Autore: Redazione
25/05/2017

AOL, Shing: «Non è più tempo di innovare, è il momento di inventare»

L’intervista al digital prophet della compagnia, secondo cui oggi viviamo nell’epoca dell’internet

AOL, Shing: «Non è più tempo di innovare, è il momento di inventare»

Mai quanto oggi, i dati sono un tema centrale marketing. Non importa se si stia discutendo di creatività o di target da colpire, i protagonisti della pubblicità restano sempre gli algoritmi e i dati che elaborano. In realtà, secondo David Shing, digital prophet di AOL, le persone hanno accesso a tanti tipi di tecnologie molto elaborate, «bisogna però capire come utilizzarle per comunicare i messaggi». In altre parole, «non è più il momento di innovare, è il momento di inventare», gli strumenti ci sono, ora bisogna usare fantasia e sagacia per trovare la loro migliore applicazione. Questa, dice il digital prophet, «Deve seguire la linea dell’internet of emotion. Il marketing online deve trovare il suo percorso emotivo, ormai è stato tracciato il solco per avanzare su una via diversa rispetto a quella razionale». Allo IAB Interact, “Shingy” ha spiegato a DailyNet la sua visione del marketing.

Cosa intende dire per “Internet of emotions”?

L’internet of emotions per me è il modo di consumare internet in un mondo in cui tutto è connesso. Se vado a correre al mattino e ho addosso device connessi, è possibile capire cosa mi spinge a farlo, se devo allenarmi per qualche gara, se corro in risposta a qualche male, o solo per sfogarmi. C’è un’emozione dietro ogni cosa che facciamo. Non sono decisioni razionali. Credo che questa sia un’opportunità di capire come umanizzare la tecnologia, in modo che la stessa umanità possa essere più felice. Siamo davanti a una sfida: abbiamo tanti tipi di tecnologia a cui le persone hanno accesso, ma non abbiamo ancora capito come metterle insieme. Per questo credo che non sia il momento di innovare, è il momento di inventare. Abbiamo gli strumenti, ora bisogna capire come farli funzionare meglio. E siccome la stessa persona ha comportamenti molto diversi bisogna capire anche quando scegliere un certo tipo di approccio.

L’emozione nell’advertising è un concetto che esiste da parecchi anni. è un momento favorevole per applicarlo?

Quando è arrivato il digital- commenta David Shing - sono stati creati formati pubblicitari per il direct response. Ma ora ci sono altre piattaforme che permettono davvero di arrivare a toccare le emozioni, per esempio il video. I filmati stanno subendo uno sviluppo in tante direzioni: corti, medi, lunghi, in VR, in 360 gradi. Il miglior contenuto che ricordo di aver visto è il film della Lego, che mostra i mattoncini per due ore e la gente lo guarda con grande interesse! Internet deve trovare il suo percorso emotivo, ormai è tracciato il solco per avanzare su una via diversa rispetto a quella razionale. Non si parla più alle masse ma alle nicchie.

Ci faccia un esempio…

I possessori di smartphone “giocano” con il dispositivi circa 80 volte al giorno e fanno un utilizzo delle app molto più frequente rispetto al mobile browser, circa l’88% delle attività sono svolte attraverso app. La maggioranza di queste non propone pubblicità, alcune perchè in abbonamento, altre solamente perchè non sono ancora riuscite a inserirle nel flow. Stando così le cose, gli advertiser sono tagliati fuori! Questi ultimi cercano di giustificare la loro posizione parlando di dati, ma non sono l’unica cosa importante. Bisogna capire come interpretare i comportamenti. Quando le persone prendono in mano il telefono cosa fanno? Rispondendo a questa domanda - continua David Shing- dovrebbero provare a supportare i loro utenti negli interessi che esprimono. Se riesci a proporre un buon servizio, che riesca anche a catturare l’attenzione, allora il gioco è fatto. Una app brandizzata che insegna a fare i numeri con lo skateboard  potrebbe esserne un esempio! Invece di guardare i video su Youtube, gli utenti appassionati potrebbero studiare i tutorial direttamente dalla app, stringendo una relazione col brand.

Sembra che la maggioranza dei brand mantenga posizioni conservative rispetto ai loro messaggi

La chiave per capire gli utenti, e quindi i messaggi da proporgli, è il cambiamento culturale. Un brand non può essere ok, dev’essere odiato o amato. Perchè anche essere odiati attira l’attenzione su di sè e dà l’opportunità di cambiare sotto gli occhi di tutti. Dove ha rifatto i packaging dei suoi prodotti in modo che questi assomiglino a un corpo in forma. Questo è piaciuto a molti, ma molti altri hanno alzato critiche. È comunque una reazione positiva! Ogni prodotto deve avere un lato empatico, non importa se questo sia una bottiglia d’acqua frizzante o un device connesso. L’advertising sta però prendendo una strana deriva. Le campagne di awareness – spalmate su tutti i media – e quelle di engagement dovrebbero attingere da budget differenti, e invece oggi è che tutti i tipi di creatività sono considerati uguali: sia quelle che servono a vendere il prodotto sia quelle utili a creare una connessione emotiva con il brand. Una crea un ritorno economico, l’altra un ritorno in termini di empatia. Da una parte si misura con ROI, dall’altra si misura con la sentiment analysis, che ad oggi non è ancora pronta ma la sfida è migliorarla.

È possibile automatizzare l’advertising delle emozioni?

Ci sono tante informazioni sull’utente. Si sa dov’è, cosa fa, quanti anni ha, cosa gli piace, e questo è un quadro che indica anche il suo stato d’umore. Ci sono allo stesso tempo però parecchie variabili su cui costruire una creatività del genere. L’AI non è ancora capace di assemblare le creatività, può solo dare insight. Con programmatic e AI è possibile consegnare il messaggio con il giusto design, e questo toglie ai creativi la preoccupazione di lavorare sui banner e lasciandogli spazio per pensare alle emozioni, alle connessioni, all’engagement profondo. La raccolta e l’utilizzo dei dati, poi, è molto importante ad aggiungere particolari e ad arricchire l’architettura emozionale della comunicazione che si vuole proporre. Ma anche il modo in cui questi vengono richiesti non può essere freddo, non si può chiedere nome, cognome e indirizzo senza alcun beneficio apparente. È una maniera che spesso spinge gli utenti a rifiutarsi di condividerle.

l’AI sarà mai in grado di farlo da sola?

Sospetto che possa arrivare all’assemblaggio prima o poi. Possono accedere a tantissimi dati e hanno una grande capacità computazionale, ma posso dire che è ancora molto molto presto prima che arrivi a una tale capacità.