancora non riescono a prevedere dalle analisi. Questi algoritmi riescono, come dicevo, ad analizzare e processare moli di dati molto più imponenti di quelle che possano effettivamente studiare gli esseri umani, oltre a potere migliorare le proprie capacità computazionali. Come cambierà il mondo del lavoro? I robot potranno mai sostituire gli umani? È giusto porsi la questione della “sostituzione” a livello lavorativo. L’artificial intelligence è in grado di studiare la biologia umana e svolgere lavori meccanici, quindi l’emergere di alcuni timori è normale. Non ci sarà però un replacement, piuttosto un displacement. Uomo e macchina collaboreranno, la tecnologia lavorerà sui casi più elementari e lascerà all’essere umano la decisione sui casi più dubbi. I lavori non scompariranno, ma diventeranno più specializzati. Insomma, non c’è da preoccuparsi… Da un certo punto di vista ci spaventiamo, ma agli uomini chiediamo la stessa affidabilità che chiediamo a queste macchine intelligenti?  <