Sostiene il global ceo, a Milano per l’apertura della terza filiale europea del network: «L’advertising sta diventando un’esperienza personale. Gli insight editoriali potenziano la creatività. E ci permettono di realizzare UX migliori»
«L’advertising sta evolvendo in un’esperienza personale». Un concetto sempre più familiare nella dimensione digitale della pubblicità, ma sono ancora in pochi a crederci abbastanza da metterlo al centro della propria strategia. Nick Brien, global ceo di iCrossing e presidente di Hearst Magazines Marketing Services, è uno di questi. «Il digital marketing non si ferma più alla comunicazione, l’opportunità adesso è inserire l’utente in un contesto, fargli vivere un’esperienza. Il media non importa: in realtà, tre clienti in Usa e uno in Germania sono partiti con il digitale ma, poi, ci hanno chiesto di aggiungere l’above the line. Non bisogna partire da un canale, ma dal contesto nel quale inserire la persona», spiega a DailyMedia nell’incontro organizzato per l’apertura della sede italiana del network, che fa parte di Hearst.
Nata con un’anima search, iCrossing ha aggiunto negli anni competenze trasversali fino a diventare uno one-stop-shop per le aziende che intendono farsi pubblicità sul digital, una marketing agency per il mondo moderno, che sviluppa i suoi piani sugli individui più che sui prodotti. «L’AI, i chatbot e i digital assistant guadagneranno sempre più terreno nel campo dei motori di ricerca. Le persone scoprono le novità sui social, la search è diventata uno strumento legato all’intent. I chatbot però stanno diventando sempre più intelligenti e capaci di anticipare gli utenti, entrando a competere sul lato discovery. La usage globale della search, poi, è piatta, mentre crescono mobile search, che sta superando il desktop, visual search e voice search», spiega. Intenti che vanno stimolati attraverso l’advertising, sempre inteso come esperienza, ed è per questo che la società si è strutturata fino a raggiungere un team da 300 persone a livello internazionale, abili in tutti gli ambiti, dal creativo al più tecnico.
Nel 2010, poi, iCrossing è stata acquistata da Hearst. La relazione tra le due realtà, dice sempre Brien, è questa: «Ci possiedono, ma non ci controllano. Alcuni editori hanno creato agenzie interne che si occupano di produrre la migliore pubblicità sulle loro property. Il nostro rapporto con Hearst non è così. Noi gestiamo anche clienti esterni. Insomma, abbiamo un piede nei media e uno nell’advertising». Qual è il vantaggio? «Hearst possiede una grande mole di dati di incredibile valore e li utilizza per lavorare sui media.
Avere un proprietario che sia anche una content company ci permette di usare i suoi dati e di attingere alla sua esperienza sui contenuti per raggiungere gli obiettivi di marketing», continua. I dati, d’altra parte, sono la materia prima per l’“experience-advertising” («noi siamo in grado di trasformarli in insight e usarli per potenziare le nostre creatività») e, mescolati con lo scambio di competenze tra agenzia e media owner producono un vero cocktail esplosivo. I branded content sono sempre più richiesti, e questa cooperazione sembra un modello forte per mettere insieme le competenze pubblicitarie e quelle editoriali. «Il native sta guadagnando sempre più fama. Oggi sono gli insight editoriali a creare valore, perché i publisher conoscono la loro community. Loro sanno “cosa gli interessa”, noi sappiamo “come interessarli”». È per questo che, dice ancora Brien, «dovunque riusciamo, vorrei che ci fossero co-location tra Hearst e iCrossing».