Autore: Redazione
14/10/2016

MRC “pizzica” lo strumento DoubleClick for Publishers di Google

L’istituto ha sospeso l’accreditation a DoubleClick for Publishers dopo il recente aggiornamento delle linee guida legato a una tematica di misurazione mobile

MRC “pizzica” lo strumento DoubleClick for Publishers di Google

Dopo la querelle che ha coinvolto Facebook relativa all’errato conteggio delle visualizzazioni video, ammesso e corretto in tempi rapidi dal social di Menlo Park, un’altra scossa fa vibrare l’industry pubblicitaria. A finire nel mirino questa volta è Google, con il riconoscimento di parte dei suoi servizi sospesi dal Media Rating Council (MRC), istituto deputato al monitoraggio degli annunci online. L’MRC, come riporta un documento, dallo scorso settembre ha sospeso l’accretidation a DoubleClick for Publishers (DFP) per questioni di mancata “conformità normativa”. L’MRC ha detto che il riconoscimento a Google sarà nuovamente concesso non appena verrà ripristinata la conformità. Si pensa che ciò possa avvenire entro la fine dell’anno. Sul tema è stato pubblicato un lungo articolo da parte di Business Insider, che tenta di fare un po’ di chiarezza. Sotto la lente d’ingrandimento le impression display erogate su mobile web e alcuni annunci display su desktop. La sospensione sembra essere legata a motivazioni tecniche, conseguite all’aggiornamento di alcune linee guida la scorsa primavera, e non a qualche “furbata” o “errore”.
google-1-e1458918382985

Gli aggiornamenti alle linee guida

Ad aprile di quest’anno l’MRC, insieme allo IAB e alla MMA (Mobile Marketing Association) ha aggiornato le linee guida sul conteggio delle impression su mobile web e app. Le ultime indicazioni suggeriscono che un impression non deve essere considerata valida solamente quando un ad server riceve una chiamata, ma nel momento in cui c’è “una ragionevole sicurezza che l’annuncio è stato renderizzato sul device mobile”. Le aziende accreditate dall’MRC hanno 30 giorni per adeguarsi alle nuove regole, pena la sospensione del riconoscimento. Esattamente quello che è successo a Google. Un portavoce di Google ha inviato a Business Insider uno statement spiegando come la società sia impegnata a lavorare a stretto contatto con gli editori partner, “come Business Insider”, per assicurarsi che continuino a prosperare, in un contesto in cui le metriche di misurazione evolvono di continuo. “Stiamo aggiornando la metodologia per il nostro ad server DFP per affrontare i cambiamenti in corso e collaboriamo con l’MRC per rinnovare l’accreditation entro la fine dell’anno. Abbiamo dozzine di metriche riconosciute dall’MRC, che rimangono tutte valide”. Nulla di grave dunque, Google non sta truffando nessuno. Ma l’errore arriva in un momento complesso per la pubblicità digitale: la questione Dentsu in Giappone con Toyota e l’errore di Facebook hanno posto degli interrogativi sull’infallibilità dell’industry tutta. Le metriche che si sono affacciate negli ultimi anni stanno sicuramente portando maggiore qualità all’advertising ma hanno dei costi importanti su editori e investitori.

Danno per Google?

Se le dichiarazioni ufficiali tendono giustamente a minimizzare la vicenda, a gettare altro fuoco c’è la continua accusa a Google di essere un “walled garden”, al pari di Facebook. Questa definizione, molto cara ai media americani, indica la chiusura - che è effettivamente tale - verso terze parti dell’utilizzo dei propri servizi, così come nella misurazione degli stessi. Ecco perché il paragone con quanto successo a Facebook salta subito all’occhio. A Business Insider, Mike Caprio, general manager of programmatic di Sizmek, ha dichiarato che c’è una discrepanza nell’ordine del 40% tra gli ads chiamati e quelli poi effettivamente serviti, auspicando che si arrivi a metriche davvero condivise per non creare “confusione”, in virtù di certificazioni di terze parti.