Le famiglie italiane spendono oggi 17 miliardi di euro in meno rispetto a quanto facevano nel 2007. E secondo gli ultimi dati, nel 2019 la spesa ha rallentato di nuovo: nei primi sei mesi dell’anno scorso è diminuita di 43 milioni di euro; e l’anno si è chiuso con una dinamica più bassa di mezzo punto rispetto agli altri grandi paesi europei
Dopo dodici anni, la crisi dei consumi non è ancora stata archiviata: le famiglie italiane spendono oggi 17 miliardi di euro in meno rispetto a quanto facevano nel 2007. E nel 2019 la spesa ha rallentato di nuovo: nei primi sei mesi dell’anno scorso è diminuita di 43 milioni di euro; e l’anno si è chiuso con una dinamica più bassa di mezzo punto rispetto agli altri grandi paesi europei. È quanto emerge anche dai dati diffusi da Confesercenti in occasione della Convention 2019 organizzata dall’associazione di piccole e medie imprese a Venezia. A non aver recuperato sembra siano soprattutto le spese per i trasporti (-12% rispetto al 2007), quelle per cibi e bevande (-6%) e per la moda (-4%). L’abbigliamento, in particolare, è una “crisi nella crisi”: la spesa delle famiglie per il vestiario è quella che è stata tagliata per prima, per un totale di oltre 2 miliardi di euro di spesa in meno. Crescono solo le spese in telefonia, audio, video-foto (più che raddoppiate a prezzi costanti), per la sanità (+3%), per vacanze, pasti fuori casa (+9%) e consumi digitali. Nessun altro grande paese dell’Unione Europea è in queste condizioni.
Redditi troppo bassi
Da quando è scoppiata la crisi, l’Italia ha perso, ogni anno, 16 miliardi di consumi nei confronti della Germania, 9 miliardi rispetto a Francia, Olanda e Portogallo, 2 miliardi relativamente alla Spagna. Se il confronto viene fatto al di fuori dell’euro, la perdita annua supera i 25 miliardi rispetto al Regno Unito e sfiora i 30 miliardi nei confronti degli Stati Uniti. I consumi sono penalizzati dalla debolissima dinamica dei redditi delle famiglie. Dal 2007 a oggi, infatti, i redditi da lavoro sono aumentati in Italia del 18%, contro il 55% della Germania, il 30% dell’Olanda e della Francia, il 40% del Regno Unito e il 46% degli Stati Uniti. Ma a pesare è anche l’aumento del fisco, cresciuto nel periodo più velocemente dei redditi. Sempre dal 2007 a oggi, le imposte sono aumentate rispetto ai redditi solo in Italia (un punto percentuale in più) e in Germania (+1,7%), mentre sono diminuite, sempre rispetto ai redditi, del 28% in Portogallo, del 20% in Francia, del 10% in Spagna. Un bisogno di “cambiamento” necessario per uscire dallo scenario asfittico e immobile dell’Italia di oggi, che punti su clima, ambiente e sostenibilità. E proprio questo, in estrema sintesi, è il ritratto degli italiani che si affacciano sul 2020 secondo il sondaggio di fine anno di Coop-Nomisma e la previsioni del “Rapporto Coop”. È così che questa voglia di cambiare provoca contraccolpi sulla mobilità (è su quella green che investiranno di più), sulla tavola (il cibo è uno degli ambiti in cui intendono destinare maggiori risorse, facendo scelte che penalizzano il junk food e, per la prima volta, anche i piatti pronti) e si riverbera anche in una nuova modalità di partecipazione.
In prima persona
Così, gli italiani scelgono di spendersi in prima persona nelle occasioni ludiche (concerti e altro), ma anche nelle piazze: il 20% ha già manifestato nel 2019 e vorrà farlo ugualmente nel 2020. A dare questa ventata di energia nuova sono soprattutto Mezzogiorno e Centro Italia e un po’ ovunque gli under 35, determinati a trascinare con la loro volontà il Paese fuori dalla risacca. Ma sul fronte economico le difficoltà restano, con i consumi che anche nel 2020 faranno registrare una crescita stimata di circa mezzo punto percentuale in un quadro di accelerazione del Pil altrettanto contenuta. Il “cambiamento”, spiega la ricerca, passa, infatti, dal 14% delle citazioni del 2016 al 19% del 2020 e agganciati ad esso ruotano i termini fatti propri dalla cosiddetta “generazione Greta”. Gli italiani, infatti, sognano (anche se sanno di non poterlo fare) di “cambiare vita” (35%) e “cambiare lavoro” (27%) o addirittura “trasferirsi all’estero” (31%) e magari “andare in pensione” (44% del campione). In ogni caso la grande maggioranza degli italiani vorrebbe, finalmente, una crescita economica più robusta (85%), ma sa anche che non potrà essere così. Il 60% teme, invece, che lo spread torni a impennarsi. Ma la maggior parte prevede, comunque, di spendere di più nel nuovo anno. Al top delle spese obbligate e in aumento ci sono le bollette, il carburante e le spese per il trasporto e per i servizi sanitari. Oltre a quelle obbligate mantengono saldi positivi anche le spese per l’alimentazione, per i viaggi e ancora la cura personale.
Comperare cultura
Nel frattempo, l’ultimo rapporto di Federculture mostra che nel 2018, rispetto al 2008, si è registrato un calo in tutti i consumi culturali, fatta eccezione per siti e monumenti. Rispetto a dieci anni fa, ci sono meno italiani che leggono, meno italiani che vanno a teatro e meno italiani che vanno al cinema. Certo, ci sono roboanti incrementi per i siti culturali, ma probabilmente questi dati sono derivanti dalle attività di incentivo. La spesa complessiva per le attività culturali è aumentata, ma meno di quanto siano aumentate le spese “ricreative”. In questo quadro va anche compreso il grandissimo divario culturale che separa le differenti aree geografiche tra il Nord e il Sud su quasi tutte le dimensioni: se nel Nord-Est gli italiani che avevano letto un libro erano il 49%, al Sud la cifra crolla miserabilmente, toccando quota 30%; al Sud la spesa media per abitante al botteghino (anno 2017, spettacoli teatrali e musicali) è pari a 5,51 euro, al Nord è quasi il triplo (15,76). Dati che sicuramente vanno correlati anche alle dimensioni della spesa pubblica: al Sud, nel periodo che va tra il 2010 e il 2016, l’incidenza della spesa comunale per abitante per la tutela e la valorizzazione dei beni e delle attività culturali sul totale delle spese correnti è stata pari a circa il 5%, contro il 13,3% dei comuni del Nord. Non molto differente il quadro che separa la spesa mensile delle famiglie in attività ricreative, spettacoli e cultura: dal picco del Trentino Alto Adige (178, 80 euro) all’abisso della Calabria (64,3 euro).
Il settore dell’auto
Un’ultima considerazione, anche qui alla luce dei numeri, riguarda un comparto che risulta sempre significativo in chiave scenaristica, quello dell’automotive. Ebbene, a dicembre 2019 in Italia sono stati venduti 140.075 veicoli, in aumento del 12,5% rispetto allo stesso mese del 2018. Nonostante questo buon risultato di fine anno per le vendite auto del 2019, si conferma una situazione stagnante del mercato. In totale, nel 2019, sono state immatricolate 1.916.320 unità, con un piccolo incremento dello 0,3% rispetto al 2018, quando furono venduti 1.910.701 veicoli e si registrò un calo del 3,3% rispetto al 2017. Purtroppo le previsioni del mercato auto per l’anno corrente 2020 non sono per niente rosee. Pesa come un macigno l’incertezza economica e politica, interna e internazionale, alla quale si aggiunge l’introduzione dei nuovi limiti europei alle emissioni di CO2, con pesanti sanzioni che dovranno sostenere le case automobilistiche. Così, dopo i risultati tendenzialmente negativi nei primi nove mesi del 2019, la forte spinta nell’ultimo trimestre del noleggio a lungo termine e delle autoimmatricolazioni è scaturita in una performance del dato mobile a dodici mesi finalmente positiva.
Analizzando la domanda di autovetture per utilizzatori, emerge il nuovo, pesante, calo dei privati, che a dicembre archiviano una diminuzione delle immatricolazioni del 6,1%, a quasi 75.000 unità, con una perdita di quota di mercato di circa dieci punti percentuali, al 52,8%, rispetto a un anno fa. D’altro canto, salgono vigorosamente gli acquisti delle persone giuridiche, con il +34% del noleggio e il +52% delle società. Ma se la performance del noleggio è conseguenza della forte crescita del segmento a lungo termine (+48%, a 19.000 unità, con una quota che passa dal 10% al 13,2%), all’interno delle immatricolazioni a società sono le autoimmatricolazioni a fare la parte del leone (+74%, a 31.000 unità, con una quota che passa dal 13,9% al 21,6%), mentre le vendite ad altre società aumentano del 3,3%, a 8.500 unità, con una rappresentatività in diminuzione al 6%. Sul fronte delle alimentazioni si registra un calo a doppia cifra sia nel mese (-16,3%) sia nel cumulato delle vendite auto del 2019 (-22,2%) delle immatricolazioni di vetture diesel con, rispettivamente, 48.930 e 770.483 unità. Se il diesel scende, sale la benzina che con 68.883 unità rappresenta la motorizzazione con la quota di mercato più alta, con il 48,7% (+7,3% nel mese e nove punti percentuali in più nell’anno. Per concludere l’analisi del mercato di dicembre 2019 e dell’anno appena concluso, i trasferimenti di proprietà al lordo delle minivolture sono stati 320.799, in flessione del 4,9% rispetto ai 337.269 di dicembre 2018, portando il totale del 2019 a 4.185.530 unità, in contrazione del 5,4% rispetto ai 4.426.268 del 2018.