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Mobile World Congress Day 1: protagonisti sul palco dati, trasparenza e misurazione

Autore: Redazione


Dall'inviato a Barcellona Francesco Lattanzio
 

Misurazioni e trasparenza. La mancanza di parametri comuni intralcia lo sviluppo

Al Mobile World Congress, Omnicom Media Group, Integral Ad Science e moPub discutono della necessità di trovare un accordo per rendere ancora più produttivo un settore che sta vivendo un vero e proprio boom

Il Mobile World Congress di Barcellona è una vera Babilonia del mobile. Le conferenze e gli stand degli 8 padiglioni toccano argomenti così diversi che gli operatori quasi non si capiscono tra loro. Robotica e device si incontrano con ad tech e pubblicità, in mezzo a questi argomenti c’è un mare di temi pronto ad esondare. Serve una bussola, e questa si trova nella Hall 8.0: si chiama Modern Marketing Summit e lascia poco spazio a dubbi. È l’advertising il perno dei vari speech, e tra questi non poteva mancarne uno su “trasparenza e misurazioni”, uno dei temi più caldi degli ultimi mesi. Alex Newman, managing director mobile di Omnicom Media Group, Meredith Miller, head of commercial pertnerships di moPub e Jason Cooper, general manager mobile di Integral AdScience, hanno rappresentato gli operatori che compongono il funnel di compravendita pubblicitaria, discutendo della situazione relativa alle misurazioni. «Misurazioni e trasparenza sono richieste con una pressione sempre maggiore. Gli advertiser e i publisher hanno un gran ventaglio di scelta per quanto riguarda le aziende di measurement e questa è una cosa positiva per il mercato, ma noi siamo un ad exchanger e incontriamo qualche difficoltà quando dobbiamo mettere insieme le informazioni di tanti player diversi», spiega Miller. Per questo «ci vorrebbe un framework capace di unificare le metriche», evitando di integrare tutte le sdk dei vendor e sostituendole con una «sdk unificata che semplifichi il processo», dicono  di comune accordo Cooper e Newman.

Una soluzione del genere potrebbe sbloccare un’occasione per inserzionisti ed editori in quanto «l’adv in app è molto efficace, ma non è facile capire i comportamenti degli utenti all’interno delle app stesse. È necessario trovare un parametro comune che determini la viewability, perché fare valutazioni senza uno standard condiviso crea molta confusione. È strano che non si sia ancora trovato», commenta Miller. La fragmentation è un problema difficile da risolvere, tanto che per Cooper «ci sarà sempre. Gli aggiornamenti di iOS obbligano ad alcune modifiche sulle sdk ed è difficile starci dietro in tempi molto brevi».

La lenta adozione della tecnologia da parte del settore non va imputata a un particolare step della catena pubblicitaria. «I publisher hanno paura dello sconosciuto e quindi anche dei risultati delle misurazioni. Ma l’ecosistema delle app è molto diverso da quello dei browser, e per accedervi in modo efficace è necessario dare supporto ai publisher», continua Miller.

L’adozione di una vendita in modalità cost-per-viewable-impression potrebbe diventare «l’elemento di monetizzazione di una conversazione interessante tra i vari operatori della filiera”, aggiunge Newman, “e la misurazione è il primo step per raggiungerlo».

Una frecciatina è dedicata anche agli OTT: «dalla parte degli advertiser è giusto che anche gli ott si facciano misurare come il resto del web. Tutti dovrebbero pensare alla trasparenza, sarà il core della delivery per tanto tempo. Se tutto fosse misurabile i vantaggi sarebbero di tutti e il settore riscuoterà un successo duraturo», afferma Newman. Quello che manca, però, è un vicendevole aiuto dal lato tecnologico. «Mancano alcune capacità tecniche. Il lato buy va supportato attraverso una conversazione continua il cui argomento deve ruotare attorno agli elementi tecnologici di cui ha bisogno per migliorare i suoi strumenti e la qualità dei dati che è capace di raccogliere», dice ancora Miller. «Bisogna tenere conversazioni continue perchè quello che ha senso in un ecosistema non ha senso in un altro. Le app sono un mezzo molto forte per mantenere grosse audience, ma senza misurazioni appropriate non è possibile sfruttarle a pieno», conclude Newman. 

Gli utenti tornano ancora al centro delle strategie. Ma per comprenderli a pieno bisogna saper scegliere i dati più adatti

La scarsa trasparenza di alcuni colossi digitali e i diversi risultati contrassegnati agli advertiser dagli istituti di misurazione possono rendere difficile la costruzione di un piano di marketing. Al Mobile Work Congress il dibattito ruota attorno al corretto utilizzo delle informazioni e agli strumenti per massimizzarne l'efficacia L’alta penetrazione del mobile ha riportato i marketer allo studio più accurato delle persone che utilizzano internet. Dopo anni passati a sviluppare tecnologie pubblicitarie legate alla delivery su desktop, i consumer sono tornati protagonisti delle strategie degli inserzionisti. Il panel “The Ominchannel Key: Mobile As The Nexus Of All Journeys” si è addentrato nel rapporto tra advertiser e ai consumer, grazie alle testimonianze di Leonid Sudakov, president connected soultion di Mars Petcare, Mauricio Sabidal, global ceo di Kinetic Worldwide e Lou Paskalis, SVP, Enterprise Media Planning, Investment & Measurement di Bank of America.

«Quest’anno il 70% delle interazioni digitali avverranno su mobile. Gli OTT, come Facebook, ne saranno i principali conduttori, ma in qualche caso impongono limitazioni. Una di queste è il mancato passaggio del footstep signal agli advertiser. Lo stesso Facebook, ad esempio, personalizza il contesto all’interno nel quale inseriscono pubblicità e contenuti, ma non restituisce nessun dato. Noi come advertiser dobbiamo fare luce sulle ombre», afferma Paskalis. È importante che gli inserzionisti «capiscano i consumatori, e che non si adattino alle informazioni che hanno», prosegue Sabidal indicando un percorso intrapreso da P&G e ora dall’accordo tra Yahoo e altri importanti publisher britannici.

Gli eccessi, però, vanno considerati in entrambi i sensi: «Gli advertiser hanno troppe opzioni pubblicitarie. Devono chiedersi cosa gli serve, cosa fa al caso loro, e scegliere un numero definito di company che rispondano ai loro bisogni di comunicazione. Altrimenti la strategia perde di efficacia», continua Sabidal.

Il “giusto mezzo”, come direbbe Aristotele, va cercato nei dati. Il loro studio «è il vero e proprio lato B delle ads. Le company devono ripensare in base a questi il modo di dirigere il proprio business», spiega Sudakov. Fin qui niente di nuovo, ma anche i dati hanno i loro problemi.

«Stiamo combattendo l’informality. A volte i dati rappresentano l’universo, altre invece sono solo fuorvianti. Basti prendere agli esempi di Trump e della Brexit (in entrambi casi le previsioni portavano a esiti scontati, ma si sono ribaltati al momento di concretizzarsi, n.d.r.). Bisogna impegnarsi a capire se le informazioni in proprio possesso siano abbastanza accurate, e se siano quelle adatte a conoscere la propria audience.

Tante company di misurazione restituiscono risultati diversi tra loro», dice Sabidal. L’analisi di queste, e la loro interpretazione, dev’essere messa in discussione continuamente, per capire se le deduzioni precedenti sono ancora valide o l’utenza è cambiata. «Bisogna pensare: come valutiamo il ROI oggi? E come, invece, la relazione con gli individui?», conferma Paskalis.

Un aiuto in questo senso proviene dall’AI, una tecnologia che per alcuni, tra cui lo stesso Paskalis, «abilita la creatività, ed è capace di suggerire la pressione pubblicitaria a cui sottoporre le audience. Spiega quanti banner, e che tipo di adv, è più incisiva in un dato momento, e lo fa in maniera immediata».

Quando si tratta di innovazione, invece, «non ci sono dati che giustifichino l’investimento su una nuova idea. Ma puntare sulle novità è l’unico modo per guadagnare un vantaggio competitivo». All’affermazione di Sabidal risponde Paskalis, indicando “the next big opportunity”: Echo e Google Home. «Non credo ci sia un solo marketer che stia dando il giusto peso all’universo dei virtual assistant. Stanno avendo grande successo come device, ma non sono entrati in discorsi concreti legati al marketing», dice. 

Il “Takeaway” dell’intervento è piuttosto semplice: il mobile è - citando Sabidal - “un sistema operativo umano”, e interpretare il suo utilizzo è l’opportunità più ricca offerta dal mondo dell’advertising digitale. Attenzione alle trappole, però. Ovvero una cattiva interpretazione.


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incarichi e gare

Autore: Redazione - 24/04/2024


KFC Italia sceglie KIWI come nuovo partner per la gestione dei social

Si arricchisce di una collaborazione di grande valore il 2024 di KIWI che, a partire da questo mese, è ufficialmente il nuovo partner per la gestione dei canali social di Kentucky Fried Chicken Italia, l’iconica e leggendaria catena di fast food specializzata in pollo fritto. La unit di Uniting Group, scelta da KFC a seguito di una gara, assume l’ownership dei canali Meta (Facebook e Instagram, con l’obiettivo di aprire anche Threads), LinkedIn e TikTok del brand. “La vittoria parte innanzitutto da una ricerca approfondita sul tone of voice. Abbiamo identificato nell’autenticità, nella schiettezza e nella boldness, che da sempre appartengono al brand, degli ottimi punti di partenza per rivolgerci alla GenZ e ai Millennial che sono il pubblico per eccellenza di KFC. Si tratta di un brand unico e amatissimo in tutto il mondo, con un prodotto e degli asset di comunicazione inconfondibili e potenzialità social ancora parzialmente inespresse in Italia”, afferma Andrea Stanich, Direttore Creativo Esecutivo di KIWI, Part of Uniting Group.  La strategia L’attenzione di KIWI sarà molto concentrata sulla crescita e sul coinvolgimento sempre maggiore della community. Anche i lanci, le promo, le aperture, i servizi e le innovazioni tecnologiche saranno comunicate senza perdere di vista l’intrattenimento. Una gestione del community management informale e diretta contribuirà ad alimentare il dialogo quotidiano con gli utenti. “Una parte rilevante del piano social di KFC - prosegue Federica Pasqual, COO di KIWI e Freshhh, Part of Uniting Group - sarà costituita da contenuti video originali agili e veloci, che ci piace definire ‘snackable’. Oggi più che mai è fondamentale affiancare i nostri brand partner intercettando le opportunità di comunicazione e i trend in modo istantaneo; questo, nel day by day, viene facilitato dalla collaborazione con la unit Freshhh, nata inizialmente come spin-off di KIWI, realtà che può contare, dall’ultimo quarter del 2023, su uno spazio produttivo dedicato”.  Dieci anni di pollo fritto in Italia KFC, società del gruppo Yum! Brands, è leader mondiale nel settore dei ristoranti che servono pollo fritto. Nato oltre 70 anni fa e presente in Italia da 10 anni, il brand ha avuto nel nostro Paese una crescita che l’ha portato oggi a 87 ristoranti in 15 regioni, con l’obiettivo di arrivare a 100 locali entro la fine dell’anno. Il gusto unico del pollo fritto di KFC si deve al Colonnello Sanders, fondatore del brand e inventore dell’Original Recipe, la ricetta che contiene un inimitabile mix segreto di erbe e spezie e che ancora oggi viene preparata come una volta nei ristoranti di Kentucky Fried Chicken. “Cercare ogni giorno di costruire una relazione sincera e coinvolgente con il nostro target di riferimento rappresenta uno degli obiettivi principali per i prossimi anni, forse la chiamerei una missione. La GenZ è la nostra audience, vogliamo rivolgerci loro in maniera diretta e convincente - afferma Marzia Farè, Chief Marketing Officer di KFC in Italia -. La scelta dei temi, dei canali, del linguaggio e il tono di voce da adottare diventano pertanto ogni giorno più cruciali; vorremmo esser riconosciuti come contemporanei e autentici e credo che la collaborazione con KIWI possa davvero esser l’occasione giusta per far un passo ulteriore di crescita in questa direzione. Il team KIWI che ci affiancherà è pieno di energia e voglia di fare, abbiamo le premesse migliori per far bene e divertirci”.

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spot

Autore: V Parazzoli - 09/04/2024


Lorenzo Marini Group firma “Il divino quotidiano” di Amica Chips, con una versione più “rispettosa” in tv e una più trasgressiva sui social

È on air la nuova campagna tv Amica Chips, realizzata, dopo aver vinto la relativa gara, da Lorenzo Marini Group, che propone una comunicazione fuori dagli schemi tradizionali con un linguaggio ironico, forte e trasgressivo, destinato a colpire un target giovane non abituato a messaggi “televisivi tradizionali” ma a stilemi narrativi social. Non a caso, dello spot sono state approntate una versione più “provocante” appunto per i social e una più rispettosa di un target tradizionale per la tv, con planning sempre di Media Club. Il film Le protagoniste dello spot sono delle novizie, riprese in fila sotto al chiostro del monastero mentre si apprestano ad entrare in chiesa. In sottofondo si sente la musica dell’“Ave Maria” di Schubert, eseguita con l’organo che accompagna questo ingresso. Le novizie sono in fila verso l’altare e la prima sta per ricevere la comunione dal prete celebrante…In quel momento si sente il suono della croccantezza della patatina, un “crunch” amplificato in perfetto sincrono con il momento in cui la prima novizia ha ricevuto l’ostia. Le altre in fila, al sentire il “crunch”, sorridono divertite e guardano nella direzione da cui proviene il rumore “appetitoso e goloso” della patatina croccante. La Madre Superiora infatti è seduta in sagrestia e, rilassata in un momento di pausa, sta mangiando con gusto le Amica Chips prendendole da un sacchetto che tiene in mano. Pack shot con le patatine Amica Chips e in super appaiono logo e claim di campagna “Il divino quotidiano”. Obiettivi e target L’obiettivo principale della comunicazione è quello di riaffermare il ruolo da protagonista di Amica Chips in comunicazione, da sempre protagonista di campagne forti e distintive con un tono da leader, per aumentare la percezione del suo valore di marca e consolidare la sua brand awareness. La campagna, che vuole sottolineare l’irresistibilità del prodotto ed esaltare la sua croccantezza superiore, sarà sviluppata con un sistema di comunicazione integrato teso a massimizzare l’impatto e la copertura di un target 18–54 anni, con particolare focus per la parte più giovane (18-35) sui canali digital e social. Un target che, in chiave psicografica viene descritto come composto da persone che nella loro vita ricercano ironia, divertimento e simpatia e che hanno un atteggiamento sociale aperto ed evoluto, con una ricerca continua di uscita dagli schemi convenzionali. Il messaggio vuole esprimere, con forte ironia “british”, un contenuto di prodotto legato al momento dello snack e, attraverso una descrizione iperbolica e provocante, esprimere il valore della croccantezza irresistibile della patatina Amica Chips. Si vuole rappresentare, in modo palese e senza fraintendimenti di tipo religioso, una situazione “chiaramente teatrale e da fiction”, tratta da citazioni del mondo ecclesiastico già abbondantemente trattate nella cinematografia mondiale, nelle rappresentazioni teatrali e nella pubblicità. Lo spot 30” verrà programmato sulle reti Mediaset, Cairo e sulle CTV, oltre che sui canali digitali. Il commento «Le patatine sono una categoria mentale compensativa e divertente – spiega Marini a Dailyonline -.. Hanno bisogno di comunicazioni ironiche, giovani e impattanti. L’area semantica della serietà è noiosa, funziona per prodotti assicurativi o farmaceutici. L’area del divertimento e della giocosità si sposa benissimo invece con questo settore». Credits Direzione creativa: Lorenzo Marini Copywriter: Artemisa Sakaj  Planning strategico e direzione generale: Ezio Campellone Account service: Elma Golloshi Casa di produzione: Film Good Executive producer: Pierangelo Spina Regia: Dario Piana Direttore fotografia: Stefano Morcaldo Producer: Sara Aina Musica: “Ave Maria” di Schubert – esecuzione di Alessandro Magri  

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