Autore: Redazione
28/06/2016

Lo stato dell’arte del programmatic adv

Emerge il consenso della industry su alcune tematiche da prendere in considerazione per ripristinare la fiducia nella automazione dei media

Lo stato dell’arte  del programmatic adv

Dal Digital Marketing Summit, organizzato dall’impresario Terry Kawaja dell’ad tech investment banking Terry Kawaja per riunire intorno allo stesso tavolo le aziende che alimentano il mondo della pubblicità programmatica, è emerso il consenso su alcune misure specifiche che devono essere prese al fine di ripristinare la fiducia nella automazione dei media. Le persone non sono “utenti” L’ad tech non si distingue certo per la sua capacità di prendere in considerazione i desideri delle persone. Al contrario, è troppo spesso focalizzata sui volumi: spingendo il maggior numero di impression attraverso i canali programmatici. Le aziende di ad tech sono solite vantarsi di quante impression hanno visto e servito. Poi è diventato chiaro quante di queste “impression” non erano preziosi, erano bot o annunci che non potevano essere visti da un essere umano reale. La trasparenza non è un optional L’attuale sistema d’intermediazione rende difficile per i marketer capire chi stanno pagando e per cosa. Il rapporto ANA ha messo a nudo le regole del gioco, con i fornitori di ad tech che pagano le agenzia in cambio dello status di fornitore “preferito”. Un marketer si trova a dover pagare per la data-management platform, la demand-side platform, l’agenzia, i dati di terze parti, il sistema anti-frode, lo specialista di attribuzione e altro. Questo schema ha portato alla “ad tech tax” con un “intermediario in cima agli intermediari” e spesso senza prezzi trasparenti. L’ambiguità e la complessità di questo sistema ha causato la diffidenza degli inserzionisti, e gioca un ruolo importante nell’aumento di chi vuole portare gli acquisti programmatici in-house. La qualità deve trionfare sulla quantità Per troppo tempo, il programmatic è stato in fondo alla lista delle preoccupazioni dei marketer. In parte a causa di una promessa solo in parte mantenuta e cioè quella del targeting perfetto, senza sprechi. E in parte perché gli annunci in programmatic sono spesso sotto-consegnati, cioè si verificano retargeting ripetuti per prodotti già acquistati. Per molti clienti, il programmatic è stato sinonimo di real-time bidding in ad exchange. E’ stato a lungo legato del culto dei grandi numeri, ma poi il vento ha girato a vantaggio di private deal con publisher attendibili. Una sorta di democratizzazione ideale degli scambi che permetterebbe a siti di piccole dimensioni con buone audience a competere con i siti più grandi con profondi legami con gli inserzionisti.  Ma alla fine, il rischio si è dimostrato troppo alto, portando al ritiro dei private-marketplace deal. Premiare la creazione di valore Cattivi incentivi generano cattivi comportamenti. Il sistema dei media digitali ha per troppo tempo premiato l’ultimo click e incentivato intermediari per trovare punti deboli in deboli sistemi di attribuzione. La corsa al retargeting ha un motivo: l’unica cosa che conta è che un server risponda a una chiamata, non che una persona abbia visto effettivamente l’annuncio. Perciò vengono messi in atto ogni sorta d’imbrogli per fare in modo che le impression vengano servite e non visualizzate. L’Association of National Advertises (ANA) si aspetta che l’ad fraud abbia un costo di 7,2 miliardi di dollari. Secondo comScore, l’8% di tutto il traffico video non è valido. I clienti dovrebbero prendere controllo e responsabilità Sono i marketer che hanno i budget da spendere per raggiungere le persone. Tutti gli altri stanno nel mezzo. Fino ad oggi, la maggior parte degli investitori non sono riusciti a prendere il controllo del programmatic. L’indagine tanto annunciata dell’ANA sugli “sconti”, deriva da anni di procurement-led con margini di agenzia pari a zero. Le agenzie a sorpresa hanno trovato flussi di reddito alternativi come venditori di programmatic. Non c’è da stupirsi che molti marketer stiano cercando di portare l’acquisto programmatic in house. E lo stanno facendo perché non si fidano delle loro agenzie. Allo stesso tempo, la complessità della filiera dei media digitali ha protetto i marketer dalla responsabilità per la frode, il traffico non umano e altri imbrogli. Il periodo della testa sotto la sabbia sta giungendo al termine, visto che i marketer stanno prendendo il controllo delle strategie programmatiche, anche se non sempre della loro esecuzione. Gli investitori diventano così responsabili dell’esecuzione e monetizzazione dei loro annunci. Ma il tocco umano, sia attraverso un’agenzia sia attraverso un managed-service provider, è ancora necessario.