Piattaforme che hanno ormai preso le sembianze di vetrine, influencer che si muovono come moderni “commessi creativi”. Come si sta evolvendo il settore? Le risposte di Marco Magnaghi, Chief Digital Officer dell’agenzia
La comodità non sembra conoscere freni o frontiere: parafrasando Maometto alle prese con qualche montagna, se non posso andare in un negozio, sarà il negozio a raggiungermi. Un proposito che si è fatto sempre più concreto via via che trascorrevano questi ultimi due anni conditi di emergenze e chiusure. E così il social commerce ha preso piede, grazie alla tribù globale che si muove sulle piattaforme di condivisone di pensieri, foto, idee e prodotti. Wavemaker è molto interessata e decisamente operativa sull’argomento, quindi quale migliore occasione per chiedere delucidazioni sul mercato a Marco Magnaghi, Chief Digital Officer dell’agenzia? Tra presupposti, attualità e possibili sviluppi, ecco le sue risposte (un sunto delle quali può essere ascoltato anche sull’ultima puntata di DailyOnAir, presente su questo numero).
Perché il social commerce è diventato così importante?
«Partiamo dal punto fondamentale che vede l’e-commerce protagonista anche sul fronte delle piattaforme social. Si sono creati due fenomeni: le piattaforme sono diventate vere e proprie vetrine e, nel contempo, è cresciuto il ruolo degli influencer. Nell’ultimo biennio, a causa delle varie emergenze, la nostra esistenza in rete è diventata più attiva. Vivere in maniera più profonda l’esperienza digitale ci ha chiaramente spinto a renderla sempre più immersiva. Esistono, quindi, ragioni tecniche e motivazioni di ordine culturale e sociale».
Quali sono le caratteristiche del social commerce?
«Ci sono tre modalità differenti: utilizzo di post statici, con le immagini relative ai prodotti, oppure legati al video, solitamente con reel e stories sui social e, in ultimo, ci sono i live shopping, veri e propri programmi in diretta social. Si tratta di versioni incrementali. È un mondo che cresce, che si evolve, che deve ancora maturare alcuni step fondamentali. Negli Stati Uniti, per fare un esempio, si sperimenta sui shop social che portano direttamente all’acquisto all’interno della piattaforma social, senza dover rimandare al sito del brand».
Dove è più diffuso il fenomeno, dove si riscontrano i maggiori risultati?
«Ci sono delle categorie più o meno affini a un mondo che nasce nel Far East e che poi ha ha avuto un’accelerazione importante in Nord America nel periodo pandemico. In Cina le persone, con l’utilizzo quotidiano di WeChat sono state subito abituate a operare in un ambiente che cumula tutte le esperienze: intrattenimento, condivisione, promozione, commerce. Tra le categorie elettive, in primis direi beauty e fashion, che hanno dovuto cambiare giocoforza filosofie operative, non potendo fare più affidamento per molto tempo sulle visite negli shop fisici. Poi ci sono il food e l’elettronica».
Cosa serve per farsi notare, per non farsi dimenticare?
«Tanta ispirazione e… un prezzo contenuto. Ovviamente stiamo parlando di quell’utenza che non ha ancora le idee chiare, che ha bisogno di stimoli, di scoprire i trend, che trova la strada sulle stories o attraverso i live streaming. Tutto quello che può essere spiegato diventa significativo. Per fare qualche esempio: le persone magari vanno su TikTok, tra i social più frequentati in ambito food, e raccontano le loro esperienza con i prodotti acquistati citando l’hashtag #tiktokmadebuyit, come per esempio con il cibo, come ben evidenziato da una recente case history riguardante la Feta, che in Inghilterra, partendo da un unico contenuto,ha portato alla creazione di oltre 72.000 video sull’argomento, al punto che è entrato in commercio un kit che utilizza proprio gli ingredienti di molte ricette raccolte in quei video».
Quando si entra in un discorso commerce c’è sempre il rischio di risultare invasivi…
«Non in ambito social, dove puoi semplicemente andare avanti senza soffermarti qualora l’argomento non destasse la tua attenzione. Quello che conta è invece la spontaneità. La soglia di ingresso si è abbassata e può essere una minaccia, tutti potrebbero farsi avanti e diventare influencer. Ed è lì che devi risultare spontaneo e credibile. Ecco perché TikTok è una community di content creation, non solo più influencer. Lo stesso Pinterest si propone come motore di ricerca d’immagine e ha un indice di penetrazione molto alto sui boomers; TikTok è più mobile, gioca sulla rapidità, anche in forme borderline, ma sempre seguendo un flusso. In Twitch, invece, ci sono trasmissioni con palinsesti verticali concepiti da un pubblico più giovane, che nasce dal gaming ma si allarga ad altri profili.».
TikTok è quindi lo spazio più significativo per fare social commerce in maniera appropriata?
«Ha sicuramente un alto grado di engagement. Ma il traffico è ovunque, perché tutti ragionano sui format classici, sugli shop e anche sui contenuti alternativi. Le varie piattaforme stanno studiando programmi di affiliazione. Se i social diventano negozi, gli influencer sono i nuovi “commessi”, un lavoro che però svolgono in maniera spontanea, forti di una grossa credibilità. E di fatto si trasformano anche in creativi, dovendo tra l’altro reggere la pressione, la sollecitazione del pubblico, come dei novelli presentatori televisivi».
Evoluzioni?
«Grandi brand stanno cercando di lanciare canali paralleli. Walmart, ad esempio, ha inaugurato un canale Shop Live, un sito con un palinsesto vero e proprio, con temi dedicati, con rubriche sul costume, la società e i trend. Le piattaforme parallele rappresenteranno il prossimo futuro. Futuro nel quale l’operatore dovrà studiare e capire i desideri dei clienti nei differenti contesti, avvicinarsi ma senza perdere le proprie caratteristiche. Non bisogna per forza entrare o adattarsi forzatamente a ogni contesto, perché se poi non si sa come comunicare il gioco non funziona».
Chi sono gli utenti?
«C’è trasversalità, certo i giovani appaiono più impegnati, ma non stiamo parlando certo di ragazzini, più di una fascia centrale che prelude ad anni più maturi. E poi dipende molto dai prodotti».
Come si muove Wavemaker sul campo?
«Abbiamo un team Content molto forte che conosce al meglio le logiche social e legate allo sviluppo di contenuto e creatività; al team di pianificazione digitale si sono affiancati negli anni specialisti dedicati all’e-commerce e alla Tecnologia. Questi gruppi con competenze verticali dovranno convergere sempre più, per poter arrivare a costruire soluzioni “chiavi in mano”, in cui live, campagne media e commerce risultino perfettamente integrati».