Branding, digital audio, internet of things, branded podcast, digital assistant e virtual reality: nei prossimi anni saranno questi i punti cardine per lo sviluppo delle tecnologie legate alla rete. Ma in che modo? David Shing lo spiega al DailyNet
La costituzione del trio AOL – Verizon – Yahoo, ha arricchito l’ecosistema digitale di un nuovo colosso, con una profonda expertise in ogni singolo segmento del mercato. La visione, la capacità di prevedere la direzione da prendere nel breve e lungo termine, diventa fondamentale per aggiudicarsi terreno sugli altri, agguerriti, competitor. All’interno di AOL esiste una figura che gode della libertà di girare il mondo per tastare i diversi terreni e intercettare le nuove tendenze. Si chiama David Shing, conosciuto anche come Shingy, e il suo ruolo ufficiale è “digital prophet”. DailyNet lo ha incontrato e ha discusso con lui del futuro del digitale.
Durante il suo intervento a Iab Forum ha parlato di internet of emotions. Cosa intendeva?
L’advertising digitale è nato con obiettivi di direct response, non per il branding. Ma per costruire una marca è necessario fare leva sulle emozioni, ed è possibile misurarle, anche in real time, attraverso strumenti di sentiment analysis. Se le storie che un brand racconta sono positive, le persone cominceranno ad amare il marchio, se cominciano a odiarlo, queste piattaforme possono aiutare a indicare la strada per migliorarne l’immagine. Un marchio che esprime dei valori condivisi ha più appeal di un altro che mira solo a vendere, e avrà una vita più lunga. Il transactional advertising non costruisce niente di longevo. Il 75% delle donne tra i 18 e i 25anni, ad esempio, tiene molto in considerazione gli ideali dei brand, e questo permette di aprire business differenti mantenendo un’identità solida attraverso le emozioni e i principi espressi. Tom’s, che si occupa di scarpe, è diventato una coffee company. Ha costruito una brand equity e dei valori tali che ai consumatori non interessa più nello specifico cosa vendono, gli interessa invece quello che rappresenta. L’internet of emotions supera i device fisici, i dispositivi devono essere trasparenti, invisibili. Molte delle ultime cose sviluppate non hanno schermi, operano nel background field. È conveniente, efficiente. Permette alle persone di avere più tempo libero, e come lo impiegano? Prima ci si sedeva di fronte alla tv, adesso gli spettatori sono sempre meno. Non vedo un grande futuro per la tv nei prossimi anni, ma lo schermo grande avrà comunque importanza. Cambierà solo l’uso. Connesso ad altri device mantiene la potenza emozionale, che sicuramente è più efficace della superficie di uno smartphone, ma permetterà di vedere qualunque video si scelga di riprodurre.
Parlavi di device “trasparenti”. Alexa, Google Home e tutti gli assistenti virtuali stanno attirando gli interessi degli editori per la riproduzione vocale di articoli e podcast. Che futuro avrà questa tendenza?
Vista, suono e movimento sono i tre elementi dell’estetica dei media. Per molti anni ho ripetuto che il suono è il segreto meglio conservato. Alexa, Echo o Google Home, non producono suoni fini a se stessi, ma connessi alle emozioni perché hanno un approccio molto personale. Posso chiedergli che tempo fa, di leggermi un articolo, o qualunque cosa, e i device per rispondere utilizzano architetture basate sull’intelligenza artificiale, che impara cosa vuoi sapere e si adatta ai bisogni emotivi. Arriveranno a riconoscere le inflessioni vocali: se parli in tono arrabbiato, ad esempio, lo capiranno e daranno risposte basate anche sullo stato d’animo di chi formula le domande. Non c’è motivo di non credere che il volante della macchina un giorno non possa percepire dalle mie mani il battito cardiaco, e se questo è accelerato, lo stereo non possa propormi una playlist tranquilla. Questa è la potenza del digital audio. Stiamo solo grattando la superficie di un nuovo, bellissimo, campo per lo storytelling.
Che ruolo avrà rispetto al video?
Credo che siano complementari. La scelta tra l’uno e l’altro dipende dalla situazione. Nei viaggi in metro, per esempio, l’esperienza video non è poi così gradevole e in molti preferiscono mettere gli auricolari e dedicarsi all’audio.
Il digital audio sta raccogliendo nuovi investimenti tra branded podcast e programmatic audio. Il segmento esploderà presto?
Sì. General Electrics ha lanciato un bellissimo branded podcast che non cerca di vendere niente, prova a collegarsi emotivamente con gli ascoltatori. E più tempo viene speso dagli ascoltatori sui suoi podcast, e più ne guadagnano in considerazione. Il principio alla base è lo slow journalism. Adesso, gli argomenti sono trattati attraverso storie brevi, nello stile di social network come Twitter. Sembra stia calando l’attenzione per determinati argomenti, mentre sale quella verso i contenuti. Se tutti gli articoli sullo stesso argomento fossero impacchettati meglio, si creerebbero delle “big story”. Lo slow journalism sta tornando in un modo differente. Nell’universo della rete gli utenti scelgono a cosa dedicare la propria attenzione, e se i contenuti sono coinvolgenti, come quello di GE, è naturale che vengano fruiti. Non importa poi che facciano numeri enormi, il punto è che riescano ad attrarre utenti molto attenti.
Apple ha dichiarato di essere al lavoro sullo sviluppo di smart glasses che ricordano da vicino i fallimentari Google Glasses. E intanto Snapchat ha lanciato gli Spectacles. I modelli sono profondamente diversi. Qual è il più appetibile?
Vedremo cosa proporrà Apple. Intanto, la differenza tra i Google Glasses e gli Spectacles è che la premessa dei primi consiste nel riportare i dati su tutto, sempre. Questo li faceva sembrare uno strumento di sorveglianza e la società non è pronta a una cosa del genere. Andavano incontro anche a una serie di problemi legati alla privacy. Gli Spectacles invece si propongono un solo obiettivo, il divertimento. Chi si mette gli occhiali di Snapchat, sa che quando fa qualcosa di divertente gli basta schiacciare un bottone per registrarlo in video di 10 secondi. È un tipo diverso di contenuto. Divertimento contro sorveglianza, sono due scopi radicalmente diversi. Non sono sicuro che i Google Glasses possano diventare un fenomeno di massa ma credo che potranno essere molto utili in attività specifiche come la chirurgia ad esempio. Ancora una volta, il contesto è fondamentale.
Quali sono le conseguenze di mettere le persone al centro di un ecosistema di device controllati da internet?
È conveniente. Secondo le stime, entro il 2025 ci saranno 34 miliardi di device collegati alla rete. Non ci saranno schermi, le bottiglie d’acqua saranno connesse direttamente al frigo e si ordineranno da sole una volta finite. È pura comodità, e questa regala alle persone più tempo libero. E come lo impiegheranno? Probabilmente nell’entertainment. Sarà una categoria molto importante e segmentata. Ogni cosa che possa essere connessa, farà parte del network dell’IoT.
Ma per quanto riguarda il consumo, diventerebbe più difficile spezzare la catena del re-order. Le persone non andrebbero più al supermercato e l’advertising dovrebbe essere più potente per convincerli a cambiare marca. Come cambierà la pubblicità?
L’advertising si fonda su una cosa sola, la sorpresa. Una volta che so quello che voglio, qualcos’altro attira la mia attenzione. Può essere per via del design, o un gusto nuovo ci sono molti modi per stimolare i comportamenti di consumo. A questo va aggiunta una dimensione emozionale, legata ai valori e all’immagine del brand. La storia dietro al marchio sarà sempre più decisiva. Anche se non sarà sempre facile spezzare la catena. <