Autore: Redazione
19/04/2016

Martin Sorrell: “La pubblicità vive un momento difficile"

Il ceo di Wpp all'Advertising Week di Londra: "Potenziare tecnologia, dati e contenuti!”

Martin Sorrell: “La pubblicità vive un momento difficile"

Per l’ultimo intervento del primo giorno dell’Advertising Week di Londra, a prendere il microfono dell’ITV Stage è Martin Sorrell, ceo di Wpp. Comodo sul suo divano giallo inizia a chiacchierare con Ian King, Business Presenter di Sky News, toccando i temi più vari. La situazione della pubblicità, le strutture societarie, le prospettive future, le nuove tecnologie, gli investimenti del suo gruppo, ma anche politica inglese e americana, passano veloci sotto la sua lente d’ingrandimento chiara e schietta per sviluppare una fotografia definita del momentum. Ricco di esempi ed esperienze personali. “Il momento della pubblicità è abbastanza difficile, così come la situazione della industry. Analizzando il grafico che rappresenta la crescita organica di Wpp abbiamo notato differenze sostanziali dagli anni novanta ad oggi. I costi dell’advertising si sono abbassati a causa della cosiddetta disruption, che si riflette su qualunque area merceologica. Gli spender si dividono in tre fasce: c’è chi investe forte, chi non ha budget e un gruppo che si pone nel mezzo. A questo appartengono company obbligate a fondersi e poi ridividersi. Inoltre gli assetti societari sono molto meno stabili. La durata media di un ceo si aggira intorno ai 6 anni, quella di un cfo intorno ai 3 e le altre cariche tra 1 e 2 anni. La carica di un ceo corrisponde più o meno ad un ciclo politico, e proprio come in politica questi si preoccupano di mantenere la situazione economica, perché l’economia stessa è il driver più forte. La conseguenza naturale è quindi evitare di prendere rischi. Ma sono quelli che non hanno paura di sbagliare a durare di più. Inoltre, i teorici dell’organizzazione societaria hanno sempre diviso il management dalla proprietà. Io sono in disaccordo con questa strategia. Se i processi diventano più importanti dei risultati, le private equity assumono un certo appeal. Le società si vendono a questi, che poi le reimpacchettano e le rivendono a prezzo più basso dopo poco tempo. Non vedo nessuna speranza di un upside breakout, tanto che valutando i 100 brand migliori del mondo, sui dati Bloomberg, e decidendo di aprire un fondo di investimento con cui investire la stessa cifra su ognuno di essi, avremmo un msci del 3,5%. Le cooperazioni statunitensi siedono su 37 miliardi di profitto netto, ma la fetta che trattengono gli azionisti è sempre più alta e dunque la curva mostra una decrescita sebbene le entrate siano in aumento. La strategia che abbiamo scelto di adottare per continuare a crescere è tagliare i costi. Ma una speranza c’è. I giovani di oggi hanno una mentalità imprenditoriale più forte di quelli della mia generazione. Sono più preparati e pronti a prendersi dei rischi. Il digital è diventato imprescindibile, consigliamo a tutti i nostri clienti di buttarsi nel web il più velocemente possibile ed espandersi attraverso questo mezzo a livello globale. Questo genera una dinamica “cannibalistica”, dove o mangi o qualcun altro mangerà al posto tuo. Il business è cambiato dai tempi di Don Draper (celebre personaggio della serie televisiva Mad Men sul mondo dell’advertising ambientata negli anni sessanta, n.d.r.) grazie a tre segmenti: tecnologia, dati e contenuti. Per questo abbiamo deciso di investire, nel tempo, sul programmatic, tanto da vantare la più grossa piattaforma al mondo, sulle misurazioni, siamo azionisti di comScore e Rentrak, e sui contenuti, con quote in alcuni dei maggiori produttori a livello mondiale. Alcuni analisti, poi, mi hanno fatto notare un dato molto importante: la correlazione tra investimenti e tempo speso sui media non è molto profittevole. Per l’outdoor, nel 2014, a una crescita degli investimenti del 19% corrisponde un time spent del +4%, per la tv lineare al 41% corrisponde un 41%, meglio il web, con una crescita del tempo sul mezzo del 24% a fronte di investimenti maggiori del 23% e il mobile, 24% a fronte dell’8% di investimenti in più. Ma va detto che le agenzie non padroneggiano ancora propriamente smarpthone e tablet. Va detto che il tempo speso non corrisponde all’engagement, e questo è ancora una volta una questione di definizione delle metriche. Va specificato anche come misurare la viewability, è impossibile affermare che un video è stato guardato dopo soli tre secondi”.