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Net neutrality, l’abrogazione di Trump per un internet a corsie preferenziali

Autore: D Sechi


Un colpo di spugna quello del presidente che potrebbe pesare soprattutto sulle aziende minori, ma i big tremano. Già annunciati i primi ricorsi

La legge sulla net neutrality è stata abrogata. Una svolta ultraliberista che muterà drasticamente l’attività online di milioni di americani.

Uguaglianza vade retro

Net neutrality significa uguaglianza nella fruizione dei contenuti e dei servizi veicolati attraverso la rete: tutti devono essere raggiungibili da ogni potenziale utente senza discriminazione alcuna, cosa che gli operatori sono tenuti a garantire senza aprire corsie preferenziali. Nel 2015 l’Open Internet Order aveva classificato i fornitori di banda (Internet Service Provider) come servizi per le telecomunicazioni, che il Titolo II del Communications Act del 1934 inserisce tra i common carriers, ossia i beni comuni come strade, oleodotti, rete elettricai e ospedali, che sono oggetto di regolamentazioni particolarmente restrittive.

Web completamente liberalizzato

Grazie a quella legge, che fu voluta da Barack Obama, l’ex presidente della Fcc, Tom Wheeler, era riuscito a sancire definitivamente il principio della neutralità della rete. Proprio la legge che Trump, Ajit Pai e le lobby dei provider hanno annullato. Sono state così trasferire le competenze sull’attività degli operatori dalla Fcc alla Federal Trade Commission (Ftc), authority per la concorrenza. È un disegno d’impronta commerciale, che punta alla completa liberalizzazione del web. Sancendo che si tratta di un mercato al pari degli altri, i cui attori devono poter operare senza restrizioni. Tutelare i consumatori, ma senza mettere bocca su come i provider gestiscano i loro affari.

La vendetta dei provider

La rivalsa dei fornitori di connessione internet si è alfine consumata. Le nuove leggi in materia di net neutrality gli permetteranno finalmente di presentare il conto ai giganti digitali. La net neutralità, dicono i fautori dell’abrogazione, è un principio che permette ad attori privati di arricchirsi utilizzando gratuitamente servizi forniti da altri grazie a imposizioni penalizzanti dello Stato. Di fatto, i vari Google, Facebook, Amazon, Twitter, Netflix e gli altri sono diventati in pochi anni tra le aziende più grandi e potenti del mondo. Ce l’hanno fatta offrendo contenuti, servizi e applicazioni attraverso il web. Ma cosa permette agli utenti di connettersi per farne uso? Guarda un po’, proprio i provider. Che, a fronte della nascita dell’opulenta economia digitale, non hanno ricevuto nemmeno un dollaro dai suoi protagonisti. In quest’ottica vanno lette l’acquisizione di Yahoo! da parte di Verizon e quella di Time Warner da parte di AT&T, che hanno trasformato gli operatori in vere e proprie holding delle telecomunicazioni (e su cui la Fcc non ha avuto nulla da ridire). Ma ora la musica sta per cambiare.

Se vuoi trasmettere a una certa velocità devi pagarla

Da ora i provider, oltre a guadagnare dagli abbonamenti dei consumatori, potranno lucrare sull’utilizzo delle loro infrastrutture da parte dei colossi 2.0 Per fare un esempio prestigioso, se Netflix vuole trasmettere video così velocemente deve pagare un pedaggio. Per fare offerte più vantaggiose ai consumatori, alcuni pacchetti di rete mostreranno, a fronte di un prezzo inferiore, soltanto alcuni servizi: i più utilizzati o, nella peggiore delle ipotesi, quelli che saranno disposti a spendere per esserci.

Negare la net neutrality

Il futuro prossimo mostrerà un cyberspazio fatto di corsie preferenziali che premiano alcuni e discriminano altri, siano essi aziende che non pagano i provider oppure utenti che possono permettersi soltanto abbonamenti economici. Il nodo è quello dell’accessibilità di contenuti e servizi, che non sarà più uguale per tutti ma sarà condizionata dalla velocità di trasmissione dei dati, da un lato, e dalla loro stessa disponibilità, dall’altro. Per fare un esempio, è come se uno dei tre operatori nazionali offrisse un pacchetto che, per soli 5 euro al mese, permette di visualizzare soltanto Repubblica, con cui ha siglato un accordo, e non tutti gli altri giornali online. Una testata che volesse emergere potrebbe non farcela mai, soltanto perché priva delle risorse per avere un’accessibilità simile a quella dei grandi.

Più paghi più ottieni

A dominare l’internet di Trump, dunque, non è più la regola “gli stessi bit e gli stessi contenuti per tutti”, rivendicata dagli attivisti digitali, ma “più bit e più contenuti per chi paga di più”. C’è chi dice che a farne le spese non saranno tanto i grandi media e i big come Facebook e Amazon, ma le aziende minori. Il fatto che i provider mettano in vendita la velocità di trasmissione dei dati, inoltre, non sarebbe niente di nuovo: grandi siti come Netflix hanno già degli accordi di questo tipo in essere. Come dichiarò Trump prima della sua elezione, vigilanza dalla Fcc e le regole imposte sono state soltanto “un freno agli investimenti, all’innovazione e alla creazione di posti di lavoro”.

Maggiore competizione

C’è chi si dice convinto che la svolta liberista stimolerà la competizione e spingerà i provider a estendere la connessione e a offrire pacchetti più vantaggiosi. La priorità dei repubblicani è la copertura a banda larga di tutto il Paese. Repubblicani che hanno interrotto le indagini di stampo democratico sulla neutralità del servizio internet gratuito offerto dai due primi operatori wireless del Paese, Verizon e AT&T. Si intanto largo anche la proposta di rimuovere l’obbligo per i provider di richiedere il consenso degli utenti prima di utilizzare i loro dati personali e di navigazione a scopi pubblicitari.

Le reazioni dei big

Google, Facebook e tutti gli altri si sono schierati a favore della net neutrality: in un recente appello, firmato tra gli altri da Twitter, Tumblr, Airbnb, si sottolineava perfino come alla radice del successo del recente Black Friday ci fosse la bistrattata neutralità della rete. Le ragioni di questa levata di scudi sono svariate: dalla retorica open tipica della Silicon Valley alla necessità di prendere una posizione netta in un momento difficile per la loro reputazione a causa dell’impatto avuto sull’opinione pubblica dal caso delle fake news e dalle questioni di privacy degli utenti. Senza dimenticare, però, la minaccia concreta di dover sborsare un mucchio di soldi per stare al gioco dei provider. Che, come accennavamo, ormai sono operatori ma anche fornitori di contenuti di svariato genere: a questo punto, chi garantisce che non diano la precedenza ai propri, penalizzando di conseguenza quelli dei concorrenti?

Intanto in Europa…

Forse i provider riusciranno a presentare il conto a Zuckerberg & Co. Forse anche questi ultimi si butteranno nel mercato dei servizi internet (con i progetti Fiber e Internet.org, Google e Facebook sono già attivi in alcune aree degli Stati Uniti e del mondo). Come si comporterà l’Europa? Gli influssi da oltre oceano non tarderanno a farsi sentire: la compagnia telefonica portoghese Meo ha lanciato contratti per l’utilizzo di dati limitato ad app specifiche.


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incarichi e gare

Autore: Redazione - 24/04/2024


KFC Italia sceglie KIWI come nuovo partner per la gestione dei social

Si arricchisce di una collaborazione di grande valore il 2024 di KIWI che, a partire da questo mese, è ufficialmente il nuovo partner per la gestione dei canali social di Kentucky Fried Chicken Italia, l’iconica e leggendaria catena di fast food specializzata in pollo fritto. La unit di Uniting Group, scelta da KFC a seguito di una gara, assume l’ownership dei canali Meta (Facebook e Instagram, con l’obiettivo di aprire anche Threads), LinkedIn e TikTok del brand. “La vittoria parte innanzitutto da una ricerca approfondita sul tone of voice. Abbiamo identificato nell’autenticità, nella schiettezza e nella boldness, che da sempre appartengono al brand, degli ottimi punti di partenza per rivolgerci alla GenZ e ai Millennial che sono il pubblico per eccellenza di KFC. Si tratta di un brand unico e amatissimo in tutto il mondo, con un prodotto e degli asset di comunicazione inconfondibili e potenzialità social ancora parzialmente inespresse in Italia”, afferma Andrea Stanich, Direttore Creativo Esecutivo di KIWI, Part of Uniting Group.  La strategia L’attenzione di KIWI sarà molto concentrata sulla crescita e sul coinvolgimento sempre maggiore della community. Anche i lanci, le promo, le aperture, i servizi e le innovazioni tecnologiche saranno comunicate senza perdere di vista l’intrattenimento. Una gestione del community management informale e diretta contribuirà ad alimentare il dialogo quotidiano con gli utenti. “Una parte rilevante del piano social di KFC - prosegue Federica Pasqual, COO di KIWI e Freshhh, Part of Uniting Group - sarà costituita da contenuti video originali agili e veloci, che ci piace definire ‘snackable’. Oggi più che mai è fondamentale affiancare i nostri brand partner intercettando le opportunità di comunicazione e i trend in modo istantaneo; questo, nel day by day, viene facilitato dalla collaborazione con la unit Freshhh, nata inizialmente come spin-off di KIWI, realtà che può contare, dall’ultimo quarter del 2023, su uno spazio produttivo dedicato”.  Dieci anni di pollo fritto in Italia KFC, società del gruppo Yum! Brands, è leader mondiale nel settore dei ristoranti che servono pollo fritto. Nato oltre 70 anni fa e presente in Italia da 10 anni, il brand ha avuto nel nostro Paese una crescita che l’ha portato oggi a 87 ristoranti in 15 regioni, con l’obiettivo di arrivare a 100 locali entro la fine dell’anno. Il gusto unico del pollo fritto di KFC si deve al Colonnello Sanders, fondatore del brand e inventore dell’Original Recipe, la ricetta che contiene un inimitabile mix segreto di erbe e spezie e che ancora oggi viene preparata come una volta nei ristoranti di Kentucky Fried Chicken. “Cercare ogni giorno di costruire una relazione sincera e coinvolgente con il nostro target di riferimento rappresenta uno degli obiettivi principali per i prossimi anni, forse la chiamerei una missione. La GenZ è la nostra audience, vogliamo rivolgerci loro in maniera diretta e convincente - afferma Marzia Farè, Chief Marketing Officer di KFC in Italia -. La scelta dei temi, dei canali, del linguaggio e il tono di voce da adottare diventano pertanto ogni giorno più cruciali; vorremmo esser riconosciuti come contemporanei e autentici e credo che la collaborazione con KIWI possa davvero esser l’occasione giusta per far un passo ulteriore di crescita in questa direzione. Il team KIWI che ci affiancherà è pieno di energia e voglia di fare, abbiamo le premesse migliori per far bene e divertirci”.

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spot

Autore: V Parazzoli - 09/04/2024


Lorenzo Marini Group firma “Il divino quotidiano” di Amica Chips, con una versione più “rispettosa” in tv e una più trasgressiva sui social

È on air la nuova campagna tv Amica Chips, realizzata, dopo aver vinto la relativa gara, da Lorenzo Marini Group, che propone una comunicazione fuori dagli schemi tradizionali con un linguaggio ironico, forte e trasgressivo, destinato a colpire un target giovane non abituato a messaggi “televisivi tradizionali” ma a stilemi narrativi social. Non a caso, dello spot sono state approntate una versione più “provocante” appunto per i social e una più rispettosa di un target tradizionale per la tv, con planning sempre di Media Club. Il film Le protagoniste dello spot sono delle novizie, riprese in fila sotto al chiostro del monastero mentre si apprestano ad entrare in chiesa. In sottofondo si sente la musica dell’“Ave Maria” di Schubert, eseguita con l’organo che accompagna questo ingresso. Le novizie sono in fila verso l’altare e la prima sta per ricevere la comunione dal prete celebrante…In quel momento si sente il suono della croccantezza della patatina, un “crunch” amplificato in perfetto sincrono con il momento in cui la prima novizia ha ricevuto l’ostia. Le altre in fila, al sentire il “crunch”, sorridono divertite e guardano nella direzione da cui proviene il rumore “appetitoso e goloso” della patatina croccante. La Madre Superiora infatti è seduta in sagrestia e, rilassata in un momento di pausa, sta mangiando con gusto le Amica Chips prendendole da un sacchetto che tiene in mano. Pack shot con le patatine Amica Chips e in super appaiono logo e claim di campagna “Il divino quotidiano”. Obiettivi e target L’obiettivo principale della comunicazione è quello di riaffermare il ruolo da protagonista di Amica Chips in comunicazione, da sempre protagonista di campagne forti e distintive con un tono da leader, per aumentare la percezione del suo valore di marca e consolidare la sua brand awareness. La campagna, che vuole sottolineare l’irresistibilità del prodotto ed esaltare la sua croccantezza superiore, sarà sviluppata con un sistema di comunicazione integrato teso a massimizzare l’impatto e la copertura di un target 18–54 anni, con particolare focus per la parte più giovane (18-35) sui canali digital e social. Un target che, in chiave psicografica viene descritto come composto da persone che nella loro vita ricercano ironia, divertimento e simpatia e che hanno un atteggiamento sociale aperto ed evoluto, con una ricerca continua di uscita dagli schemi convenzionali. Il messaggio vuole esprimere, con forte ironia “british”, un contenuto di prodotto legato al momento dello snack e, attraverso una descrizione iperbolica e provocante, esprimere il valore della croccantezza irresistibile della patatina Amica Chips. Si vuole rappresentare, in modo palese e senza fraintendimenti di tipo religioso, una situazione “chiaramente teatrale e da fiction”, tratta da citazioni del mondo ecclesiastico già abbondantemente trattate nella cinematografia mondiale, nelle rappresentazioni teatrali e nella pubblicità. Lo spot 30” verrà programmato sulle reti Mediaset, Cairo e sulle CTV, oltre che sui canali digitali. Il commento «Le patatine sono una categoria mentale compensativa e divertente – spiega Marini a Dailyonline -.. Hanno bisogno di comunicazioni ironiche, giovani e impattanti. L’area semantica della serietà è noiosa, funziona per prodotti assicurativi o farmaceutici. L’area del divertimento e della giocosità si sposa benissimo invece con questo settore». Credits Direzione creativa: Lorenzo Marini Copywriter: Artemisa Sakaj  Planning strategico e direzione generale: Ezio Campellone Account service: Elma Golloshi Casa di produzione: Film Good Executive producer: Pierangelo Spina Regia: Dario Piana Direttore fotografia: Stefano Morcaldo Producer: Sara Aina Musica: “Ave Maria” di Schubert – esecuzione di Alessandro Magri  

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