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Ad Blocking: in Italia fenomeno stabile con bassa penetrazione sul mobile

Autore: S Antonini


A rilevarlo la wave relativa a novembre di “Lo stato dell’arte dell’Ad blocking in Italia”, promossa dalle principali associazioni: Assocom, FCP-Assointernet, Fedoweb, IAB Italia, Netcomm e UPA

Giunge alla sua seconda edizione l’indagine nata per monitorare il fenomeno dell’ad blocking nel nostro Paese: “Lo stato dell’arte dell’Ad blocking in Italia”, promossa dalle principali associazioni rappresentanti la industry: Assocom, FCP-Assointernet, Fedoweb, IAB Italia, Netcomm e UPA, coordinata da GroupM e commissionata a comScore e Human Highway.  

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Il progetto nasce per comprendere quanto e quale valore dell’attuale modello della pubblicità digitale potrebbe essere messo a rischio o quali nuove opportunità potrebbero nascere da un’evoluzione del sistema. Realizzata nel novembre 2016, l’indagine mostra rispetto alla prima wave (maggio 2016) come l’incidenza dell’ad blocking in Italia rimanga contenuta e il fenomeno sia sostanzialmente stabile: il numero degli utenti unici che hanno installato sul proprio PC un ad blocker resta fermo al 13%, al 15% le pagine bloccate (panel meterizzato).

Tre diverse fonti di dati ma un unico risultato in cui tutto il mercato si riconosce: un unicum italiano.

Va ricordato che l’indagine si basa su tre diverse fonti di dati. Un unicum anche rispetto alle altre ricerche internazionali sull’ad blocking.

  • Panel meterizzato comScore: quantificazione di utenti unici e pagine viste con ad blocker installato su PC.
  • Indagine CAWI su panel Human Highway: quantificazione degli utilizzatori di ad blocker da mobile e da qualsiasi device nonché analisi dettagliata di motivazioni e modalità di utilizzo degli ad blocker.
  • Dati censuari forniti dagli associati FCP-Assointernet  per la quantificazione delle pagine con ad blocker attivo.
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I numeri chiave della CAWI

Anche in questo caso si confermano i dati della prima wave: 22,2% è la percentuale degli utenti che hanno dichiarato di aver installato un ad blocker su almeno un dispositivo di accesso ai servizi online. Il dato va interpretato alla luce delle seguenti considerazioni:

  • Non tutti i dispositivi utilizzati dagli utenti sono stati dotati di un ad blocker.
  • Non tutti i browser installati sui device degli utenti sono dotati di ad blocker.
  • Non tutte le pagine web chiamate dai browser con ad blocker sono prive di pubblicità.

Ne deriva che la maggior parte (65,7%) degli individui online (PC + smartphone) che utilizza un ad blocker lo fa in maniera tattica, ovvero configurando whitelist o mettendolo in pausa per accedere a pagine e siti di proprio interesse, selezionando i browser e i device su cui applicarlo.

L’incidenza dell’ad blocking in Italia viene così ricondotta alla percentuale rilevata dal panel meterizzato: il 13% di utenti che utilizza sul proprio PC un ad blocker e il 15% delle pagine ad-blockate rappresenta la reale dimensione del fenomeno nel nostro Paese (dato confermato dalla indagine interna FCP-Assointernet, che misura un 12,5% di pagine ad-blockate da desktop sul perimetro delle concessionarie che hanno partecipato all’indagine). Tra gli utenti di smartphone l’incidenza si riduce all’8%.

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Profilo dell’utenza e motivazioni dell’installazione

Rispetto alla prima wave si conferma il profilo degli user di ad blocker: prevalentemente maschile (65,3%), giovane (la fascia con maggiore incidenza è 25-34 anni col 25,9%), con elevato livello d’istruzione. Il fenomeno inizia a interessare le donne (34,7%). Per consentire una evoluzione del sistema e un contenimento del fenomeno l’indagine ha approfondito le ragioni per cui l’utente decide di installare un ad blocker su PC. L’ad blocker si conferma la risposta a una user experience negativa: formati giudicati troppo invasivi (50,7%) e eccessivo affollamento (47,2%) sono le due cause principali, a cui segue l’eccessiva frequenza (36,3%), il rallentamento dei tempi di caricamento dei siti (35,2%), una pubblicità non in linea con gli interessi degli utenti (23,1%). Negli smartphone la ragione principale dell’installazione è il rallentamento dei tempi di caricamento dei siti (40%), ma preoccupa anche il consumo del traffico dati (37,8%).

Consapevolezza della pubblicità

La seconda wave conferma come rimanga significativa la conoscenza del cosiddetto patto pubblicitario, ovvero la consapevolezza da parte dell’utente della pubblicità come fonte di finanziamento di contenuti free: 42,7% tra gli utilizzatori di ad blocker. Sale dal 50,8% al 56% la quota degli utenti “recuperabili”, cioè di coloro che avendo installato un ad blocker sarebbero disposti a rinunciarvi a fronte di un ambiente online più user friendly.

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Focus su utenti ecommerce

Rispetto alla prima wave è stato aggiunto un focus sugli utenti ecommerce, un’utenza generalmente più matura nella fruizione di internet, su cui l’indagine ha confermato un’incidenza maggiore del fenomeno:  il 27,9% degli acquirenti online utilizza un ad blocker. Tra gli utenti di smartphone l’incidenza si riduce all’8,9%.

Conclusioni

L’indagine inter associativa sull’ad blocking proseguirà nei prossimi mesi con successivi aggiornamenti, per monitorare il fenomeno e settare eventuali contromisure. In particolare le associazioni promotrici dell’indagine stanno lavorando su Tavoli ad hoc non solo per quantificare e comprendere il fenomeno, ma per realizzare uno sforzo comune finalizzato al miglioramento del sistema. Vale a dire recepire e soddisfare con sempre maggiore puntualità le istanze dell’utente, sensibilizzandolo nel contempo al rispetto del “patto pubblicitario” su cui la industry del web si basa.

Giovanna Maggioni, UPA

Dalla ricerca emerge anche che due tra le principali motivazioni per attivare l’adblocking sono il rallentamento nel caricare i siti, dovuto alla pesantezza di alcuni oggetti pubblicitari, e il consumo eccessivo di traffico dati a causa della medesima ragione. «Due indicazioni molto significative, e importanti per noi - spiega Giovanna Maggioni, direttore generale di UPA -. Questi dati confermano che il consumatore attiva l’adblocking non tanto perché infastidito dalla pubblicità, ma perché l’adv troppo pesante influisce negativamente sulla sua esperienza in internet. Questo ci permette anche di dare suggerimenti alle aziende sull’utilizzo di creatività digitali più fruibili». UPA partecipa alla ricerca per avere informazioni approfondite anche sui profili degli utenti dell’ad blocking. Infatti, una ulteriore informazione che UPA giudica fondamentale è quella relativa ai target. «I dati sui target - dice ancora Maggioni - ci consentono di capire in che modo e che tipo di penetrazione ha l’utilizzo del blocco della pubblicità sulle diverse categorie di consumatori».

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Daniele Sesini

È soddisfatto dei risultati della ricerca Daniele Sesini, direttore generale di IAB Italia: «Siamo contenti nel commentare un fenomeno che non si sta ampliando. Non c’è incremento né nel tasso di penetrazione né in termini di fruizione. La paura, peraltro giustificata, che tutti gli operatori avevano riguardo una possibile crescita della pratica dell’ad blocking è stata in qualche modo bilanciata da risultati stabili e in linea con la maggior parte dei mercati esteri».

«Un dato particolarmente positivo riguarda la consapevolezza della pubblicità come fonte di finanziamento per chi produce e veicola gratuitamente i propri contenuti, che è in aumento. Gli utenti stanno acquisendo consapevolezza del patto. E soprattutto la quota di recuperabili è in ascesa. Penso che queste due tendenze siano la conferma del lavoro che stiamo svolgendo a livello inter associativo tanto in Italia quanto a livello globale, per esempio con la Coalition for Better Ads».

«I temi dell’advertising di oggi sono diversi e li stiamo trattando e approfondendo con impegno ed un elevato livello tecnico. Parliamo di trasparenza, misurazione, brand safety e viewability, tutti fenomeni che stiamo monitorando con grande attenzione. Tornando all’ad blocking voglio porre l’attenzione sul mobile: il tasso di dispositivi bloccati è molto basso e penso che questo sia un’opportunità per proseguire il lavoro svolto fino a ora ed evitare che errori commessi in passato su desktop si ripetano. In sintesi, occorre costruire ambiente pubblicitario di valore per utenti, editori e inserzionisti».


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incarichi e gare

Autore: Redazione - 24/04/2024


KFC Italia sceglie KIWI come nuovo partner per la gestione dei social

Si arricchisce di una collaborazione di grande valore il 2024 di KIWI che, a partire da questo mese, è ufficialmente il nuovo partner per la gestione dei canali social di Kentucky Fried Chicken Italia, l’iconica e leggendaria catena di fast food specializzata in pollo fritto. La unit di Uniting Group, scelta da KFC a seguito di una gara, assume l’ownership dei canali Meta (Facebook e Instagram, con l’obiettivo di aprire anche Threads), LinkedIn e TikTok del brand. “La vittoria parte innanzitutto da una ricerca approfondita sul tone of voice. Abbiamo identificato nell’autenticità, nella schiettezza e nella boldness, che da sempre appartengono al brand, degli ottimi punti di partenza per rivolgerci alla GenZ e ai Millennial che sono il pubblico per eccellenza di KFC. Si tratta di un brand unico e amatissimo in tutto il mondo, con un prodotto e degli asset di comunicazione inconfondibili e potenzialità social ancora parzialmente inespresse in Italia”, afferma Andrea Stanich, Direttore Creativo Esecutivo di KIWI, Part of Uniting Group.  La strategia L’attenzione di KIWI sarà molto concentrata sulla crescita e sul coinvolgimento sempre maggiore della community. Anche i lanci, le promo, le aperture, i servizi e le innovazioni tecnologiche saranno comunicate senza perdere di vista l’intrattenimento. Una gestione del community management informale e diretta contribuirà ad alimentare il dialogo quotidiano con gli utenti. “Una parte rilevante del piano social di KFC - prosegue Federica Pasqual, COO di KIWI e Freshhh, Part of Uniting Group - sarà costituita da contenuti video originali agili e veloci, che ci piace definire ‘snackable’. Oggi più che mai è fondamentale affiancare i nostri brand partner intercettando le opportunità di comunicazione e i trend in modo istantaneo; questo, nel day by day, viene facilitato dalla collaborazione con la unit Freshhh, nata inizialmente come spin-off di KIWI, realtà che può contare, dall’ultimo quarter del 2023, su uno spazio produttivo dedicato”.  Dieci anni di pollo fritto in Italia KFC, società del gruppo Yum! Brands, è leader mondiale nel settore dei ristoranti che servono pollo fritto. Nato oltre 70 anni fa e presente in Italia da 10 anni, il brand ha avuto nel nostro Paese una crescita che l’ha portato oggi a 87 ristoranti in 15 regioni, con l’obiettivo di arrivare a 100 locali entro la fine dell’anno. Il gusto unico del pollo fritto di KFC si deve al Colonnello Sanders, fondatore del brand e inventore dell’Original Recipe, la ricetta che contiene un inimitabile mix segreto di erbe e spezie e che ancora oggi viene preparata come una volta nei ristoranti di Kentucky Fried Chicken. “Cercare ogni giorno di costruire una relazione sincera e coinvolgente con il nostro target di riferimento rappresenta uno degli obiettivi principali per i prossimi anni, forse la chiamerei una missione. La GenZ è la nostra audience, vogliamo rivolgerci loro in maniera diretta e convincente - afferma Marzia Farè, Chief Marketing Officer di KFC in Italia -. La scelta dei temi, dei canali, del linguaggio e il tono di voce da adottare diventano pertanto ogni giorno più cruciali; vorremmo esser riconosciuti come contemporanei e autentici e credo che la collaborazione con KIWI possa davvero esser l’occasione giusta per far un passo ulteriore di crescita in questa direzione. Il team KIWI che ci affiancherà è pieno di energia e voglia di fare, abbiamo le premesse migliori per far bene e divertirci”.

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spot

Autore: V Parazzoli - 09/04/2024


Lorenzo Marini Group firma “Il divino quotidiano” di Amica Chips, con una versione più “rispettosa” in tv e una più trasgressiva sui social

È on air la nuova campagna tv Amica Chips, realizzata, dopo aver vinto la relativa gara, da Lorenzo Marini Group, che propone una comunicazione fuori dagli schemi tradizionali con un linguaggio ironico, forte e trasgressivo, destinato a colpire un target giovane non abituato a messaggi “televisivi tradizionali” ma a stilemi narrativi social. Non a caso, dello spot sono state approntate una versione più “provocante” appunto per i social e una più rispettosa di un target tradizionale per la tv, con planning sempre di Media Club. Il film Le protagoniste dello spot sono delle novizie, riprese in fila sotto al chiostro del monastero mentre si apprestano ad entrare in chiesa. In sottofondo si sente la musica dell’“Ave Maria” di Schubert, eseguita con l’organo che accompagna questo ingresso. Le novizie sono in fila verso l’altare e la prima sta per ricevere la comunione dal prete celebrante…In quel momento si sente il suono della croccantezza della patatina, un “crunch” amplificato in perfetto sincrono con il momento in cui la prima novizia ha ricevuto l’ostia. Le altre in fila, al sentire il “crunch”, sorridono divertite e guardano nella direzione da cui proviene il rumore “appetitoso e goloso” della patatina croccante. La Madre Superiora infatti è seduta in sagrestia e, rilassata in un momento di pausa, sta mangiando con gusto le Amica Chips prendendole da un sacchetto che tiene in mano. Pack shot con le patatine Amica Chips e in super appaiono logo e claim di campagna “Il divino quotidiano”. Obiettivi e target L’obiettivo principale della comunicazione è quello di riaffermare il ruolo da protagonista di Amica Chips in comunicazione, da sempre protagonista di campagne forti e distintive con un tono da leader, per aumentare la percezione del suo valore di marca e consolidare la sua brand awareness. La campagna, che vuole sottolineare l’irresistibilità del prodotto ed esaltare la sua croccantezza superiore, sarà sviluppata con un sistema di comunicazione integrato teso a massimizzare l’impatto e la copertura di un target 18–54 anni, con particolare focus per la parte più giovane (18-35) sui canali digital e social. Un target che, in chiave psicografica viene descritto come composto da persone che nella loro vita ricercano ironia, divertimento e simpatia e che hanno un atteggiamento sociale aperto ed evoluto, con una ricerca continua di uscita dagli schemi convenzionali. Il messaggio vuole esprimere, con forte ironia “british”, un contenuto di prodotto legato al momento dello snack e, attraverso una descrizione iperbolica e provocante, esprimere il valore della croccantezza irresistibile della patatina Amica Chips. Si vuole rappresentare, in modo palese e senza fraintendimenti di tipo religioso, una situazione “chiaramente teatrale e da fiction”, tratta da citazioni del mondo ecclesiastico già abbondantemente trattate nella cinematografia mondiale, nelle rappresentazioni teatrali e nella pubblicità. Lo spot 30” verrà programmato sulle reti Mediaset, Cairo e sulle CTV, oltre che sui canali digitali. Il commento «Le patatine sono una categoria mentale compensativa e divertente – spiega Marini a Dailyonline -.. Hanno bisogno di comunicazioni ironiche, giovani e impattanti. L’area semantica della serietà è noiosa, funziona per prodotti assicurativi o farmaceutici. L’area del divertimento e della giocosità si sposa benissimo invece con questo settore». Credits Direzione creativa: Lorenzo Marini Copywriter: Artemisa Sakaj  Planning strategico e direzione generale: Ezio Campellone Account service: Elma Golloshi Casa di produzione: Film Good Executive producer: Pierangelo Spina Regia: Dario Piana Direttore fotografia: Stefano Morcaldo Producer: Sara Aina Musica: “Ave Maria” di Schubert – esecuzione di Alessandro Magri  

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