Autore: Redazione
18/04/2016

Perché tutti parlano di Native Advertising?

Al via il primo capitolo di We Believe in Native, rubrica dedicata al tema e tenuta da ArtAttack su DailyNet

Perché tutti parlano di Native Advertising?

Il mercato del native advertising è uno dei trend emergenti del mercato digital italiano e mondiale, sia per la grande offerta di servizi sia per l'interesse dimostrato dalle aziende. DailyNet vuole proporre ai lettori una rubrica periodica di approfondimento sui temi più dibattuti. Art Attack native adv, agenzia che idea e crea brande content per i propri clienti dal 2010 ed è attiva dagli albori del native, si occuperà della realizzazione dei contenuti in collaborazione con la redazione. Buona lettura con We Believe in Native.  

Perché tutti parlano di Native Advertising?

Articolo a cura di Pasquale Borriello, Account Director @ ARTATTACK native adv - ‎netnoc
  Da un paio d’anni a questa parte non si fa che parlare di native advertising: è uno dei grandi trend del mercato digital italiano, sia perché c’è grande offerta di servizi sia perché c’è forte interesse dalle aziende. E perché funziona: il native piace agli utenti soprattutto sui social e su mobile. Che poi sono i canali più in crescita secondo tutte le statistiche di utilizzo, anche nel nostro Paese. Secondo la ricerca Native Advertising in Europe to 2020 di Yahoo! e Enders Analysis, il mercato del native advertising arriverà a valere in Europa 13,2 miliardi di euro nel 2020. In un altro studio di qualche anno fa, firmato BI Intelligence, si prevedeva una crescita annuale a doppia cifra del Native Advertising negli Stati Uniti fino a circa 19 miliardi di dollari nel 2019. Insomma un mercato maturo e in forte crescita con social media e mobile come driver principali. Secondo la ricerca di Yahoo! il mobile arriverà a pesare oltre il 60% del native advertising e il social quasi il 50%. Numeri incredibili, ma è anche vero che il primo formato pubblicitario native popolare è stato proprio quello che vediamo sui social. Si tratta del cosiddetto in-feed, ovvero l’annuncio sponsorizzato inserito all’interno del feed con i contenuti degli altri utenti. È il formato utilizzato da Facebook e Twitter, per capirci, e introdotto recentemente anche da Linkedin. Non è un caso che questo formato sia particolarmente efficace su mobile, dove l’interfaccia è sempre meno invasiva perché trasparente e più ‘native’ possibile. Nel playbook di IAB US pubblicato a fine 2013, i formati di native advertising riconosciuti rientrano in una delle seguenti 6 categorie: in-feed, paid search (es. gli annunci Google), recommendation widget (es. Outbrain, Ligatus e Taboola), promoted listing (es. Amazon), in-ad (ovvero un formato native racchiuso all’interno di uno standard pubblicitario IAB), custom-content (formati molto particolari o specifici di alcune piattaforme).
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Questo stesso framework è stato recepito da IAB Italia con una pubblicazione in occasione dello scorso IAB Seminar del 2015. L’attenzione globale sul tema native advertising si è ora spostata sul tema della trasparenza: come fare a chiarire all’utente che quel contenuto che sta vedendo è sponsorizzato, ovvero qualche azienda ha pagato perché venisse pubblicato in quella posizione? Tema più che mai attuale visto che pochi giorni fa Facebook ha sdoganato i branded content pubblicati sulle pagine di celebrity ed editori. D’ora in poi infatti le pagine certificate potranno pubblicare post per conto di inserzionisti, purché lo rendano palese inserendo attraveso una piccola iconcina che compare accanto al contenuto. E proprio il contenuto resta un po’ fuori dalle discussioni: quale contenuto funziona meglio per il native advertising? Dev’essere un contenuto più adeguato al contesto editoriale dove viene pubblicato o più adeguato al brand che lo promuove? Una possibile risposta arriva dal CEO di Sharethrough, una startup americana leader nel Native Advertising e che sta per sbarcare in Italia, Dan Greenberg. La sua ricetta per un branded content a regola d’arte è chiara: dev’essere fatto in modo che rimuovendo il brand (o mettendone un altro al suo posto) l’intero contenuto perda di senso. Questo legame indissolubile tra contenuto e brand è uno dei punti di forza del native advertising, perché alla fine gli utenti consumano il contenuto e non il ‘formato’ - che sia native oppure no.