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Innovare o morire, il destino (già scritto) delle news

Autore: Redazione


Al GEN Summit di Vienna oltre 750 tra editori, giornalisti e esperti media si confronteranno sul futuro dell’informazione. Intervista esclusiva a Peter Bale, presidente del Global Editors Network

Di Claudio Semenza

La paura di innovare genera mostri. Molti grandi editori e giornalisti temono un mondo affollato di notizie prodotte da brand editoriali storici in lotta con quelli emergenti, senza siti o applicazioni di proprietà, ma distribuite attraverso piattaforme digitali terze, sempre più potenti e dominanti sul mercato pubblicitario. E ancora: giornalisti al servizio dei dati, guidati dalle analisi di traffico e, dove possibile, sostituiti da algoritmi e bot. Sempre meno “realtà reale” e sempre più realtà virtuale, realtà aumentata e chissà quale altra nuova tecnologia pronta a sostituire ogni tradizionale esperienza umana. L’apocalisse dell’informazione prossima ventura viene dipinta più o meno così. Ma non è certo che il futuro sia quello.

Una cosa invece è sicura: se i mostri si possono dissolvere, la tigre dell’innovazione è concreta, libera e corre veloce. Cavalcarla è impossibile per chi - tra giornalisti, editori, esperti di media - abbia deciso di ignorarla o, peggio, di combatterla. Per gli altri, per coloro che preferiscono capire e far parte del gioco, il futuro delle news passa anche quest’anno, come ormai da sette anni, dal GEN Summit, la “tre giorni” organizzata dalla associazione no-profit e non governativa Global Editors Network: dal 21 al 23 giugno il più importante appuntamento con l’innovazione nel mondo del giornalismo quest’anno farà tappa a Vienna. Tema, trattato attraverso gli interventi di oltre 80 speaker: “From post-truth to virtual reality: navigating media’s future”.

L’importanza dell’innovazione

«Non ci siamo ancora: non credo che la maggior parte dei giornalisti o dei manager dei media abbia capito fino in fondo quanto sia importante l’innovazione per il proprio futuro professionale e per le proprie aziende». Peter Bale, presidente del GEN, ha un doppio passaporto, neozelandese e britannico, e una doppia esperienza professionale. Giornalista e esperto di digital media, Bale ha ricoperto importanti ruoli editoriali e manageriali presso Reuters, Microsoft, CNN International. Per un paio di anni, di recente, è stato Ceo del Center for Public Integrity di Washington, l’organizzazione non governativa globale no-profit di giornalismo investigativo, premio Pulitzer nel 2014, che attraverso l’ICIJ (International Consortium of Investigative Journalism) ha dato vita alla famosa inchiesta Panama Papers, pubblicata da oltre cento testate nel mondo. «Un’iniziativa come quella, grande esempio di collaborazione internazionale, è stata possibile solo grazie a internet e ai nuovi metodi di fare giornalismo. La missione del GEN è quella di far conoscere le eccellenze dell’innovazione giornalistica, le cosiddette best practice, al maggior numero possibile di operatori dell’informazione. Il nostro Summit è il luogo migliore per tenersi aggiornati, per entrare in contatto con oltre 750 tra giornalisti, esperti di media e editori provenienti da settanta paesi diversi, per scoprire ciò che è nuovo e funziona».

Un mondo che cambia velocemente, quello dei media e delle news. Quali sono stati i cambiamenti più importanti negli ultimi cinque anni?

«Il primo, senza dubbio, il dominio delle grandi piattaforme di advertising, Google e Facebook, e l’erosione della capacità degli editori di monetizzare i loro siti. Al secondo posto metto la proliferazione di nuove realtà nel mondo dell’informazione, come Buzzfeed e Vox, solo per fare due nomi: grazie alla capacità di innovare e alla velocità di crescere si sono conquistate un ruolo di tutto rispetto, arrivando a competere con gli editori storici, in alcuni casi anche per qualità. Terzo segnale importante, il “risveglio” di alcuni brand tradizionali del mondo news che hanno intrapreso la strada dell’innovazione di alta qualità: penso, ad esempio, alla CNN che sta vivendo un periodo d’oro con la realtà virtuale, i nuovi modelli di storytelling sia per i prodotti digitali sia per quelli televisivi; ma anche al Washington Post, dove si cominciano a vedere gli effetti degli investimenti tecnologici di Jeff Bezos».

Cos’altro ci dobbiamo aspettare nei prossimi cinque anni?

«Di sicuro la sfida tra le grandi piattaforme e gli editori, con questi ultimi che dovranno riconoscere le proprie responsabilità e adottare una nuova mentalità editoriale. La seconda previsione è più una speranza, in verità: spero di vedere più innovazione da parte degli editori anche nell’advertising. Stiamo ancora perdendo la battaglia della creatività e questo ha effetto sulla monetizzazione. La terza previsione riguarda i video: siamo a un punto di svolta per la realtà virtuale e i video a 360 gradi. Ci vorrà ancora un po’ di tempo, forse, ma la tecnologia migliora e cominciamo a vedere qualche esempio di quanto sia potente questo mezzo per raccontare storie che altrimenti non potrebbero essere divulgate con la stessa efficacia. La VR sarà al centro dell’attenzione nei prossimi cinque anni, così come la realtà aumentata. A Vienna se ne parlerà molto».

Cambiare la mentalità, per giornalisti e editori, è fondamentale. Ha qualche consiglio da dare?

«Anzitutto bisogna essere consapevoli fino in fondo dei benefici di internet e dell’importanza dell’innovazione: ci sono ancora troppe resistenze. Giornalisti e editori devono capire che non stanno producendo contenuti per il loro sito, ma per tutto il mondo di internet. Non c’è più il Corriere della Sera o la semplice testata: c’è internet nella sua totalità. Dovremmo essere presenti ovunque sia possibile raggiungere audience e monetizzare il nostro contenuto. Questo significa, ad esempio, che i giornalisti dei quotidiani dovrebbero acquisire capacità tecniche video, che non ci si può più limitare alla carta. Stiamo parlando di cambiare i metodi di lavoro, di abbassare i costi di produzione grazie alle tecnologie, di abbracciare davvero tutte le novità, ad esempio il lavoro da remoto e le piattaforme di collaborazione. E poi bisogna abbattere i silos all’interno delle redazioni: i giornalisti devono capire da dove arrivano le risorse che pagano i loro stipendi e, ovviamente nel rispetto della deontologia, devono collaborare. Ogni persona in redazione deve sapere quali sono gli obiettivi della sua azienda e contribuire a raggiungerli. Anche i giornalisti dovrebbero essere misurati su obiettivi, ricevere premi e incentivi se ottengono i risultati».

Quello tra giornalisti ed esperti del digitale è spesso un rapporto difficile

«Gli esperti del digitale sono preziosissimi, nelle redazioni: aiutano a introdurre innovazione, a migliorare il prodotto, ma anche a mostrare ai giornalisti come si può reinterpretare la professione in modo che sia in linea con le nuove esigenze. I giornalisti devono capire che il loro destino, così come il loro successo, è ormai legato al destino e al successo di queste professionalità».

Ciascuno ha il suo ruolo, certo. Ma la collaborazione è fondamentale. Un consiglio agli esperti del digitale, allora. Come convincere i giornalisti a cambiare?

«Mostrando i benefici del cambiamento. Una buona tattica, quando si mette piede in una redazione, è di entrare in contatto con le persone più influenti e “difficili”, magari i due principali opinionisti, e proporre loro di diventare protagonisti di un’iniziativa digitale, un blog, una rubrica audio o video per il web: dimostrare che possono reinventare il loro modo di fare giornalismo. Trasformare una firma importante in una star di Snapchat è un modo affascinante di introdurre la cultura digitale in una redazione. Non sempre funziona. È giusto dare una opportunità, ma siamo ormai al punto in cui se una persona non vuole cambiare se ne deve andare».

E magari li si può sostituire con i bot editoriali…

«L’intelligenza artificiale, i big data e i bot non devono essere visti come nemici dai giornalisti, ma come strumenti per rendere migliore il lavoro editoriale. A Vienna parleremo anche di questo. Il data journalism è già molto diffuso: ci sono software che aiutano a capire meglio la propria audience e quindi a fare prodotti migliori. I bot, secondo me, potranno dare un contributo alla produzione di articoli che non sono propriamente articoli, come alcuni pezzi di giornalismo finanziario. Insomma, notizie, ma non vere storie. Sono tempi difficili. E sentiamo molti editori dire: “prima sistemo i conti, poi penserò all’innovazione».

È un atteggiamento corretto? Non è possibile fare le due cose insieme?

«È molto difficile: quando stai ristrutturando il taglio dei costi diventa la tua ossessione. Ma non penso che si possano tagliare per sempre. A un certo punto devi cominciare a innovare. Devi prendere consapevolezza, ad esempio, di quanto grande debba essere la tua redazione: è davvero necessario che i tuoi giornalisti siano tutti presenti fisicamente? Potresti usare le tecnologie, avere bisogno di meno spazio e gestire il team da remoto. Anche questa è innovazione e in più ti aiuta a risparmiare».

Dell’advertising abbiamo detto: ci sono Google e Facebook, ma anche tante piattaforme di programmatic. E poi c’è il tema dei branded content. Delicato per i giornalisti

«Per quanto riguarda l’invasione dei network di programmatic, che in effetti sta portando i prezzi dell’advertising verso il basso, penso e spero che ci sarà una sorta di pulizia attraverso movimenti di concentrazione e una crescente attenzione alle audience di qualità. Ciò può voler dire il ritorno dei grandi inserzionisti a privilegiare le testate storiche, penso a brand come Financial Times, Le Monde o alle maggiori testate italiane: è necessario tornare a dimostrare che lì c’è un’audience di qualità. Ovviamente gli editori devono maneggiare con cura prodotti come branded, sponsored e native content. C’è un patto di onestà con i lettori e gli utenti, che va rispettato: bisogna sempre distinguere chiaramente tra il contenuto, che è notizia, e ciò che invece ha natura commerciale. A volte dimentichiamo che c’è anche un problema di device utilizzato. Penso al mobile: su uno schermo piccolo è molto più difficile distinguere tra ciò che è opinione, notizia o advertising».

Ma il mobile sta diventando lo strumento principale anche per le news…

«Appunto: bisogna prestare molta attenzione, ne va della credibilità. Ad esempio, mi sembra che la CNN su questo stia facendo molto bene, mentre vedo un po’ più di confusione sul Washington Post. Sì, penso proprio che anche questa sarà una delle grandi sfide del prossimo futuro».

Al Summit di Vienna si parlerà anche di buone pratiche, di editori che ce l’hanno fatta. Ci può anticipare qualcosa?

“Sì. Studiatevi, ad esempio, il modello di Schibsted, in Norvegia e Svezia: da anni è un punto di riferimento per la gestione innovativa della redazione. Oppure Skift, un magazine newyorchese di viaggi, fondato da Rafat Ali, che secondo me ha la più moderna newsroom che abbia visto fino ad ora. Tra i grandi, il Washington Post comincia a miscelare bene tecnologie e giornalismo».

E tra gli italiani?

«Ammetto di non avere molti contatti. Mi piacerebbe averne di più».

Tra gli speaker del Summit, per parlare di giornalismo collaborativo, ci sarà anche Andrea Iannuzzi, dell’Agenzia Giornali Locali del Gruppo Espresso…

«Il giornalismo locale è molto importante: per l’innovazione in generale e per far crescere una nuova generazione di giornalisti. Ma la prima cosa alla quale pensare, in questi casi, è l’aspetto commerciale. Un buon venditore, ben inserito sul territorio, ora più che mai è fondamentale per il successo di una nuova testata. Se ben strutturata, una realtà locale sa essere molto vicina al lettore e creare buona audience. E, come detto, spero che l’audience di qualità torni a essere apprezzata dagli inserzionisti. Ma non vorrei essere troppo ottimista».


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incarichi e gare

Autore: V Parazzoli - 19/04/2024


Armando Testa vince il bando biennale da 1,5 milioni per l’implementazione del branding e delle attività di promozione turistica di Regione Umbria

È stato aggiudicato ad Armando Testa il bando emesso dalla Regione Umbria per l’affidamento dei servizi per la progettazione e gestione della strategia d’immagine del brand Umbria finalizzati all’implementazione del branding e delle attività di promozione turistica integrata, del valore totale, IVA esclusa, di 1.554.993.44 euro in 24 mesi (777.496,72 per i primi 12 e altrettanti per l’opzione di rinnovo per altri 12). L’agenzia guidata da  Marco Testa ha superato, nell’ordine di classifica frutto della somma tra punteggio tecnico e offerta economica: l’rti di Heads Group con Digical e Dekmatis; l’rti di Studiowiki con DS Tech; LDB; Digitalmakers; e Blossom. Esclusi dopo la valutazione tecnica: l’rti di Deva Connection con Idea Docet, Stimulo Design S1 e Artefice Group; e Pirene. Premesse Obiettivi e Finalità dell’appalto: il quadro di riferimento è costituito dal MTU, Masterplan per il Turismo Umbro, lanciato con l’intento di definire in modo del tutto innovativo una linea di sviluppo integrato dell’Umbria a partire dalla sua eccezionale opportunità rappresentata dal turismo. Il MTU non si limita al settore turistico in senso stretto e tradizionale, ma prevede una fortissima interazione tra tutti gli elementi e le competenze che contribuiscono all’attrattività turistica di un territorio, a partire dalla sua marca e fino alle varie connessioni settoriali che rendono il turismo trasversale ed insieme motore di sviluppo anche molto oltre i suoi effetti diretti. E’ stata pertanto intrapresa una strategia di medio-lungo periodo da cui discendono le tattiche opportune: un’azione integrata che arrechi vantaggi ed economie di scala e di scopo in una serie di attività che in passato hanno sofferto di scoordinamento. A tal fine è stata adottata una marca corporate unica regionale, in grado di ricavare valore per il turismo dalle varie eccellenze di sistema e che sia condivisa il più possibile da vari settori produttivi (turismo, agricoltura cultura, artigianato, trasporti, attività produttive). Nella fase attuale, pertanto, si rende necessario implementare presso il mercato interno e i mercati internazionali il nuovo logotipo unico regionale, nei termini di marca ad “ombrello” che racchiude le varie eccellenze del sistema umbro e valorizzi non soltanto il turismo regionale ma si riveli capace di configurare un’operazione strategica di sistema. Punti di forza I punti di forza distintivi della Marca Umbria che le indagini sinora condotte hanno restituito sono: una Terra dei Cammini nella natura, ricca di Borghi storici ed eventi, famosa per i prodotti enogastronomici. Meritano ulteriore valorizzazione le attività outdoor, il benessere, la lentezza, ecc. Occorre rafforzare il posizionamento sui mercati consolidati (centro Italia e centro-nord Europa in particolare), e al contempo costruire un nuovo e più attuale riposizionamento per il tempo libero, la mobilità lenta, le attività outdoor e plein air, anche mediante una consistente e sempre più incisiva diversificazione di prodotto in tal senso. ll marketing turistico deve cercare inoltre di trasformare l’attrazione naturale delle aree più vicine da escursionismo in prodotti turistici, organizzando tutte le occasioni in modo da facilitare il pernottamento. Nel medio raggio è essenziale giocare sui prodotti connotanti, e cioè quelli basati su attrattori certamente speciali. Perimetro L’agenzia prescelta dovrà pertanto: provvedere alla ideazione creativa e sviluppo per output di campagne declinate sulle stagionalità e sui singoli mezzi off line e online curando la realizzazione di materiali pubblicitari e gli adattamenti degli esecutivi; fornire servizi e produrre materiali di comunicazione finalizzati all’implementazione e alla gestione del branding: realizzazione shooting fotografico, video corporate, spot pubblicitari e video clip; provvedere alla progettazione, redazione testi e realizzazione esecutivi di materiali istituzionali promo-pubblicitari. Nel lungo raggio è necessario muoversi in una logica fortemente selettiva, sugli attrattori in grado di generare prodotti “Star” e cioè irripetibili, di rilevanza mondiale, tali da consentire di affrontare mercati anche molto lontani, eppure sensibili alla specifica rarità. Tra i target attuali sono ancora relativamente rare le offerte “a valore”, in grado di rivolgersi a target più alti della media, e forse anche più giovani, andando verso quelle generazioni che rappresentano la punta di diamante dei comportamenti ed anche dei consumi. Tra gli strumenti occorre operare alcune precise scelte di priorità, che si prestano ad una condivisione con tutti gli attori del sistema. Ad esempio, in una prospettiva “omnichannel” le attività digitali assumono una importanza preminente. Infine, le attività di promo-comunicazione, per essere efficaci, devono incorporare quote crescenti di marketing intelligence, di creatività, di innovazione, passando dai media “comprati”, a quelli “guadagnati”, a quelli “creati”. 

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spot

Autore: V Parazzoli - 09/04/2024


Lorenzo Marini Group firma “Il divino quotidiano” di Amica Chips, con una versione più “rispettosa” in tv e una più trasgressiva sui social

È on air la nuova campagna tv Amica Chips, realizzata, dopo aver vinto la relativa gara, da Lorenzo Marini Group, che propone una comunicazione fuori dagli schemi tradizionali con un linguaggio ironico, forte e trasgressivo, destinato a colpire un target giovane non abituato a messaggi “televisivi tradizionali” ma a stilemi narrativi social. Non a caso, dello spot sono state approntate una versione più “provocante” appunto per i social e una più rispettosa di un target tradizionale per la tv, con planning sempre di Media Club. Il film Le protagoniste dello spot sono delle novizie, riprese in fila sotto al chiostro del monastero mentre si apprestano ad entrare in chiesa. In sottofondo si sente la musica dell’“Ave Maria” di Schubert, eseguita con l’organo che accompagna questo ingresso. Le novizie sono in fila verso l’altare e la prima sta per ricevere la comunione dal prete celebrante…In quel momento si sente il suono della croccantezza della patatina, un “crunch” amplificato in perfetto sincrono con il momento in cui la prima novizia ha ricevuto l’ostia. Le altre in fila, al sentire il “crunch”, sorridono divertite e guardano nella direzione da cui proviene il rumore “appetitoso e goloso” della patatina croccante. La Madre Superiora infatti è seduta in sagrestia e, rilassata in un momento di pausa, sta mangiando con gusto le Amica Chips prendendole da un sacchetto che tiene in mano. Pack shot con le patatine Amica Chips e in super appaiono logo e claim di campagna “Il divino quotidiano”. Obiettivi e target L’obiettivo principale della comunicazione è quello di riaffermare il ruolo da protagonista di Amica Chips in comunicazione, da sempre protagonista di campagne forti e distintive con un tono da leader, per aumentare la percezione del suo valore di marca e consolidare la sua brand awareness. La campagna, che vuole sottolineare l’irresistibilità del prodotto ed esaltare la sua croccantezza superiore, sarà sviluppata con un sistema di comunicazione integrato teso a massimizzare l’impatto e la copertura di un target 18–54 anni, con particolare focus per la parte più giovane (18-35) sui canali digital e social. Un target che, in chiave psicografica viene descritto come composto da persone che nella loro vita ricercano ironia, divertimento e simpatia e che hanno un atteggiamento sociale aperto ed evoluto, con una ricerca continua di uscita dagli schemi convenzionali. Il messaggio vuole esprimere, con forte ironia “british”, un contenuto di prodotto legato al momento dello snack e, attraverso una descrizione iperbolica e provocante, esprimere il valore della croccantezza irresistibile della patatina Amica Chips. Si vuole rappresentare, in modo palese e senza fraintendimenti di tipo religioso, una situazione “chiaramente teatrale e da fiction”, tratta da citazioni del mondo ecclesiastico già abbondantemente trattate nella cinematografia mondiale, nelle rappresentazioni teatrali e nella pubblicità. Lo spot 30” verrà programmato sulle reti Mediaset, Cairo e sulle CTV, oltre che sui canali digitali. Il commento «Le patatine sono una categoria mentale compensativa e divertente – spiega Marini a Dailyonline -.. Hanno bisogno di comunicazioni ironiche, giovani e impattanti. L’area semantica della serietà è noiosa, funziona per prodotti assicurativi o farmaceutici. L’area del divertimento e della giocosità si sposa benissimo invece con questo settore». Credits Direzione creativa: Lorenzo Marini Copywriter: Artemisa Sakaj  Planning strategico e direzione generale: Ezio Campellone Account service: Elma Golloshi Casa di produzione: Film Good Executive producer: Pierangelo Spina Regia: Dario Piana Direttore fotografia: Stefano Morcaldo Producer: Sara Aina Musica: “Ave Maria” di Schubert – esecuzione di Alessandro Magri  

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