Autore: Redazione
25/05/2016

Consumi, la crescita dei brand passa attraverso l'adv

Aziende e operatori si sono confrontati nell’ambito del primo incontro 2016 di “Purple Program” organizzato da Mindshare con Millward Brown, IRI e Long Partners

Consumi, la crescita dei brand passa attraverso l'adv

Nello scenario di forte rallentamento dei consumi che si è delineato in questi anni di crisi, l’Industria di Marca ha perso, nel biennio 2013-2014, un calo del 2% rispetto al 2012, con una riduzione dello 0,7% della spesa delle famiglie italiane nel solo 2014, pari a circa mezzo miliardo di euro. Nel 2015 le cose sono andate meglio, con consumi in crescita del 2,2%, ma la ripresa è tutt’altro che consolidata. Il trend congiunturale segnala che, a fronte di un primo trimestre 2015 a +0,7%, il corrispettivo periodo del 2016 registra un calo dello 0,2%, recependo un trend modestamente negativo iniziato già nel terzo trimestre dell’anno prima. «Il settore del largo consumo è molto sensibile ai fattori esterni» spiega Livio Martucci, Direttore Global Analytics & Consulting di IRI, intervenuto al convegno “Comunicazione. Distribuzione. Marca. L’Italia che riparte”, primo appuntamento del 2016 del ciclo "Purple Program" organizzato da Mindshare insieme con Millward Brown, IRI e Long Partners. Questi fattori sono: sfiducia verso le istituzioni, effetto Parigi-Bruxelles, crisi delle banche e del lavoro, allarmi alimentari. La previsione per il 2016, quindi, pur restando positiva si attesta su un cauto 0,5% in presenza di un consumatore molto più consapevole e selettivo, in cerca di valore. Eppure, l’industria di marca si sta concentrando molto sulla promozione, nonostante questa leva abbia ampiamente mostrato la corda e i fatturati ne risentano. Federico Capeci, Ceo Italy di Kantar Consumer Insights, ha sottolineato che la sfida delle marche è quella di conquistarsi uno spazio adeguato nella testa del consumatore. I fattori che determinano il potere della marca sono la sua significatività, la differenziazione e la sua salienza: quest’ultimo, carattere oggi di sostanziale importanza. Va da sé che per conquistare l’attenzione del consumatore - mentre si assiste a un calo del ricordo pubblicitario - bisogna investire in una comunicazione sempre meno generica e sempre più lontana dagli stereotipi, che insieme a «generalizzazioni o ansie da perfomance di breve periodo non è certo un buon inizio per creare esperienze di valore e ottenere il riconoscimento di un valore di marca». Creare un reale legame con il consumatore attraverso l’identificazione di insight di marca efficaci è la strategia giusta, che si consegue attraverso il ricorso ai dati e alle ricerche di mercato. «L’analisi dei database Millward Brown - dice Capeci - evidenzia come l’utilizzo di strumenti di ricerca sin dalle prime fasi dello sviluppo di una idea creativa, permette di massimizzare le performance della campagna aumentandone le capacità di impatto del 20%, e generando di conseguenza una maggiore efficienza dell’investimento». Nel dibattito moderato da Marco Costaguta, presidente di Long Term Partners, si sono confrontati su questi temi Francesco Pugliese, amministratore delegato di Conad, Cristina Scocchia, amministratore delegato di L’Oreal e Massimo Costa, country manager di WPP. Nelle strategie di crescita intraprese da Conad negli ultimi dieci anni, che hanno fatto passare l’insegna da una quota di mercato della private label dal 12% al 28% l’advertising è stato cruciale: «Questo non si può fare senza investire in pubblicità - dice Pugliese -. Noi siamo i primi investitori della GDO, impegnati in comunicazione anche non tradizionale nelle piazze italiane, perché la marca per essere saliente deve rappresentare una comunità». Quando la pressione promozionale supera il 40% «la marca cessa di essere tale. Perché la marca non è un prezzo ma un valore nella testa» afferma Pugliese. L’Oreal si è focalizzata sui brand principali, «tagliando marche e liberando risorse che l’headquarter francese ci ha permesso di reinvestire nella crescita, anche e soprattutto in un periodo di crisi. L’investimento costante in adv ci ha fatto conquistare 1,4 milioni di consumatori in più» spiega Scocchia. Che aggiunge: «Bisogna conoscere meglio il consumatore italiano per non incorrere in una comunicazione stereotipata. Inoltre l’innovazione è fondamentale ma non la facciamo abbastanza bene». In questo contesto si inserisce il discorso del digitale, ancora indietro anche per colpa di un management in generale poco avvezzo a farne uso, per un gap culturale e anagrafico. Per Costa il mercato italiano, che ha perso rilevanza come ha spiegato il ceo e chairman di Mindshare Roberto Binaghi, «deve tornare a essere un player rilevante, nell’interesse stesso dell’Europa. Ma bisogna dire che in Italia è difficile fare business, inoltre il nostro è un Paese manifatturiero dove i servizi non sono predominanti e tante multinazionali straniere se ne sono andate». Un altro problema sono i dati, le profilazioni, sui quali le aziende sono ancora poco disposte a investire. Infine, è necessario un cambio di mentalità: «Noi passiamo il nostro tempo a raccontare il cambiamento, ma poi gli amministratori delegati ci chiedono sempre il 30 secondi» ha concluso Massimo Costa.