Il tema della trasparenza nel settore del programmatic advertising è emerso con insistente prepotenza nel corso degli ultimi anni
Uno studio del World Federation of Advertisers (WFA), associazione che rappresenta aziende come P&G, L’Oréal e Emirates, ha scoperto che il 90% degli advertiser intervistati intende rivedere i propri contratti in ambito programmatic advertising ed è impegnato a richiedere maggior controllo e trasparenza. WFA ha consultato 59 dei suoi membri, rappresentativi di una spesa globale di oltre 70 miliardi di dollari.
L’importanza della trasparenza per WFA
Il tema della trasparenza nel settore del programmatic advertising è emerso con insistente prepotenza nel corso degli ultimi anni, guidando le conversazioni attorno a questioni come i bot, le frodi pubblicitarie e le pratiche di rivendita al rialzo di inventory precedentemente acquistate direttamente dagli editori comuni da parte di alcuni operatori lato supply. Secondo l’analisi, i marketer chiedono processi che garantiscano la sicurezza di una giusta fee tecnologica e di una piena ottimizzazione del budget.
In aumento la soddisfazione nei confronti dei trading desk
Tuttavia il livello di soddisfazione nei confronti dei trading desk è in aumento al 29%, dal 21% del 2014. Anche l’utilizzo dei private marketplace sta conoscendo una rapida espansione. Come riportato dalla ricerca, il 67% dei rispondenti ha dichiarato di aver incrementato la spesa in questa tipologia di comunicazione che consente un rapporto one-to-one tra domanda e offerta.
I brand puntano sulla in-house expertise
Cresce anche l’utilizzo dei trading desk in-house: circa 1 advertiser su 5 lo possiede e tra questi figurano nomi come Procter & Gamble e L’Oreal. Una tendenza che si riflette anche nel comportamento dei principali attori tech. Per esempio, Adobe, IBM e SAP hanno costruito delle soluzioni in grado di fornire agli advertiser la gestione in autonomia dei processi di buying nonché la trasparenza degli stessi. Come ricorda Business Insider, l’analisi del WFA segue di pochi mesi il rapporto dell’Association of National Advertiser (ANA), il quale aveva individuato una serie di pratiche scorrette e poco trasparenti nella compravendita della pubblicità in USA, con riferimento anche al segmento del programmatic.