Il giornalismo a 360 gradi secondo Sam Dolnick, responsabile dell’innovazione digitale del Times, che di recente ha assunto la qualifica di assistant editor
di Claudio Semenza
Il giornalismo in realtà virtuale, per i quotidiani italiani, è una “cosa nuova”. Corriere 360, del Corriere della Sera, è nato meno di un mese fa. E solo nel novembre scorso la Repubblica ha pubblicato un docu-video a 360 gradi dai luoghi del terremoto, che si è subito piazzato tra i cinque video più visti del canale Youtube del giornale. Negli Stati Uniti, invece, le inchieste in VR sono ormai realtà di ogni giorno: pioniere, ancora una volta, il New York Times che in un anno e mezzo è diventato protagonista assoluto del “giornalismo 360”.
Ecco, in sintesi, le tappe del cammino. Estate 2015: Jenna Pirog viene assunta dal quotidiano come VR Editor. E’ la prima giornalista con questa qualifica a varcare la soglia di un grande gruppo media americano. Novembre 2015: il New York Times lancia NYTVR, app per video a 360 gradi. Il giornale regala a oltre un milione di abbonati il Cardboard, visore in cartone per la realtà virtuale lanciato da Google. In pochi mesi l’app viene scaricata 600 mila volte. Tra gli obiettivi c’è anche quello di far diventare NYTVR l’app di riferimento per le grandi aziende che vogliano veicolare i loro video branded a 360 gradi. Gennaio 2016: Mark Thompson, Ceo del New York Times, avverte: “Già nel 2016 la VR ci porterà ricavi”. Agosto 2016: il New York Times acquista l’agenzia di marketing Fake Love, specializzata in branded content per realtà virtuale e aumentata: è il supporto VR al T-Brand Studio, la struttura che produce i contenuti “paid” del giornale. Novembre 2016: viene lanciato The Daily 360, in partnership con Samsung. Ogni giorno il quotidiano pubblica un video VR: i giornalisti sono dotati di telecamere Samsung Gear 360 e di equipaggiamento adeguato per realizzare servizi con la nuova tecnologia.
Sam DolnickProtagonista dell’innovazione digitale del New York Times è Sam Dolnick, 36 anni, membro della quinta generazione della famiglia Ochs/Sulzberger che controlla il giornale, e dallo scorso 3 aprile nominato anche assistant editor, con il compito di identificare nuove opportunità per distribuire i contenuti del giornale. Con lui DailyNet ha potuto realizzare un’intervista esclusiva, dui proponiamo gli elementi salienti.
«La realtà virtuale sarà sempre più presente nel giornalismo - spiega Dolnick -. Negli Stati Uniti tutti la stanno adottando: la CNN, i grandi network, ma anche il Washington Post, il Wall Street Journal e molti altri. Quando abbiamo iniziato la risposta alle nostre iniziative è stata straordinaria. Abbiamo regalato i Cardboard agli abbonati e su Twitter, su Instagram, sono comparse foto dei lettori che utilizzavano lo strumento, accompagnate da commenti entusiastici. Ogni volta che pubblichiamo un nuovo video la reazione è positiva”.
Cosa può dare in più al giornalismo la realtà virtuale?
«E’ un linguaggio rivoluzionario, che sa creare una relazione empatica; ti mette in contatto con le persone in un modo nuovo, puoi guardarle negli occhi come se tu fossi lì con loro.
E’ davvero uno strumento potente. Credo sia perfetta per trasportarti dove non puoi andare. Dopo gli attacchi di Parigi del 2015, ad esempio, filmammo le veglie sui luoghi degli attentati: tu indossavi il visore ed eri lì. La VR è anche molto spettacolare, molto adatta per proporre meraviglie, esperienze magiche. Abbiamo realizzato un video, “Take Flight”, che ti fa volare nel cielo, tra le nuvole”.
Voi avete esordito, ormai più di un anno fa, con il video “The Displaced”, un servizio che racconta la storia di tre bimbi rifugiati della Siria, dell’Ucraina e del Sudan. E’ un documento molto toccante, da vedere. Da allora avete realizzato dozzine di video. Ma la realtà virtuale è adatta per ogni tipo di inchiesta?
«No, non per tutte. Penso che si debba avere un buon motivo per realizzare un video in VR. Non lo devi fare solo perché è una cosa nuova e sai che funzionerà. Prima di affrontare una storia il giornalista deve chiedersi: “Ma è meglio fare un video tradizionale oppure un video a 360? E’ opportuno dare al mio lettore un’esperienza immersiva? C’è davvero qualcosa di questa storia che si può comprendere meglio se si indossa un visore?”. E poi bisogna considerare che l’esperienza VR è ancora molto complicata. Devi scaricare l’app, sistemare il tuo smartphone nel visore, poi indossarlo e mettersi le cuffie, far partire il video. Insomma, c’è ancora un gran lavoro da fare e la storia deve essere buona al punto che valga davvero la pena di fare tutto questo».