Mark Waugh, global managing director of content presso Publicis Media, ha esplorato il potere della virtual reality nuovo motore di “immersione nelle storie” insieme a Bryn Mooser, ceo e co-fondatore di RYOT, e Thalia Mavros, fondatore e chief executive di The Front
L’uso della virtual reality (VR) per la creazione e fruizione di contenuti si sta rapidamente espandendo non solo nel gaming, sua prima destinazione d’uso, ma anche in settori come entertaiment, film documentari e persino comedy, alimentato da una nuova generazione di filmmaker. Anche i marchi cercano di rafforzare ulteriormente la loro differenziazione attraverso esperienze di VR sperimentando sempre nuovi modi per raggiungere l’engagement.
L’acquisizione del premiato studio di produzione di VR RYOT da parte di AOL nel 2016 ha segnato uno spartiacque nell’uso di questa emozionante tecnologia da parte delle aziende di media. Mark Waugh, global managing director of content presso Publicis Media, ha esplorato il potere di questa nuova opportunità di “immersione nelle storie” con Bryn Mooser, ceo e co-fondatore di RYOT, e Thalia Mavros, fondatore e ceo di The Front e ultimamente direttore creativo ed esecutivo di VICE Media. The Front è una nuova forza media, culturale e creativa, un incubatore fondato sul femminismo. Il suo team esecutivo composto da sole donne sviluppa e produce storie attraverso un punto di vista femminile alternativo. Ogni storia diventa un’opportunità per coinvolgere comunità, artisti, attivisti, musicisti, scienziati, designer e marketer per creare un universo che non vive solo nella realtà virtuale ma la sfrutta per amplificarne l’impatto sull’umanità.
VR come motore della differenziazione
«Il primo motivo per il quale i media investono in VR è perché la differenziazione è l’obiettivo chiave da raggiungere per tenere alto il livello di coinvolgimento del pubblico?», chiede Mark Waugh ai due creativi che condividono con lui il palco.
«Senza dubbio», risponde Mooser. «Quando abbiamo iniziato a fare esperimenti con la VR e i video a 360 gradi ci siamo resi conto di essere esattamente di fronte al media che stavamo cercando. Ci ha offerto per la prima volta l’opportunità di trasportare letteralmente le persone nella scena presentata o rappresentata, un tuffo nella realtà come nessun media ha potuto fare prima. Oggi investire in queste tecnologie può apparire troppo sfidante ma vale la pena di correre il rischio».
«La VR è la nuova casa dei contenuti - incalza Mavros -. Ho creato questa company per portare le donne dietro la camera e trasformare e creare cambiamento dall’interno, usando la sensibilità femminile per creare esperienze del tutto nuove, potenti non più semplicemente contenuti per mobile, ma mobili in sé che viaggiano con le persone».
VR come antidoto alle fake news
Nuovi modi di fruizione e creazione ma anche nuove opportunità per alzare la qualità dell’intero environment. Un tema che emerge dalla conversazione, infatti, è quello del fenomeno delle fake news, e il moderatore si è domandato se la VR possa rappresentare un antidoto a questo problema.
Mooser non ha dubbi, «Essere in un luogo attraverso un media non è come leggere un articolo o guardare un tg, la VR ha il potere di rendere equo l’ambiente, nulla può essere nascosto. I nuovi modi di raccontare storie (360/VR/AR/MR e così via), in particolar modo per i documentari, mi rendono entusiasta come filmmaker, ma ripensare fruizione e creazione è una sfida anche in termini di mantenimento di un contatto con ciò che è davvero reale». «Le persone che fruiscono esperienze immersive non devono usare l’immaginazione altrui, possono semplicemente usare la propria e sviluppare un ricordo e un’opinione del tutto personale», continua Mavros.
Etica e alienazione
Una delle più grandi sfide della VR, secondo i tre speaker è da giocarsi nella sfera etica e riguarda l’individualità dell’esperienza di fruizione. Il timore è che indossare dei visori per vivere una realtà che non è tale, possa portare ad una sorta di alienazione da quella che è la realtà tangibile. «Bisogna educare le persone affinché non si presenti realmente questo rischio, per molti, soprattutto le nuove generazioni, apparirà del tutto naturale consumare contenuti in questo modo, ma la direzione non è prevedibile», spiega ancora l’energica speaker femminista. «Un momento molto importante è anche quando si toglie il visore», continua Mooser. «La percezione iniziale della realtà cambia per poi tradursi in una realizzazione mentale dell’esperienza che si è appena vissuta».
Come devono comportarsi i brand?
L’esperienza virtuale può amplificare il piacere della fruizione regalando emozioni nuove ma anche sensazioni fisiche. La cosa importante è investire, in buoni contenuti, in talenti, nel creare storie che abbiano un valore, investire in piattaforme e soprattutto in promozione.
«A prescindere dal medium, la brand value deve avere una direzione umana la domanda da farsi è a cosa serve un messaggio, deve intrattenere, emozionare, informare, indignare, non importa ma deve essere creato con trasparenza e focalizzato a creare un’esperienza di fruizione positiva - commenta Mavros -. Non solo per i consumatori ma anche per elevare il brand stesso e rafforzare le relazioni con i consumatori in modo ancora più intenso e interattivo. Credo che ci sia un’urgenza di diffondere la cultura delle nuove tecnologie, con formazione e training ad hoc e trovare nuovi modi per rendere la creazione e la fruizione meno costosa cosa che rappresenta ancora un grosso problema per il comparto. Bisogna rischiare, collaborare perché il mondo ha bisogno di confronto tra cervelli, ce ne sono di meravigliosi lì fuori perché con la VR possiamo cambiare il mondo e anche se sembra retorico, è davvero cosi».