Autore: Redazione
10/06/2016

La customer engagement personalizzata al centro di Send

È stato questo il leitmotiv che nel pomeriggio di mercoledì ha visto alternarsi, in 3 ore di plenaria, 5 interventi tra cui quello del ceo di ContactLab Massimo Fubini incentrato sull’importanza dei dati, del contenuto e del contesto

La customer engagement personalizzata al centro di Send

“Engage individuals with personalized experiences”. È stato questo il leitmotiv che nel pomeriggio di mercoledì, nella location d’eccezione della Triennale di Milano, ha visto alternarsi sul palco della terza edizione di Send Insights in 3 ore di plenaria ben 5 interventi, per un totale di circa oltre 200 tweet. L’evento organizzato da Contactlab è stato un momento di confronto per tutti gli esperti del settore, organizzato per ispirare e dare nuovi spunti strategici per il proprio business aziendale. Approfondimenti tematici, dibattiti sulle nuove prospettive digitali, varie occasioni di networking, il tutto con un unico obiettivo: avere insights su come valorizzare il customer engagement attraverso la strategia della personalizzazione. Di questo ne hanno parlato, non solo a livello teorico a con continui e forti riferimenti a casi pratici e concreti, Emanuela Prandelli, Massimo Fubini, Luca Olivari e le case study di Nicola Fontana e Stefano Dindo, tutti introdotti e coordinati da Jacopo Tondelli, cofondatore e direttore de Gli Stati Generali.
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Emanuela Prandelli Customer engagement make sense: da potenziale minaccia a leva di differenziazione Ha aperto i lavori Emanuela Prandelli, LVMH associate professor of fashion and luxury management presso l’Università Bocconi, con un intervento dal titolo “The actual scenario and digital emerging trends in customer engagement” che ha messo in luce le opportunità del customer engagement a livello aziendale, luogo in cui clienti e utenti oggi giocano un ruolo fondamentale tanto nel cogliere nuovi trend del mercato quanto nel planning di originali strategie commerciali. Un esempio, banale ma significativo, arriva da un piccolo ristorante newyorkese che, cavalcando la moda della food photography, ha deciso di creare un hashtag all’interno del proprio menu cartaceo dando vita al primo Instagram Menu in modo da creare una sorta di community tra tutti i commensali, ingaggiando direttamente i clienti. Questa operazione innovativa a budget zero ha portato i ristoratori a fare i conti con una lista d’attesa di 5 mesi per potersi sedere a un tavolo del locale, senza contare il clamore mediatico che tutto ciò ha suscitato. «Lo sviluppo del customer engagement passa attraverso 3 fenomeni chiave - spiega Prandelli -. Innanzitutto oggi è necessario lavorare in una logica omnichannel e seamless, incentrata sull’integrazione tra diversi canali, piattaforme e device, con un occhio di riguardo al mobile: in questo modo l’engagement sta sempre di più sta prendendo la strada di una forte personalizzazione della user experience che si sviluppa senza soluzione di continuità». La social relation, invece, è la seconda tendenza: «Diventa fondamentale conoscere la rilevanza del profilo social dei potenziali clienti che non sono più solo nomi e cognomi dispersi nel mare magnum della rete, bensì grazie ai dati che “lasciano” online possono essere leve importanti da sfruttare in mirate strategie di marketing. La relazione che si crea tra azienda e cliente mette al centro i dati e la loro interpretazione, trasformando i social data in big data utili a fini di business». «Last but not the least - conclude Emanuela Prandelli - la co-designed relation. Bisogna sfruttare e valorizzare le customer engagement di matrice sociale per far sentire gli utenti parte attiva delle politiche aziendali, mettendo al centro i brand advocate, ambassador e gli evangelisti del marchio affinchè diffondano il messaggio all’interno della propria community. Affidarsi al cliente solo per la parte comunicativa sarebbe un limite, in quanto è stato dimostrato che il coinvolgimento nella messa a punto del prodotto genere maggiori profitti». Dunque, è stato dimostrato come il coinvolgimento attivo del cliente nella messa a punto del prodotto abbia un senso anche dal punto di vista economico, passando dall’essere visto dalle aziende come una potenziale minaccia a un’importante leva di differenziazione. Ciò comporta una fisiologica perdita di autonomia da parte dell’azienda, ma dare la possibilità agli utenti di scriverne la storia è un investimento a rendere.
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Massimo Fubini Content is king, context is queen È stata poi la volta del padrone di casa Massimo Fubini, ceo e founder di ContactLab, che ha spiegato l’importanza di un approccio data driven personalizzato per ottenere performance migliori e fare crescere il proprio business. «Oggi la normalità è la personalizzazione del messaggio», ha esordito «ma bisogna fare attenzione a usarla con il giusto equilibrio: poca rischia di non essere percepita, troppa di essere fastidiosa. In un mondo in cui la customer journey è sempre più complessa e meno lineare, la fase del riconoscimento delle tipologie di utenti e del contesto in cui operano in un determinato momento è imprescindibile. Dunque, contenti is king and context is queen, e noi di Contactlab siamo usciti dalla logica di sola delivery di un messaggio, che pur rimane il nostro core, ma abbiamo iniziato a lavorare nell’area del contenuto e del contesto per un’analisi dei dati finalizzata a leggere delle situazioni e predirne altre». Dati e contenuti, infatti, sono al centro della relazione tra azienda e utente, la cui integrazione permette di creare una sorta di guida per monitorare e migliorare i comportamenti di segmenti di utenti, cioè coloro che hanno caratteristiche simili. «La segmentazione è un bisogno dei marketer e per andare a “sorprendere” tutti i cluster diventa essenziale sviluppare un buon grado di personalizzazione della comunicazione, che aggiunga valore alla precedente user experience. Il livello di personalizzazione è variabile: nessuna, segmentazione socio-demo, segmentazione non behavioural e behavioural». Ma quanto vale, oggi, la personalizzazione? «C’è stato un aumento delle revenue del 60%, del tasso dei click pari all’88%, del budget saving del 25%, mentre gli acquisti fatti hanno subito un’impennata di 42 punti percentuali, e questo grazie anche ai sistemi automatizzati che si stanno rapidamente sviluppando». Numeri importanti quelli elencati del ceo di ContactLab che però non perde occasione per sottolineare come l’approccio del mercato italiano sia, ancora una volta, da rivedere. «Don’t try to boil the ocean - sintetizza Fubini -. Visto che siamo costretti a rincorrere cerchiamo sempre il best of things, ma questa può essere un’arma a doppio taglio perché deve esserci un processo graduale di trasformazione dell’azienda a 360 gradi, sia in termini tecnologici sia soprattutto dal punto di vista culturale e mentale». Di quest’ultimo aspetto se ne occuperà la prossima Send Academy, canale di formazione su questi temi, in programma il 7 e l’8 luglio. Every company is a data company Luca Olivari, chief data officer da qualche settimana di ContactLab, con il suo intervento in chiusura di appuntamento è entrato direttamente nella scienza del dato. «Ogni azienda deve davvero essere in grado di capire le reali esigenze del cliente, anche quelle minime e quelle che inizialmente possono sembrare contro intuitive, perché solo in questo modo l’azienda può crescere. Se siamo bravi a capire come si segmenta il mercato e, di conseguenza, studiamo i vari cluster di persone che lo popolano allora abbiamo trovato la chiave per aprirci davvero si clienti. Capire la diversità e l’unicità del cliente è possibile farlo raccogliendo più dati, analizzandoli e interpretando quelli che già sono a nostra disposizione. Impariamo a non scartare le informazioni che ci pervengono, di qualunque tipo esse siano», esorta Olivari. Una parola chiave del discorso di Olivari, infatti, è stata il digital fingerprinting: «In rete ci sono tanti dati che noi già sappiamo ma che non salviamo e analizziamo, perciò non serve chiedere nuove informazione bensì ascoltare quello che ci dicono. Con i loro comportamenti gli utenti lasciano traccia di ogni percorso online, dalla navigazione sui siti alle app, alle azioni sui social fino alle reazioni ad attività di direct marketing, e ciò permette di migliorare le performance del business». Una delle principali sfide delle aziende è quella di attirare l’attenzione dell’utente e mantenerlo ingaggiato, e per farlo è importante divertirli, creare un forte legame emozionale tra le due realtà, seppur virtuale, e costruire quel rapporto di fiducia alla base di ogni relazione, anche di marketing. «Dare un indirizzo email, dare dati socio-demo, dare informazioni behavioural costa, perciò l’azienda deve essere in grado di incentivare il rilascio di queste informazioni e lo può fare solo divertendo il potenziale consumer», chiarisce il cdo portando l’esempio dei creatori Farmville. «Infine - si avvia verso la conclusione Olivari - per una delle cose fondamentali per capire il comportamento di chi sta dall’altra parte dello schermo è raccogliere tutti i dati in un unico luogo, fare in modo che tutte le informazioni che hanno a che fare con una persona siano salvate in un posto singolo, in modo da creare un grafo del comportamento tagliato su misura per il cliente e integrato con le sue abitudini. Oggi la tecnologia ce lo permette e bisogna sfruttare questa opportunità», conclude.
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Nicola Fontana Lastminute.com e Zero12 Dello stesso tenore sono stati anche gli interventi, nella parte centrale del pomeriggio, di Nicola Fontana, head of customer audience and crm strategy di Lastminute.com, e Stefano Dindo, amministratore delegato di Zero12. Proximity marketing e Momentum sono state le parole chiave indicate da Fontana, che hanno messo in evidenza da un lato la rilevanza del cliente e del suo touchpoint, dall’altra il saper individuare momento giusto per ingaggiare il potenziale cliente. Insieme a ContacLab, infatti, Lastminute.com ha trovato il modo di sviluppare strategie che individuino in real time il momentum di massima rilevanza e criticità della user experience. Lo stesso Dindo ha parlato di proximity marketing, individuando negli smartphone il vero ponte tra il mondo retail e i virtual store in quanto in grado di cogliere quei “micromomenti” adatti a incentivare la customer engagement. Grazie a tecnologie come i beacon, recentemente tornate in auge grazie alle funzioni ble, investire nel digitale e adottare approcci altamente interattivi fa aumentare il proprio business.  <