Autore: Redazione
25/07/2016

Ligatus: specialisti del native advertising

Il più grande network di native e performance d’Europa, che conta più di 1.200 siti premium e genera oltre 31 miliardi di impression al mese, è stato tra i principali protagonisti a Rimini durante il Web Marketing Festival 2016

Ligatus: specialisti del native advertising

Il native advertising si è ampiamente affermato come soluzione ideale per promuovere contenuti o per spingere i consumatori a concludere acquisti online. Da poco tempo è disponibile anche in modalità programmatic, novità assoluta sul mercato che aggiunge ai vantaggi dei formati nativi, come la rilevanza e la bassa intrusività, anche quelli dell’automazione e della semplificazione dei passaggi. Lo sa bene Ligatus, il più grande network di native e performance d’Europa che conta più di 1.200 siti premium capaci di generare oltre 31 miliardi di impression al mese. Ligatus è una realtà internazionale che fa parte della media company tedesca Gruner+Jahr ed è a tutti gli effetti uno dei protagonisti nel settore del digital advertising, da sempre precursore di tendenze nell’ambito del native. Per approfondire l’argomento, Alessandro Galimberti, sales director Ligatus Italia, ha rilasciato un’intervista esclusiva a DailyNet. Lo abbiamo incontrato a Rimini in occasione del Web Marketing Festival 2016. Da quanto tempo operate nel campo del native advertising? «Ligatus nasce 11 anni fa in Germania ed è presente in 9 Paesi. Francia, Belgio, Olanda, Svizzera, Austria, Spagna, Turchia e poi Italia. Lavoriamo all’interno di un gruppo di publisher in chiaro, in tutto sono circa 170. Negli spazi di questi editori gira un grande numero di articoli, noi ci posizioniamo in fondo a ognuno di questi con i nostri box, il nostro formato ha un posizionamento premium, e lo vendiamo a CPC/CPL lato desktop e CPC/CPI lato mobile. Da due mesi a questa parte lo vendiamo anche in programmatic quindi a CPM, e questa è la novità più recente. In generale il native e il programmatic sono da considerare le novità del mondo digital». Pensa che il programmatic sia il futuro del native advertising? «Il native in programmatic è davvero un servizio nuovissimo, rilasciato da appena qualche mese, è il protocollo 2.3. Noi siamo molto focalizzati su quest’offerta poiché riteniamo che risponda perfettamente alle esigenze attuali del mercato e, come tale, pensiamo che possa solo crescere, cosa che già notiamo dai primi riscontri». Come si articola, nello specifico, la vostra offerta? «Con la nostra offerta native puoi promuovere sia il contenuto, attraverso attività di content marketing, sia l’acquisto diretto. Qual è la differenza tra uno e l’altro? Lato content si può spingere tramite storytelling per deliverare traffico, lato vendita si tratta di veicolare classiche campagne come, ad esempio, le offerte telco che con un click ti portano alla landing page dove è possibile acquistare direttamente il servizio, oppure come le campagne delle case automobilistiche che invitano a fare il test drive attraverso attività di lead generation». Quali strategie bisogna applicare perché un articolo non risulti intrusivo, non illuda l’utente rispetto al contenuto e in generale si possa considerare efficace? «Innanzitutto il posizionamento a fondo pagina, per sua natura non interrompe la navigazione dell’utente ma piuttosto l’accompagna. Riteniamo che i siti dove si aprono molti banner, video e pop up non siano particolarmente efficaci, in quanto, rallentano la navigazione e interrompono l’esperienza dell’utente risultando molto intrusivi. Per questo preferiamo il modello a fondo pagina che è poco impattante e che l’utente clicca solo se interessato. Ovviamente abbiamo anche dei formati più impattanti che spesso il mercato ci richiede». Che vantaggio assicurano i formati native in termini di CTR rispetto a quelli desktop? «Il click through rate garantito dei formati native è molto più alto rispetto ai classici formati desktop. Il nostro varia da un minimo di 0,15 a 0,55 e può arrivare anche fino ad 1% di click, a volte anche il 2%. D’altra parte dipende anche dal tipo di campagna poiché il CTR può variare anche in base al contenuto della campagna e al periodo. Per fare un esempio, una campagna per un brand di lingerie sotto natale avrà senza dubbio un click trough rate più alto rispetto a una generica campagna di un istituto bancario che vuole promuovere l’apertura di un nuovo conto presso di loro». Molte delle vostre case study di successo hanno come protagoniste aziende di ecommerce. Le differenze tra la promozione di contenuti editoriali e piattaforme di vendita sono sostanziali. ad esempio, in termini di convertion, affidarsi a formati native, fa la differenza? «Dipende da come l’utente valuta il nostro traffico e, soprattutto, qual è il modello di attribuzione che considera. Se l’utente clicca sulla nostra creatività, atterra sulla landing page e poi esce, viene tuttavia ritargettizato da altri player e poi viene inseguito da un banner e alla fine acquista tramite quest’ultimo, il cosiddetto “last click”, la conversione, verrà attribuita ad altri. Se, invece, il modello di attribuzione, e questa è la parte difficile da evangelizzare nel mercato, si basa, ad esempio, su un modello a “U” che analizza il customer journey dal primo all’ultimo click, si può valutare cosa porta il native advertising, beh lì facciamo veramente la differenza».