Un lungo articolo del Wall Street Journal ha passato in esame l’argomento, interessandosi alle mosse intraprese dalle holding media a circa un anno dalla pubblicazione del rapporto dell’ANA riguardo la mancanza di trasparenza nel mercato
Di Anna Maria Ciardullo
Negli ultimi anni, di pari passo con la progressiva diffusione del programmatic, le agenzie hanno intrapreso un business lucrativo basato sull’acquisto di inventory in blocco da contrassegnare per gli inserzionisti. All’inizio i clienti sono rimasti soddisfatti dell’efficienza del modello che, alle ottime performance è in grado di unire la semplicità di utilizzo, poiché non prevede una totale immersione nella complessità che c’è dietro all’acquisto di spazi pubblicitari digitali. Ma oggi, i marketer stanno diventando sempre più scettici riguardo a questo approccio e sono sempre più interessati a sapere nel dettaglio i profitti delle agenzie che li supportano se i costi rispecchiano la prestazione, i prezzi delle media inventory e dei processi, cosa che sta spingendo le agenzie ad evolversi per rispondere a questa necessità. A parlarne è un lungo articolo del Wall Street Journal.
Le agenzie
I clienti di Omnicom, ad esempio, hanno optato per una struttura contrattuale “disaggregata” che trasforma l’agenzia “principalmente in una figura di agente piuttosto che in quella di mero venditore” ha spiegato John Wren, chief executive di Omnicom durante una earning call il mese scorso. Un modello disaggregato, infatti, tipicamente comporta la specificazione dei costi anziché un approccio in cui i costi multimediali, costi di agenzia e spese tech sono un tutt’uno. Questo ha avuto un impatto: Omnicom ha dichiarato che il fatturato di acquisto di annunci digitali del primo trimestre del gruppo Accuen è stato “fondamentalmente piatto” e “sceso leggermente” in Nord America – uno spostamento rispetto ai precedenti trimestri di crescita.
Cambiare le richieste dei clienti è stata anche una motivazione per alzare il livello di trasparenza nelle attività di buying della pubblicità digitale di WPP nel settembre scorso, come riportato da alcuni dirigenti della società. Per esempio, il network di agenzie media GroupM ha trasformato il profilo delle sue operazioni di acquisto di annunci pubblicitari trasparenti spostandolo in una nuova unità di acquisto centrale denominata mPlatform. La piattaforma, che collega il commercio digitale con altre funzioni di acquisto digitali come la ricerca, promette di essere “completamente aperta e completamente trasparente a livello di dati e architettura tecnologica”, come ha specificato la società durante il suo annuncio. Dentsu Aegis, che già aveva concentrato l’attenzione sugli acquisti pubblicitari trasparenti negli ultimi anni, continua a investire in questo approccio, offrendo ai clienti nuovi controlli per quando scelgono di acquistare attraverso un modello che mascheri i costi.
Il rapporto ANA
Un rapporto dell’anno scorso redatto dall’Association of National Advertisers e K2 Intelligence ha descritto le modalità con cui le agenzie stanno guadagnando attraverso operazioni di acquisto di annunci digitali. Il rapporto ha motivato gli inserzionisti ad approfondire le relazioni con le agenzie e i modelli di buying chiedendo maggiore chiarezza per quanto riguarda i processi, incluse le disposizioni relative agli sconti da restituire e alle operazioni da sottoporre agli audit. Ad company come Publicis, Interpublic, WPP e Omnicom hanno ampiamente negato ogni errore relativo ai risultati del suddetto rapporto. Secondo il rapporto ANA sulle cosiddette overcommision, che ha smascherato la tendenza delle agenzie a lucrare sui media che vendono, spaziano da circa il 30% fino al 90%. Ma la crescita da alcuni di questi modelli di annunci digitali più tradizionali ha rallentato, costringendo le holding company evolversi. “Non ci aspettiamo che la crescita tocchi di nuovo i livelli dei primi anni ma il business è in salute e l’appiattimento è dovuto ad un semplice shift verso nuovi business model” ha aggiunto Wren.
Dentsu Aegis
Dentsu Aegis, una rete di agenzie di proprietà della società giapponese Dentsu, è stata testimone di cambiamenti nelle preferenze dei clienti per anni. A partire dalla metà del 2015 fino alla maggior parte del 2016, circa il 50% al 60% di un piccolo gruppo di clienti che avevano optato per il modello di acquisto non divulgato della società è passato a modelli alternativi che offrissero maggiore trasparenza nei costi associati all’acquisto di annunci, ha dichiarato lo stesso Robert Horler, ceo di Dentsu Aegis in USA. “Ci stiamo muovendo definitivamente verso un modello disclosed e il programmatic buying non divulgat orimane solo una piccola parte del nostro business programmatico in generale” ha continuato. Per eliminare le preoccupazioni future intorno al modello di acquisto non divulgato, il gruppo di agenzie ha introdotto lo scorso anno un processo di “doppio opt-in”, che chiede ai clienti di firmare un media plan in programmatic, line-by-line ogni volta che una campagna viene eseguita. Dentsu Aegis lo scorso settembre ha anche acquisito Accordant, un’azienda specializzata in digital buying che aiuta i clienti a acquistare i media attraverso un modello che descrive i costi.