Autore: Redazione
23/11/2016

Huddle, la “non conferenza”. Tra reale e virtuale, svelato il futuro della industry 4.0

Si è svolta ieri, ad Assago, la prima edizione italiana dell’originale format ideato da Mindshare che, per un giorno, ha trasformato la sua sede in un campus dell’innovazione. L’appuntamento ha offerto ai partecipanti l’opportunità unica e preziosa di condividere il sapere e le esperienze di molti ospiti schierati in prima linea nell’evoluzione media, digitale, creativa e sociale che sta cambiando il mondo così come lo conosciamo

Huddle, la “non conferenza”. Tra reale e virtuale, svelato il futuro della industry 4.0

Per la prima volta in Italia è arrivato Huddle, un inedito format internazionale ideato da Mindshare, rivisitato in chiave originale dalla sede italiana del gruppo, e che ha offerto una giornata di incontri, interventi e momenti di condivisione, insieme ai protagonisti dell’evoluzione del nostro tempo. La mission di Huddle, infatti, è di creare un hub in cui tutti i partecipanti possano “fare sistema” e confrontarsi sulle tematiche più urgenti nel campo del digitale, dei media, della creatività e del sociale. Vocazione al confronto, questo lo spirito dell’evento che si è tenuto ieri presso la sede Mindshare di Assago, con oltre trecento professionisti presenti. Gli invitati all’esclusivo appuntamento, dunque, hanno potuto assistere alle testimonianze dei massimi esperti del settore e condividere i contributi di moltissimi ospiti estremamente diversi fra loro. Ciascuno ha portato la propria testimonianza per creare un puzzle di conoscenze che aiutasse a comprendere meglio il presente e delineare gli scenari futuri, tenendo come filo conduttore tre valori fondanti: speed, teamwork e provocation. «Il mondo della comunicazione sta cambiando a grande velocità e Mindshare vuole trarne il maggior vantaggio competitivo per i clienti. Non ci fermiamo mai e, coerentemente con il nostro motto “niente regole, solo risultati”, ci sfidiamo a essere ogni giorno provocatori e a spingere i confini dell’innovazione sempre oltre. Così è nato Huddle, una giornata per essere coinvolti in prospettive del tutto nuove, partecipare a stimolanti dibattiti, fare domande, contribuire alla discussione», ha spiegato Roberto Binaghi, Ceo di Mindshare.

La volontà di fare gruppo

Huddle significa letteralmente “capannello”. Ma nell’interpretazione di Mindshare rappresenta la necessità di fare gruppo per esprimere una grande volontà di esplorazione che richiede, oggi, di prendersi del tempo per sperimentare e farsi ispirare. Nessuno schema preconfezionato allora e porte aperte alle menti più brillanti di media, tecnologia e cultura, coerentemente con il pensiero originale che è al centro dei valori di Mindshare, per discutere il futuro della industry nostrana. In un’occasione come Huddle, bisogna porsi domande particolari: dove ci condurranno le innovazioni? E cosa significano per i brand? Quali tendenze plasmeranno la cultura popolare? E ancora: cosa produce il tentativo di umanizzare la tecnologia e come il virtuale può raccontare meglio il reale? Ma soprattutto: è vero che l’orizzonte, ormai, non ha più limiti? Fino a dove può portare la strada dell’Industry 4.0? Intorno a questi e molti altri temi si sono alternate le conversazioni, senza alcuno schema; ogni partecipante ha potuto organizzare in modo assolutamente personale il proprio palinsesto, scegliendo la sua Huddle agenda. «Huddle è una “non-conferenza”. Ognuno, infatti, ha potuto scegliere quali interventi seguire, condividendo i contributi di ospiti dalle esperienze più varie, ciascuno dei quali ha portato in Huddle la sua visione del futuro. Un modo nuovo e diverso di fare le cose coerente con la nostra filosofia» ha precisato Binaghi.

Tecnologia, giornalismo, televisione, innovazione

Tecnologia, giornalismo, televisione, innovazione digitale sono stati al centro di un palinsesto composto da ventiquattro interventi che si sono alternati nel corso della giornata in quattro aree tematiche ricavate all’interno degli uffici di Mindshare. E, fra un intervento e l’altro, ospiti e partecipanti hanno avuto a disposizione due Experience Room, curate da Google e Ubisoft, dove vivere nuove avventure “immersive”. Hanno partecipato i colossi che stanno guidando la rivoluzione digitale: a partire da IBM, con Luca Altieri, Nicola Palazzo e Alessandro Zonin, rispettivamente Director of Marketing, Communications and Citizenship Italia, Cognitive Solution Leader Italia, Social/Digital Media Strategy Leader; Facebook, con Emmanuel Dollé, Sales and Client Solutions Director Southern Europe; Google, con Tilke Judd,  Product Manager Google Research Team Emea, e Irene Montone, Branding Agency Head. Poi, una delle agenzie più creative sulla scena europea, 72andSunny, con Carlo Cavallone, Executive Creative Director & Partner; e ancora Amazon, con Philip Missler e Michele Giliberti, rispettivamente Director Amazon Media Group Germania e Head of Amazon Media Group Italia. Spazio anche per TIM, con Francesca Reich, Consumer Digital Market Director.

Grandi firme

Le grandi firme del giornalismo e gli esperti di public affair hanno portato la loro riflessione incentrata sui cambiamenti che hanno investito l’informazione e le relazioni con i media, tutto destinato a cambiare ancora e sempre più velocemente: Gianluigi Paragone, di La7, ha affrontato la trasformazione dirompente della tv; Toni Muzi Falconi, Senior Counsel Methodos e co-fondatore di DigiDig, ha presentato un progetto di lobbying affinché gli algoritmi possano diventare “spazio pubblico”, mentre Beppe Severgnini, Virgin Radio, ha condiviso i suoi “Consigli sul giardinaggio delle idee”. I giornalisti sportivi hanno portato l’attenzione sull’innovazione in contesti allargati, da Massimo Caputi, Il Messaggero, a Pierluigi Pardo, di Mediaset Premium, mentre Andrea Monti, direttore de La Gazzetta dello Sport, ha dialogato con il popolare coach di basket e commentatore Dan Peterson. Stimoli e riflessioni anche da alcuni fra i massimi esperti del presente e del futuro della televisione: Mera Rotev Naaman, Head of Verizon Ventures Israel and Nautilus by AOL; Alessandro Militi, Vice President Marketing & Sales Fox; Giampaolo Tagliavia, Chief Digital Officer della Rai; Remo Tebaldi, Direttore Canali Sky. Inoltre, i player dell’innovazione digitale in Italia hanno portato il loro punto di vista su cosa significhi fare innovazione nel nostro Paese. Antonio Converti, Amministratore Delegato di Italiaonline, è intervenuto sul tema dell’Industry 4.0; Luca De Biase, Direttore di Nova/Il Sole 24 Ore, e Massimo Russo, Direttore Generale Divisione Digitale del Gruppo L’Espresso, sulle implicazioni dell’informazione declinata in versione digitale e social; Francesca Parviero, Digital HR Strategist, Senior Partner BigName & Official LinkedIn Emea Talent Solutions Partner, sull’idea di essere permanentemente “in beta” per l’innovazione professsionale e delle organizzazioni. Gli ospiti di Huddle hanno anche potuto incontrare gli alfieri di alcune delle nuove realtà digitali più interessanti apparse sulla scena italiana: Luca Di Cesare, Managing Director di SmartClip; Andrea Febbraio, Co-founder Teads; Mary Franzese, Co-founder & Cmo Neuron Guard; Ugo Parodi Giusino, Founder & Ceo di Mosaicoon, start-up che rende virali i video ed è stata premiata come una delle società più innovative in Europa.

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Antonio Converti

Italiaonline, l’evoluzione del web italiano

Antonio Converti, Amministratore Delegato di Italiaonline, nel suo interessante speech dal carattere spiccatamente tecnico, ha fatto il punto sull’evoluzione dell’Industry 4.0. Il fil rouge di tutta la carriera di Converti affonda le basi nell’evoluzione del web italiano e oggi Italiaonline rappresenta uno dei publisher più innovativi e dall’offerta maggiormente trasversale e varia nel panorama digitale nostrano. Nello specifico, con il suo contributo, Converti ha chiarito il significato di “data driven publishing”, un nuovo metodo di diffusione dell’informazione, sposato dalla sua company, basato su un’approfondita analisi dei dati. Perché nel “grande mare” dei dati che si possono utilizzare, tra gli altri, ad esempio, hanno grande influenza i social data, ovvero tutte quelle informazioni che si estrapolano dai social network, così come i search data, legati alle abitudini di ricerca degli utenti web. Italiaonline utilizza una dashboard altamente performante che sulla base della rilevanza di questi dati, smista la creazione di contenuti tramite un’azione integrata di crowdsourcing. Tra i maggiori trend del momento, le cosiddette “feel good” news, ossia una forma di storytelling che mette al centro argomenti capaci di suscitare sentimenti positivi. Per sottolineare l’importanza di essere presenti sul web oggi, Converti ha infine presentato i più recenti progetti di Italiaonline che mirano ad aiutare le Pmi nel processo, ormai inevitabile, di digitalizzazione.

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Ugo Parodi Giusino

Mosaicoon, la più innovativa d’Europa

Ugo Parodi Giusino, Ceo e Founder di Mosaicoon, tech company che supporta i brand nella realizzazione di video strategy" che è stata premiata come una delle società più innovative in Europa. Innovativa e anche inusuale con il suo quartier generale in stile Silycon Valley che però si affaccia sullo splendido mare della Sicilia. Mosaicoon è una “Sharing Entertainment Company”. Pilastro su cui si fonda il lavoro del team di Parodi è il concetto di “video first”; secondo il Ceo, infatti, il video oggi non si può più considerare un semplice formato media, ma il nuovo linguaggio naturale della comunicazione. E se, oggi, il limite per l’evoluzione del video advertising sono i costi di produzione e la difficoltà nel differenziare la creatività, niente paura, la soluzione la offre Mosaicoon. Sulla sua piattaforma i creativi propongono le proprie idee e i brand possono lasciarsi ispirare dal loro genio e dalla qualità delle loro creazioni. Niente più gare estenuanti o brief che alla fine non funzionano, basta trovare le keyword del proprio progetto e su Mosaicoon cercare chi può realizzarlo al meglio e con modelli di prezzo innovativi su misura per ogni budget.

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Andrea Febbraio

Teads, la potenza dell’universo tecnologico

E’ stato un intervento dal tono spiccatamente inspirational, quello di Andrea Febbraio, Co-founder di Teads, dal titolo “Un androide può sognare pecore elettriche?” che è anche il titolo del libro che ha ispirato la storia dello straordinario film “Blade Runner”. Da questo, non è difficile capire il tema dello speech: l’intelligenza artificiale e tutte le possibilità che, oggi, grazie alla potenza della tecnologia, si sono aperte per chi opera nell’universo del digitale. Secondo Febbraio, siamo alle porte di una rivoluzione guidata dall’AI che avrà la stessa portata di quella che ci fu con l’invenzione dell’elettricità. E tra esempi divertenti e curiosi, sono intervenuti anche i founder di Hej!, azienda specializzata nella creazione di chatbot, proprio uno dei tanti esempi di come i robot stanno cambiando il mondo come lo conosciamo. Senza più dover attendere il domani: la nuova realtà è già qui.

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Gian Paolo Tagliavia

La Rai punta sulla tv non lineare

Procede, intanto, l’evoluzione tecnologica del servizio pubblico; e ieri, ad Huddle, il Chief Digital Officer, Gian Paolo Tagliavia, ha illustrato le sfide da affrontare in uno scenario competitivo economicamente fragile. Il sistema televisivo italiano appare, infatti, debole dal punto di vista dei conti economici. A fronte di un business che si aggira intorno ai 10 miliardi di euro, gli utili sono vicini allo zero. «E’ un sistema di valori totalmente sproporzionato tra risultati e interesse che genera, un po’ come il calcio - ha commentato Tagliavia -. Questo è un dato inconfutabile che condiziona qualsiasi scelta si faccia, tenendo presente che ogni direzione intrapresa ha aspetti positivi e altri meno». Il nuovo corso della Rai è quello della media company, come ha più volte sottolineato anche il Direttore Generale Antonio Campo Dall’Orto. In questo senso il servizio pubblico ha scelto di investire sulla tv non lineare, in questo momento con Rai Play - l’offerta on demand fruibile su internet - e a Natale sarà presente sulle tv connesse con la propria applicazione. «La media company ragiona a partire dal contenuto - ha spiegato Tagliavia - e lo valorizza con tutte le piattaforme possibili. La tv non lineare va in questa direzione. Ma ciò comporta implicazioni enormi. Se non lo facciamo, arriva Netflix. E se lo facciamo disgreghiamo la tv lineare». Molte contraddizioni presenta il modello di business a pagamento, che in Italia assume un aspetto molto peculiare: «L’operatore free sta sulla pay ma perde molti soldi, mentre l’operatore pay ha aperto una finestra sulla free grazie agli introiti da abbonamento. Questo scenario è molto irrazionale. E lo sarebbe di meno nel caso Sky tornasse a fare l’operatore pay puro?. Di certo, nemmeno le normali dinamiche della pay funzionano in Italia. E il paradosso Mediaset con la Champions League lo dimostra. Forse il mercato della pay è solidificato e qualsiasi tentativo è una perdita di quattrini». La Rai si deve confrontare, poi, con il tema del canone e della raccolta pubblicitaria. Con l’inserimento del canone in bolletta - ridotto a 100 euro - è stato recuperato il 27% di evasione, «si paga meno e si paga tutti. Il gettito è quello stimato. Poi il canone viene ridotto a 90 euro, si parla di cifre anche più basse. E’ una cifra giusta? Ammettiamo che lo sia, ma a questo punto l’operatore televisivo deve diventare molto più aggressivo commercialmente. Anche perché c’è un problema: la Rai è il produttore del maggior numero di ore di fiction, se il gettito si riduce di circa 170 milioni questi sono soldi che mancheranno alla produzione. E’ un calcolo che, tra l’altro, ancora nessuno ha fatto. Ma non sarebbe strano se al servizio pubblico venissero a mancare mezzi per produrre contenuti?». C’è, inoltre, il tema dell’internazionalizzazione, sia del sistema televisivo italiano con la forte presenza di gruppi stranieri, sia delle produzioni da esportare. «Se in Italia dovessimo avere solo multinazionali, chi la racconta l’Italia? Si fa presto a ridere di “Don Matteo”, ma comunque ci sono anche esempi di produzioni internazionali come “I Medici” che però costano il doppio. Pranzi gratis non ce n’è». Torna il tema della scarsità di mezzi, anche quando si parla di segmentazione, di nuove forme di fruizione dei contenuti tv. «La Rai deve essere universale, con contenuti come il Festival di Sanremo, e segmentata, attraverso le tv connesse e la possibilità di entrare nelle playlist del nuovo consumo non lineare, cercando di capire quanto ci si guadagna in termini di costo-contatto e tenendo presente che il broadcasting lineare è sotto pressione e a malapena a breakeven. E se portiamo i contenuti fuori dalla Rai si rischia di abituare la gente a fruire dei contenuti altrove». Gli elementi cruciali sono la distribuzione dei contenuti, «di cui Netflix è campione, e per questo vince», e il fatto di essere riconosciuti come brand. Ma questo si rivela un sistema fragile, anche perché rischia di soccombere di fronte alle grandi piattaforme digitali, che non hanno responsabilità rispetto ciò che va in onda. «Quando lavoravo in Mtv non si potevano mettere i video online; ma poi è arrivato YouTube che di questo problema non si è mai curato e guadagna tantissimo. Il problema è che stiamo di fronte a un fenomeno che crea valore e fatturati, e stiamo applaudendo alle grandi piattaforme digitali che però portano i guadagni da altre parti».

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Alessandro Militi

Fox Channels Italy: il contenuto è il re, ma il brand è il castello imperituro (se ben costruito)

Il Vice President Marketing & Sales di Fox Channels Italy, Alessandro Militi, ha spiegato ad Huddle perché la rivoluzione digitale in tv ha creato nuovi spettatori, nuova linfa per il business e nuove opportunità per gli investitori. Il contenuto è al centro di ogni discussione che riguardi l’industria dei media e dell’entertainment sui media. Il perché è cosa nota. Il trasferimento di qualità dal cinema alla televisione - in termini di scrittura e di grandi attori che scelgono di diventare protagonisti di serie tv - ha generato una moltiplicazione degli ascolti e uno spostamento sul mezzo tv di nuove fette di pubblico altrimenti rivolte solamente al cinema. «Cosa hanno in comune Kathy Bates, Jessica Lange e Matthew McConaughey? Sono premi Oscar e tutti e tre si sono convertiti alla televisione» ha commentato Militi. Altri esempi sono quelli di Kevin Spacey, James Franco, Jon Voight, Matt Dillon, Angela Basset. «Grazie ai grandi contenuti - ha continuato Militi -, ai grandi produttori, ai grandi registi e ai grandi attori, la tv è stata sdoganata e ora gioca alla pari con cinema, teatro e letteratura». In Italia abbiamo esempi importanti come “Gomorra”, il libro di Roberto Saviano che è diventato film e poi acclamata serie televisiva Sky, e “Romanzo Criminale” di Giancarlo De Cataldo che ha vissuto la stessa evoluzione, rappresentando dei benchmark da cui è difficile tornare indietro. La grande opportunità l’ha offerta la digitalizzazione della tv. «Siamo passati dai sette canali televisivi del 2007 agli oltre 200 di oggi. Le Ott come Netflix e Hulu, specialiste della distribuzione di contenuti, si sono messe a produrre intensamente. L’asticella della qualità si è alzata tantissimo: negli Usa solo il 5% delle serie arriva alla seconda stagione. Per guadagnarsi l’attenzione di un pubblico che dispone di tanta offerta è necessario spendere parecchio». Nel 2000 le serie tv prodotte negli Stati Uniti sono state 136; nel 2015 oltre 400. «E ognuna di queste è costata il doppio di quelle del 2000». La prima puntata più costosa è quella di “Lost”, a quota 13 milioni di dollari. E anche la copertura media è raddoppiata: nel biennio 2007-2009 era di 25 milioni. La digitalizzazione non ha affossato la tv, così come quest’ultima non ha debellato il cinema: «E’ solo cambiato il business model, focalizzato sulla distribuzione dei contenuti. Un film prima esce nelle sale e poi ha una vita che passa da dvd, pay tv e free tv. Questo è accaduto perché le due piattaforme hanno smesso di farsi la guerra. Per quanto riguarda la tv, si è passati dallo “shared screen” della tv generalista al “personal screen” multipiattaforma che ormai viene utilizzato dal 40% delle persone, e dal 61% del target 14-34». Il tema, quindi, è la distribuzione su più canali. Perché proprio ora questa esplosione dei contenuti? «Perché ora le serie tv le guardano anche i cinefili e questo, oltre alla tecnologia, ha spinto le major a investire sulla qualità. Questa competizione sui contenuti crea vantaggi per i consumatori, per i content creator e per gli investitori». Per i consumatori, allora, si apre una vasta offerta di ottima qualità. E per i content creators crescono lavoro e fatturati: per esempio, il protagonista di “Big Bang Theory” è l’attore di serie tv più pagato al mondo. Tutto questo mentre per gli investitori pubblicitari si creano occasioni di comunicazione prestigiose: “Wayward Pines”, ad esempio, è stata distribuita in 126 paesi contemporaneamente e sponsorizzata da Microsoft a livello globale. Ma si crea anche un problema di attenzione: in Italia il pubblico si divide tra tv, social network diversi, web, chat e radio. «Si crea un mercato dell’attenzione - ha concluso Militi - che solo la tv è in grado di soddisfare in termini di risultati di branding e vendite. Il video adv vince. Cosa fa Fox in questo contesto? Crea, compera e vende contenuti. Ma soprattutto costruiamo castelli. In questo momento storico “Content is king, brands are castles”. Il re muore, i brand non crolleranno mai se sono ben costruiti».