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Nella seconda giornata dell’Advertising Week 2017 il focus è tutto sui dati

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Diversi gli interventi che hanno toccato il tema, associandolo a più campi di azione: dalla politica al marketing, fino alla creatività

Dal nostro inviato a LONDRA, Francesco Lattanzio

Dalla politica al marketing, chi ha capito come usare i dati raggiunge il successo

Conoscere le audience e saper interpretare le volontà che esprimono con le interazioni online è tra le più efficaci strategie di marketing che è possibile adottare al giorno d’oggi. Ma la differenza tra comunicazione “d’impatto” e “spaventosa” è molto sottile

“Dati, dati, dati”. Una buzzword, come dicono qui a Londra, che sta diventando il filo conduttore degli incubi di tutti i marketer. O forse dei sogni. Non esiste conferenza dove non si incensino le infinite vie a cui danno accesso le informazioni, sempre più dettagliate, ricavate dai comportamenti dei consumatori su internet, e ancor di più su mobile. Ma non esiste, d’altro canto, conferenza in cui non si dica che una loro cattiva interpretazione avrà sul business effetti tutt’altro che sperati.

Anche all’Advertising Week questo tema ha tenuto banco su diversi palchi, in diversi orari, e con diversi protagonisti. Questa volta però, più che sulle case history, attorno all’argomento si è sviluppato un dialogo fatto di opinioni ed esperienze. Ne hanno preso parte Nick Hewat, Commercial Director Guardian News & Media, Ben Shimshon, Founding Partner BritainThinks, Anushka Asthana, Political Editor Guardian News & Media, Karen Crum, Planning Partner McCann London, e Rebecca Burchnall, Head of Consumer Experience Strategy PHD UK.

L’interpretazione è un tassello importante, ma ha diverse sfaccettature. «Una ricerca di Cambridge Analitica ha dimostrato che attraverso i like su Facebook è possibile conoscere una persona meglio dei suoi amici, e in qualche caso di sè stessa», apre Hewatt. «Ma quello che è davvero interessante è la possibilità di capire se una persona rappresenta sè stessa sulla piattaforma o quello che vorrebbe essere. Questo è stato un elemento importante anche nella campagna elettorale americana», replica Burchnall.

Politica e dati è un binomio solido da tempo, ma questa volta ha preso una nuova sfumatura. Una pennellata proveniente dalla rete. La democrazia sta vivendo nell’ombra di internet, non solamente quando le persone esprimono le proprie opinioni attraverso profili falsi o all’interno di gruppi chiusi. «Non tutti vedono le stesse ads, anzi il targeting propone creatività personalizzate a ognuno. Diventa così difficile per un utente capire cosa pensano gli altri e a che tipo di messaggi sono sottoposti», spiega Crum.

Le strategie dei due candidati alle recenti elezioni Usa, hanno fatto perno su due approcci comunicativi quasi opposti. La Clinton ha proposto come concetto centrale “I’m with You” e lo ha distribuito attraverso messaggi personalizzati al suo elettorato potenziale. «Trump ha utilizzato una strategia a più ampio raggio, con un claim diretto a un pubblico con idee anti-global. Ha puntato al bersaglio grande prima che a quelli piccoli. “Make America great Again”, il suo slogan, ruota attorno alla parola “Again”. Questa si riferisce sia al passato sia al futuro, dando una sensazione rassicurante. Puntare prima alla massa e poi stringere l’obiettivo sui singoli è stata la sua mossa vincente», commenta Shimshon.

Anche la copertura di eventi come le elezioni Usa o la Brexit è influenzata dai dati. Le persone hanno bisogno di informarsi su accadimenti di questa portata, ma allo stesso tempo cercano notizie con un certo taglio editoriale. «Cerchiamo di proporre articoli da un diverso punto di vista. Sappiamo come sono i nostri lettori, e sappiamo anche che non troverebbero altrove i contenuti che gli proponiamo. Sono i dati a suggerircelo. È per questo motivo che scelgono spontaneamente di seguirci», aggiunge Asthana.

La potenza dei dati è applicabile anche alla creatività, ma va tenuta da conto la leggera linea di confine tra “impatto” e “spavento”. «Studiarli e trarne insight è il modo più efficace per consegnare all’audience la migliore user eperience possibile. A volte però vengono letti nel modo sbagliato e si finisce per ripetere sempre lo stesso messaggio alle stesse persone», commenta Burchnall. «Noi abbiamo fatto una campagna contro il melanoma in Australia: abbiamo usato un algoritmo capace di riconoscere le foto delle persone in spiaggia postate su Instagram, e commentarle automaticamente dicendo frasi come “Sarà un giorno fantastico per il killer melanoma”. Un messaggio diretto, privato, personale, è più toccante di qualsiasi tabellare o outdoor», spiega Crum. Certo è che una frase del genere per qualcuno potrà suonare fuori luogo, e questo è stato fatto notare anche da Asthana.

Chi, o cosa, sarà in grado di dirimere queste controversie nel futuro? Come sarà possibile migliorare l’estrazione degli insight? La soluzione è una: «attraverso il machine learning», dice Hewat. La tecnologia avanza a passo svelto e ogni settimana salgono agli onori delle cronache nuove best practise sugli utilizzi e l’efficacia. «Credo che diverse piattaforme abbiano fatto un buon lavoro nello spiegare alla gente cosa sta succedendo, cosa sta vedendo e perché. La tecnologia può essere un grande aiuto nel potenziare l’utilizzo dei dati, anche perché capita ancora che il banner del prodotto appena acquistato rimanga visibile nelle pagine dei consumatori, consegnando una pessima esperienza. Ma c’è bisogno di educare tutti, compresi i clienti, alla pubblicità», commenta Burchnall.

Umani e dati troveranno il terreno giusto su cui convivere: «Sappiamo l’importanza e il ruolo della creatività nelle campagne di marketing. I dati possono essere molto utili a rispondere ad alcune domande dei creativi, ma non possono portare a niente senza il tocco umano», continua Burchnall. Chissà se Coca cola è d’accordo, dopo aver sperimentato i bot per la produzione di copy nella nuova campagna Usa.

«La metodologia e l’interpretazione dei dati è cambiata verso una valutazione qualitativa. Più che capire cosa piace, si cerca di capire perché. Qualche volta bisogna parlare a un gruppo, interpretare i suoi ragionamenti e far passare un messaggio a più di una persona alla volta. Altre volte bisogna comunicare a individui, one-to-one. Sono sempre i dati a indirizzarci, ma poi è l’uomo che deve produrre il giusto messaggio», conclude Shimshon.

I marketer sottovalutano l’utilità dei dati di terza parte: «Sono i più numerosi e riflettono meglio il comportamento»

La sfida maggiore proposta dal segmento è aumentare la velocità di adattamento dei processi di business. Incrociare le informazioni sugli utenti e quelle raccolte dai media darà vita a uno strumento di grande valore. Leggi sulla privacy sono interpretate diversamente da Paese a Paese, e questo non permette uniformità

I dati non nascono come caratteristica della filiera pubblicitaria. Pian piano vi si sono insinuati, prima per trovare il media giusto su cui pianificare, poi per la reportistica sull’efficacia delle campagne, e successivamente sempre più a fondo fino a permeare la maggior parte delle scelte di marketing. Proprio come l’evoluzione tecnologica, che ha abilitato questa tendenza, anche la fame di informazioni ha subito un’impennata. E proprio come accade ai settori che crescono esponenzialmente, è necessario fare un passo indietro e dare uno sguardo più distaccato al fenomeno. Dove sta il valore? Come si massimizza? E quali sono i dati a cui proprio non si può rinunciare?

John Wittesaele, EMEA President Xaxis, Nigel Gilbert, VP Strategic Development EMEA AppNexus, Jon Mew, CEO IAB UK, Richard Lloyd, EMEA Chief Digital Officer Maxus, Paul Rowlinson, Managing Director [m]Platform GroupM, e Sandy Ghuman, Campaign Planning and Delivery Manager Sky, hanno messo la loro expertise a servizio dei marketer presenti nell’affollato panel dell’Advertising Week di Londra, per sviscerare questi temi e dare una visione d’insieme sul complicato argomento.

I dati danno un’idea dei comportamenti e delle preferenze degli utenti da cui sono stati raccolti, ma è incrociandoli con quelli dei media, e analizzando le interazioni tra questi e i consumatori, che si estrae il loro vero valore. «Ci sono delle sfide tecniche che saranno una costante dell’evoluzione del dato», dice Rowlinson, ma queste non potranno essere vinte perchè continueranno a riproporsi insieme all’ambizione di voler ricevere insight sempre migliori. In realtà, aumentare i dati raccolti non è positivo. «Non bisogna avere dati precisissimi per ogni individuo, ma dati di valore. Se è possibile integrare le informazioni sugli individui con quelle sui media, allora si avranno in mano strumenti di grande valore», continua Rowlinson.

Il fine di questo incrocio è chiaro: capire come coinvolgere le persone. Ma insieme a esso passa un secondo concetto: se i dati di prima parte catturano l’attenzione, sono in molti a non dare la giusta considerazione ai dati di terza parte. «Sono di gran lunga i più numerosi. Insieme ad essi ci sono i behavioural data, che sono acquistabili quasi nel momento in cui sono raccolti. Sono dati freschissimi, ed è proprio la loro attualità a renderli prezioni. Le informazioni raccolte ieri, o due giorni fa, potrebbero essere già vecchie. Il grosso gap, in termini di understanding, tra un’azienda e un’altra sta proprio nella freschezza dei dati», spiega Gilbert.

Tra Paese e Paese, però, «le interpretazioni della legge sulla raccolta delle informazioni relative agli utenti sono diverse», afferma Mew. Ci sono Stati, come l’Olanda, che hanno un approccio più rigido, altri, come la Germania, che hanno una cultura dominata dai publisher, altri ancora  come l’UK che invece sono un po’ più permissivi.

La fame di dati ha portato, però, anche ad alcuni casi di ingordigia. Facebook e Google, come ormai noto, non si aprono a verifiche provenienti da terze parti quando si parla di metriche e misurazioni, e questo li ha portati a qualche figuraccia negli ultimi mesi. L’ultimo della serie è stato Google, il cui MD EMEA ha proprio ieri chiesto scusa per aver accostato ads dei più prestigiosi inserzionisti a contenuti razzisti e anti-semiti. Ma com’è potuto succedere in un mondo data driven come questo, che non si sia accorto della destinazione delle inserzioni? «Se le organizzazioni mettono muri per prevenire che i dati siano condivisi con altri, allora è inevitabile trovarsi in situazioni come questa. Se non abbiamo data tools e data feeds che ci indicano a livello granulare dove appariranno le ads, ci si trova in una situazione controversa», afferma Lloyd. In altre parole, più giri di chiave si danno ai dati, più è difficile trovare supporto in casi come questo. «Una partnership tra buyer e seller metterebbe entrambi nella condizione di ottenere prezzi migliori e di attivare operazioni al di fuori della compravendita di spazi pubblicitari», puntualizza Gilbert.

Secondo i rappresentanti internazionali della industry, le sfide a cui il segmento si sta affacciando «non riguarda dati e tecnologia, ma invece la velocità con cui gli advertiser si muovono, con cui cambiano il business process e danno rapidità all’advertising chain. Se si sviluppa un accordo con un’agenzia, poi bisogna anche creare ponti tecnologici. Succede così che i venditori non hanno a disposizioni le informazioni a loro utili e sono costretti a spostare la conversazione sul digitale. Questa è una perdita di tempo e rovina il customer journey», conclude Lloyd.

Dati e creatività: i primi indicano le strade, ma sta poi ai creativi decidere se ignorarle o percorrerle

L’utilità dei data a servizio della creatività è declinabile in una serie di varianti. Interpretare la carica emotiva degli step del customer journey, estrarre suggerimenti per le creatività dal consumer behaviour, inserire i dati stessi all’interno delle ads, sono tutte operazioni di grande supporto per la filiera

La seconda giornata dell’Advetising Week è stata dedicata a chiarire una volta per tutte il rapporto tra dati e marketing. La loro relazione con i creativi è sempre stata piuttosto oscura. La creatività può beneficiare degli insight provenienti dalla scienza dei numeri: si, ma in che modo? Come possono degli elementi considerati, in più punti della storia culturale, dei limiti diventare un’ispirazione creativa?

Solo una persona poteva guidare il panel formato da Richard Dunmall, President Media iQ, Adam Foley, Commercial Strategy Director The Guardian, Paddy Adams, Exec Director, Head of Strategy Manning Gottlieb, e Cory Treffiletti, CMO Oracle Data Cloud. E questa è David Shing, l’eclettico Digital Prophet di AOL.

«Emozioni e logica, come si combinano?», va dritto al punto Shingy. «Il ruolo dell’agenzia e la trasformazione dei dati in creatività consistono nel capire cosa possono fare le informazioni da un punto di vista creativo. I dati sono informazioni, da queste si estraggono insight che possono essere analizzati e applicati alle idee. Se i dati utlizzati sono elaborati in modo interessante, l’applicazione alle idee non è nemmeno un passaggio laborioso», spiega Adams. In realtà, gli utilizzi possono essere molti altri. Dal «giustificare quello che stai facendo», come suggerisce Foley, alla costruzione di un customer journey efficace. «Il customer journey è composto da step che hanno un diverso equilibrio tra emozione e obiettivo», afferma Treffiletti. Il branding ad esempio è un livello molto emotivo, bisogna coinvolgere il cliente e stimolare il ricordo del marchio; l’acquisto, invece, va accompagnato con creatività o esperienze che esprimano trasparenza e sicurezza. «I dati – ricorda Treffiletti – servono a capire come comunicare e che impatto creativo debbano avere i vari step del funnel».

Ogni canale, poi ha il suo stile comunicativo e i propri dati a cui rifarsi nel processo creativo. «Ancora oggi, le grandi creatività fanno leva sulle emozioni», puntualizza Dunmall, «ma ogni media ha un modo diverso di far passare le emozioni, quindi molti spot televisivi non sono adatti al digital, anche se sono qualitativamente fantastici», risponde ancora Treffiletti. «Le grandi creatività, comunque, non sono sempre necessarie. Gli insight non devono suggerire solamente quello che piace alle persone, ma devono provare a spiegarne il perchè. Questo può essere, certo, uno stimolo per le ‘big ideas’, ma basta a permetterci di dire ai consumatori quello che hanno bisogno di sentirsi dire rendendo comunque efficace la comunicazione», commenta Adams. La componente umana diventa quindi fondamentale per capire «quando seguire gli insight e quando ignorarli. A volte danno grandi indizi, altre volte comunicano cose banali e sarebbe meglio accantonarli», aggiunge Treffiletti.

«JWT Amsterdam ha ideato una campagna per la banca ING che aveva l’obiettivo di rilanciare la sua sponsorship nel campo dell’arte nazionale olandese. Attraverso l’analisi di 346 dipinti di Rembrandt sono stati catturati 150 giga di dati, grazie ai quali è stato possibile far disegnare alla macchina un inedito del pittore utilizzando il suo stesso identico stile. Questo è uno dei maggiori esempi di dati e creatività», ricorda Shingy. E infatti ha vinto 2 Cannes Lions, nelle categorie Cyber and Creative Data e Innovation Lion, e altri 13 riconoscimenti.

Sono in molti, da quando il programmatic si è legato al mobile, a indicare i micromomenti come un nuovo universo per i creativi. «Ma non esiste ancora il formato perfetto per sfruttarli. Il messaggio da far passare attraverso essi dev’essere legato alla rilevanza», dice Shing. «Bisogna trovare il giusto equilibrio tra il real-time, attraverso formati appositi, e predictive elements. Molti parlano di AI e di come possa suggerire il messaggio giusto da comunicare attraverso uno studio costante delle audience. Predire il messaggio potrà abilitare i creativiti a una maggiore efficacia», spiega Treffiletti.

Le agenzie creative sono sempre state additate come le più lente della filiera ad adeguarsi alle tecnologie. In realtà, «il modello delle agenzie si sta evolvendo continuamente dall’88 – anno in cui ha iniziato a lavorarci Adams -. Stanno facendo molti esperimenti sul modello migliore da adottare e sulla sua struttura. Devono evolversi insieme alla tecnologia, capire come funziona e introdurla nelle logiche creative appena è abbastanza affinata da poter produrre risultati concreti. Così funzionerà anche con l’AI. Il pensiero creativo e l’atto creativo sono due cose diverse. Il primo è la capacità di sfruttare materiale già esistente, il secondo è la sua creazione da zero. Il miglior caso di Pensiero Creativo avvenuto nella nostra agenzia ha avuto, come protagonista, PlayStation. Loro avevano indentificato quello che pensavano fosse il target migliore: persone trendy, che vivono fuori città, con uno stile street. Poi hanno costruito la pagina Facebook per PS4. Noi abbiamo analizzato i loro fan e abbiamo deciso, invece di colpire ancora il loro target, di provare a parlare ai ‘più annoiati’ tra i possibili clienti. È stato un successo», racconta Adams.

E chissà se le nuove tecnologie possano aiutare a indicare vie nascoste, nel pensiero creativo come negli atti creativi. Resta, a comune denominatore, la necessità del tocco umano.


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incarichi e gare

Autore: Redazione - 24/04/2024


KFC Italia sceglie KIWI come nuovo partner per la gestione dei social

Si arricchisce di una collaborazione di grande valore il 2024 di KIWI che, a partire da questo mese, è ufficialmente il nuovo partner per la gestione dei canali social di Kentucky Fried Chicken Italia, l’iconica e leggendaria catena di fast food specializzata in pollo fritto. La unit di Uniting Group, scelta da KFC a seguito di una gara, assume l’ownership dei canali Meta (Facebook e Instagram, con l’obiettivo di aprire anche Threads), LinkedIn e TikTok del brand. “La vittoria parte innanzitutto da una ricerca approfondita sul tone of voice. Abbiamo identificato nell’autenticità, nella schiettezza e nella boldness, che da sempre appartengono al brand, degli ottimi punti di partenza per rivolgerci alla GenZ e ai Millennial che sono il pubblico per eccellenza di KFC. Si tratta di un brand unico e amatissimo in tutto il mondo, con un prodotto e degli asset di comunicazione inconfondibili e potenzialità social ancora parzialmente inespresse in Italia”, afferma Andrea Stanich, Direttore Creativo Esecutivo di KIWI, Part of Uniting Group.  La strategia L’attenzione di KIWI sarà molto concentrata sulla crescita e sul coinvolgimento sempre maggiore della community. Anche i lanci, le promo, le aperture, i servizi e le innovazioni tecnologiche saranno comunicate senza perdere di vista l’intrattenimento. Una gestione del community management informale e diretta contribuirà ad alimentare il dialogo quotidiano con gli utenti. “Una parte rilevante del piano social di KFC - prosegue Federica Pasqual, COO di KIWI e Freshhh, Part of Uniting Group - sarà costituita da contenuti video originali agili e veloci, che ci piace definire ‘snackable’. Oggi più che mai è fondamentale affiancare i nostri brand partner intercettando le opportunità di comunicazione e i trend in modo istantaneo; questo, nel day by day, viene facilitato dalla collaborazione con la unit Freshhh, nata inizialmente come spin-off di KIWI, realtà che può contare, dall’ultimo quarter del 2023, su uno spazio produttivo dedicato”.  Dieci anni di pollo fritto in Italia KFC, società del gruppo Yum! Brands, è leader mondiale nel settore dei ristoranti che servono pollo fritto. Nato oltre 70 anni fa e presente in Italia da 10 anni, il brand ha avuto nel nostro Paese una crescita che l’ha portato oggi a 87 ristoranti in 15 regioni, con l’obiettivo di arrivare a 100 locali entro la fine dell’anno. Il gusto unico del pollo fritto di KFC si deve al Colonnello Sanders, fondatore del brand e inventore dell’Original Recipe, la ricetta che contiene un inimitabile mix segreto di erbe e spezie e che ancora oggi viene preparata come una volta nei ristoranti di Kentucky Fried Chicken. “Cercare ogni giorno di costruire una relazione sincera e coinvolgente con il nostro target di riferimento rappresenta uno degli obiettivi principali per i prossimi anni, forse la chiamerei una missione. La GenZ è la nostra audience, vogliamo rivolgerci loro in maniera diretta e convincente - afferma Marzia Farè, Chief Marketing Officer di KFC in Italia -. La scelta dei temi, dei canali, del linguaggio e il tono di voce da adottare diventano pertanto ogni giorno più cruciali; vorremmo esser riconosciuti come contemporanei e autentici e credo che la collaborazione con KIWI possa davvero esser l’occasione giusta per far un passo ulteriore di crescita in questa direzione. Il team KIWI che ci affiancherà è pieno di energia e voglia di fare, abbiamo le premesse migliori per far bene e divertirci”.

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spot

Autore: V Parazzoli - 09/04/2024


Lorenzo Marini Group firma “Il divino quotidiano” di Amica Chips, con una versione più “rispettosa” in tv e una più trasgressiva sui social

È on air la nuova campagna tv Amica Chips, realizzata, dopo aver vinto la relativa gara, da Lorenzo Marini Group, che propone una comunicazione fuori dagli schemi tradizionali con un linguaggio ironico, forte e trasgressivo, destinato a colpire un target giovane non abituato a messaggi “televisivi tradizionali” ma a stilemi narrativi social. Non a caso, dello spot sono state approntate una versione più “provocante” appunto per i social e una più rispettosa di un target tradizionale per la tv, con planning sempre di Media Club. Il film Le protagoniste dello spot sono delle novizie, riprese in fila sotto al chiostro del monastero mentre si apprestano ad entrare in chiesa. In sottofondo si sente la musica dell’“Ave Maria” di Schubert, eseguita con l’organo che accompagna questo ingresso. Le novizie sono in fila verso l’altare e la prima sta per ricevere la comunione dal prete celebrante…In quel momento si sente il suono della croccantezza della patatina, un “crunch” amplificato in perfetto sincrono con il momento in cui la prima novizia ha ricevuto l’ostia. Le altre in fila, al sentire il “crunch”, sorridono divertite e guardano nella direzione da cui proviene il rumore “appetitoso e goloso” della patatina croccante. La Madre Superiora infatti è seduta in sagrestia e, rilassata in un momento di pausa, sta mangiando con gusto le Amica Chips prendendole da un sacchetto che tiene in mano. Pack shot con le patatine Amica Chips e in super appaiono logo e claim di campagna “Il divino quotidiano”. Obiettivi e target L’obiettivo principale della comunicazione è quello di riaffermare il ruolo da protagonista di Amica Chips in comunicazione, da sempre protagonista di campagne forti e distintive con un tono da leader, per aumentare la percezione del suo valore di marca e consolidare la sua brand awareness. La campagna, che vuole sottolineare l’irresistibilità del prodotto ed esaltare la sua croccantezza superiore, sarà sviluppata con un sistema di comunicazione integrato teso a massimizzare l’impatto e la copertura di un target 18–54 anni, con particolare focus per la parte più giovane (18-35) sui canali digital e social. Un target che, in chiave psicografica viene descritto come composto da persone che nella loro vita ricercano ironia, divertimento e simpatia e che hanno un atteggiamento sociale aperto ed evoluto, con una ricerca continua di uscita dagli schemi convenzionali. Il messaggio vuole esprimere, con forte ironia “british”, un contenuto di prodotto legato al momento dello snack e, attraverso una descrizione iperbolica e provocante, esprimere il valore della croccantezza irresistibile della patatina Amica Chips. Si vuole rappresentare, in modo palese e senza fraintendimenti di tipo religioso, una situazione “chiaramente teatrale e da fiction”, tratta da citazioni del mondo ecclesiastico già abbondantemente trattate nella cinematografia mondiale, nelle rappresentazioni teatrali e nella pubblicità. Lo spot 30” verrà programmato sulle reti Mediaset, Cairo e sulle CTV, oltre che sui canali digitali. Il commento «Le patatine sono una categoria mentale compensativa e divertente – spiega Marini a Dailyonline -.. Hanno bisogno di comunicazioni ironiche, giovani e impattanti. L’area semantica della serietà è noiosa, funziona per prodotti assicurativi o farmaceutici. L’area del divertimento e della giocosità si sposa benissimo invece con questo settore». Credits Direzione creativa: Lorenzo Marini Copywriter: Artemisa Sakaj  Planning strategico e direzione generale: Ezio Campellone Account service: Elma Golloshi Casa di produzione: Film Good Executive producer: Pierangelo Spina Regia: Dario Piana Direttore fotografia: Stefano Morcaldo Producer: Sara Aina Musica: “Ave Maria” di Schubert – esecuzione di Alessandro Magri  

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